Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 718 del 15/01/2020

Cassazione civile sez. VI, 15/01/2020, (ud. 28/11/2019, dep. 15/01/2020), n.718

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MOCCI Mauro – Presidente –

Dott. CONTI Roberto Giovanni – rel. Consigliere –

Dott. DELLI PRISCOLI Lorenzo – Consigliere –

Dott. RAGONESI Vittorio – Consigliere –

Dott. CAPOZZI Raffaele – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 29790-2018 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE (C.F. (OMISSIS)), in persona del Direttore pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e

difende ope legis;

– ricorrente –

contro

B.F.T.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 2306/4/2018 della COMMISSIONE TRIBUTARIA

REGIONALE della CAMPANIA SEZIONE DISTACCATA di SALERNO, depositata

il 13/03/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 28/11/2019 dal Consigliere Relatore Dott. CONTI

ROBERTO GIOVANNI.

Fatto

FATTI E RAGIONI DELLA DECISIONE

L’Agenzia delle entrate ha impugnato con ricorso per cassazione, affidato ad un unico motivo, la sentenza resa dalla CTR Campania indicate in epigrafe che, rigettando l’appello dell’ufficio, ha confermato la sentenza di primo grado con la quale era stato annullato l’avviso di accertamento emesso a carico di B.F.T. per la ripresa a tassazione per l’anno 2007 del maggior reddito accertato quale socio al 33% della società Multimedia Informatica srl, già oggetto di separata ripresa. Secondo la CTR l’impugnazione dell’ufficio era infondata, avendo il giudice tributario annullato la pretesa azionata dal fisco nei confronti della società con separata sentenza di primo grado confermata in appello nella stessa data dallo stesso Collegio ed in medesima composizione.

La parte intimata non si è costituita.

L’Agenzia deduce la violazione dell’art. 295 c.p.c.. La CTR avrebbe errato nel non disporre la sospensione pregiudiziale ai sensi dell’art. 295 c.p.c., esistendo un evidente nesso di pregiudizialità fra la sentenza emessa nei confronti del socio per la ripresa del reddito di partecipazione e quella relativa al reddito accertato nei confronti della società, oggetto di ricorso per cassazione.

Il ricorso è infondato.

Giova ricordare che in tema di contenzioso tributario, D.Lgs. n. 546 del 1992 ex art. 49, secondo la formulazione vigente “ratione temporis”, successiva alle modifiche di cui al D.Lgs. n. 156 del 2015, art. 9, comma 1, lett. u), allorchè l’ipotetica causa pregiudicante penda in grado di appello trova applicazione l’art. 337 c.p.c., comma 2, in forza del quale il giudice ha facoltà di sospendere il processo ove una delle parti invochi l’autorità di una sentenza a sè favorevole e non ancora definitiva – cfr. Cass. n. 23480/2017 -.

Occorre inoltre rammentare che salvi soltanto i casi in cui la sospensione del giudizio sulla causa pregiudicata sia imposta da una disposizione specifica ed in modo che debba attendersi che sulla causa pregiudicante sia pronunciata sentenza passata in giudicato, quando fra due giudizi esista rapporto di pregiudizialità, e quello pregiudicante sia stato definito con sentenza non passata in giudicato, è possibile la sospensione del giudizio pregiudicato soltanto ai sensi dell’art. 337 c.p.c.” (Cass. 23480/2017 e precedenti ivi ricordati).

L’art. 337 c.p.c., comma 2, deve quindi considerarsi “speciale” rispetto a quella, generale, di cui all’art. 295 c.p.c., e, come tale, deve quindi trovare applicazione in via alternativa/esclusiva rispetto a quest’ultima, in base al canone interpretativo lex specialis derogat generali – cfr. Cass. 23480/17, cit. -.

Proprio con riguardo alla sospensione disciplinata dall’art. 337 c.p.c., la giurisprudenza di questa Corte è ferma nel ritenere che in tema di sospensione facoltativa del processo, disposta quando in esso si invochi l’autorità di una sentenza pronunciata all’esito di un diverso giudizio e tuttora impugnata, la relativa ordinanza, resa ai sensi dell’art. 337 c.p.c., comma 2, impugnabile col regolamento di competenza di cui all’art. 42 c.p.c., e il sindacato esercitabile al riguardo dalla Corte di cassazione è limitato alla verifica dell’esistenza dei presupposti giuridici in base ai quali il giudice di merito si è avvalso del potere discrezionale di sospensione, nonchè della presenza di una motivazione non meramente apparente in ordine al suo esercizio – cfr. Cass. n. 16142/2015 -.

Orbene, la giurisprudenza sopra ricordata consente di escludere la fondatezza della censura prospettata dall’Agenzia asseritamente correlata all’applicazione della disciplina della sospensione obbligatoria di cui all’art. 295 c.p.c. che, per converso, non trova più applicazione con riguardo al rito tributario.

Nè l’Agenzia ha dedotto eventuali vizio correlati al non corretto esercizio della sospensione facoltativa di cui al ricordato art. 337 c.p.c., comma 2.

Sulla base di tali considerazioni, il ricorso va rigettato.

Nulla sulle spese.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, il 28 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 15 gennaio 2020

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