Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7179 del 21/03/2017


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Cassazione civile, sez. lav., 21/03/2017, (ud. 18/01/2017, dep.21/03/2017),  n. 7179

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ANTONIO Enrica – Presidente –

Dott. DORONZO Adriana – rel. Consigliere –

Dott. RIVERSO Roberto – Consigliere –

Dott. SPENA Francesca – Consigliere –

Dott. CALAFIORE Daniela – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 7818-2011 proposto da:

AGRICOLA QUERCIABELLA S.P.A., C.F. (OMISSIS), in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

G.P. DA PALESTRINA 47, presso lo studio dell’avvocato GAETANO

BASILE, rappresentata e difesa dall’avvocato ANTONIO FRANCHINA,

giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, C.F.

(OMISSIS) in persona del suo Presidente legale rappresentante pro

tempore, in proprio e quale mandatario della S.C.C.I. S.P.A.

Società di Cartolarizzazione dei Crediti I.N.P.S. C.F. (OMISSIS),

elettivamente domiciliati in ROMA, VIA CESARE BECCARIA N. 29, presso

l’Avvocatura Centrale dell’Istituto, rappresentati e difesi dagli

avvocati LELIO MARITATO, LUIGI CALIULO, CARLA D’ALOISIO, ANTONINO

SGROI, giusta delega in atti;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 1320/2010 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE,

depositata il 17/11/2010 R.G.N. 993/2008;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

18/01/2017 dal Consigliere Dott. ADRIANA DORONZO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

MATERA Marcello, che ha concluso per il ricetto del ricorso;

udito l’Avvocato GAETANO BASILE per delega Avvocato ANTONIO

FRANCHINA;

udito l’Avvocato GIUSEPPE MATANO per delega Avvocato ANTONINO SGROI.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con sentenza pubblicata il 17/11/2010, la Corte d’appello di Firenze ha rigettato l’impugnazione proposta da Agricola Querciabella s.p.a. contro la sentenza di primo grado resa nel contraddittorio con l’Inps, la SCCI s.p.a. e Esatri s.p.a., di rigetto dell’opposizione proposta dalla appellante avverso la cartella di pagamento notificata nell’interesse dell’Inps e avente ad oggetto contributi relativi a lavoratori assunti per il tramite di società di intermediazione di manodopera.

2. La Corte ha ritenuto che i motivi di appello – limitati al solo accertamento della natura reale e non fittizia dell’appalto stipulato dalla odierna ricorrente con due società operanti nel settore (Agroservizi S.r.l. e Italclub Agros Opera s.r.l.) per i lavori di zappatura e ripulitura dei vitigni e di raccolta delle olive – erano infondati, avendo correttamente il primo giudice ritenuto che i contratti di appalto in realtà simulavano una interposizione fittizia di manodopera, vietata dalla L. n. 1369 del 1960, art. 1.

3. Contro la sentenza, la società propone ricorso per cassazione fondato su sei motivi, cui resiste l’Inps, anche per conto della società di cartolarizzazione dei crediti, con controricorso. Non svolge attività difensiva Esatri s.p.a.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

I motivi di ricorso sono sei.

1. Il primo motivo riguarda la violazione e/o falsa applicazione della L. n. 1369 del 1960, art. 6: la società censura la sentenza nella parte in cui ha ritenuto provata l’intermediazione vietata di manodopera sulla base di presunzioni, diverse da quelle previste dalla L. n. 1369 del 1960, art. 1, comma 3, e senza compiere alcun accertamento di fatto, bensì attribuendo valenza probatoria presuntiva ad elementi di per sè non significativi.

2. Il secondo motivo riguarda la violazione e la falsa applicazione dell’art. 2697 c.c.: la parte lamenta che l’Inps, su cui gravava l’onere probatorio, non lo aveva assolto.

3. Il terzo motivo è incentrato sulla omessa o insufficiente motivazione circa un fatto controverso decisivo per il giudizio, consistente nella omessa individuazione degli elementi integranti l’intermediazione vietata di manodopera.

4. Il quarto motivo ha ancora ad oggetto l’omessa motivazione ed è fondato sul rilievo che la Corte territoriale avrebbe obliterato elementi emersi in istruttoria escludenti la fattispecie di intermediazione vietata di manodopera.

5. Il quinto motivo ha sempre ad oggetto il vizio motivazionale, questa volta costituito dalla documentazione depositata dall’Inps (nota, della DPL con allegata documentazione) che, ove esattamente valutata, avrebbe condotto ad un giudizio diverso circa l’esistenza di un soggetto, ossia l’appaltatore, dotato di sufficiente autonomia organizzativa e gestionale.

6. Il sesto motivo riguarda la violazione e la falsa applicazione dell’art. 414 c.p.c. e l’omessa pronuncia in ordine al motivo di appello riguardante la tardività e dunque l’inammissibilità della produzione documentale avversaria (nota della DPL di (OMISSIS)), avvenuta solo dopo la seconda udienza e prima della terza.

7. I primi due motivi sono inammissibili.

7.1. In tema di ricorso per cassazione, il vizio di violazione di legge consiste in un’erronea ricognizione da parte del provvedimento impugnato della fattispecie astratta recata da una norma di legge implicando necessariamente un problema interpretativo della stessa; viceversa, l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta, mediante le risultanze di causa, inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito la cui censura è possibile, in sede di legittimità, attraverso il vizio di motivazione (Cass. 11/01/2016, n. 195; Cass. 30/12/2015, n. 26110; Cass. 15/12/2014, n. 26307; Cass. 24/10/2007, n. 22348).

Esso dunque ricorre o non ricorre a prescindere dalla motivazione (che può concernere soltanto una questione di fatto e mai di diritto) posta dal giudice a fondamento della decisione (id est: del processo di sussunzione), per l’esclusivo rilievo che, in relazione al fatto accertato, la norma, della cui esatta interpretazione non si controverte, non sia stata applicata quando doveva esserlo, ovvero che lo sia stata quando non si doveva applicarla, ovvero che sia stata “male” applicata, e cioè applicata a fattispecie non esattamente comprensibile nella norma. Si aggiunge inoltre che il motivo di impugnazione che prospetti una pluralità di questioni precedute unitariamente dalla elencazione delle norme che si assumono violate, ma in cui si prospettino questioni che attengano invece a vizi motivazionali, è inammissibile, richiedendo un inesigibile intervento integrativo della Corte che, per giungere alla compiuta formulazione del motivo, dovrebbe individuare per ciascuna delle doglianze lo specifico vizio di violazione di legge o del vizio di motivazione (Cass. 14/9/2016, n. 18021; Cass. 20/9/ 2013, n. 21611).

7.2. Nel caso in esame il primo motivo di ricorso, prospettato come violazione di legge, in realtà contiene in sè una mescolanza di questioni che riguardano la ricostruzione della fattispecie concreta da parte del giudice di merito ed il rilievo che esso avrebbe dato ad elementi presuntivi, ritenuti dalla ricorrente scarsamente o per nulla significativi: la deduzione di una siffatta pluralità di questioni, in quanto non conforme alle regole di chiarezza che devono presidiare la redazione del ricorso per cassazione, rende il motivo inammissibile. Deve aggiungersi, per completezza, che per giurisprudenza costante di questa Corte l’ipotesi di appalto di manodopera è configurabile non solo in presenza degli elementi presuntivi considerati dal citato art. 1, comma 3 (impiego di capitale, macchine ed attrezzature fornite dall’appaltante), bensì anche quando il soggetto interposto manchi di una gestione di impresa a proprio rischio e di un’autonoma organizzazione da verificarsi con riguardo alle prestazioni in concreto affidategli (per tutte, Cass. 21/07/2006, n. 16788) Ne consegue che non è conforme al diritto la premessa maggiore della doglianza in esame, secondo cui l’intermediazione vietata di manodopera può dirsi sussistente solo se ricorrono le condizioni indicate nella norma citata.

7.3. Neppure sussiste la denunciata violazione della norma di cui all’art. 2697 c.c., la quale è configurabile, integrando motivo di ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, soltanto nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne risulta gravata secondo le regole dettate da quella norma (Cass., 19/6/2014, n. 13960). Diversamente, laddove la censura investe la valutazione delle risultanze istruttorie (attività regolata dagli artt. 115 e 116 c.p.c.) il relativo vizio può essere fatto valere ai sensi del n. 5 del medesimo art. 360 (Cass., 17 giugno 2013, n. 15107; Cass., 4 aprile 2013, n. 8315) ed esso deve emergere direttamente dalla lettura della sentenza, non già dal riesame degli atti di causa, inammissibile in sede di legittimità (Cass., 20 giugno 2006, n.14267;Cass., 26 marzo 2010, n. 7394).

7.3. Nella sentenza impugnata non si rinvengono affermazioni in contrasto con le norme indicate, nè si è risolta la controversia in applicazione della regola residuale di giudizio, dichiarando – sul presupposto che non fosse stata offerta la dimostrazione della genuinità dei contratti di appalto – soccombente la parte che non era onerata della relativa prova. Al contrario, la Corte ha ritenuto raggiunta la prova della natura fittizia dei contratti sulla base del complessivo esame del materiale probatorio, dovendosi in proposito ricordare che il principio dell’onere della prova, come regola residuale di giudizio, non implica affatto che la dimostrazione dei fatti costitutivi del diritto preteso debba ricavarsi esclusivamente dalle prove offerte da colui che è gravato del relativo onere, senza poter utilizzare altri elementi probatori acquisiti al processo, poichè nel vigente ordinamento processuale vale il principio di acquisizione, secondo il quale le risultanze istruttorie, comunque ottenute e quale che sia la parte ad iniziativa o ad istanza della quale sono formate, concorrono tutte, indistintamente, alla formazione del convincimento del giudice, senza che la diversa provenienza possa condizionare tale formazione in un senso o nell’altro (Cass. 5 settembre 2013, n. 21909; Cass. 19 gennaio 2010, n. 739; Cass. 3 maggio 1996,n. 4077).

8. Il terzo, il quarto e il quinto motivo, che si esaminano congiuntamente per l’evidente connessione che li lega, sono infondati, non ravvisandosi omissioni o lacune motivazionali, nè illogicità o contraddittorietà del percorso motivazionale seguito.

8.1. La nozione di appalto di manodopera o di mere prestazioni di lavoro, vietato dalla L. n. 1369 del 1960, art. 1 in mancanza di una definizione normativa, va ricavata tenendo anche conto della previsione dell’art. 3 stessa legge concernente l’appalto (lecito) di opere e servizi all’interno dell’azienda con organizzazione e gestione propria dell’appaltatore. Come si è già detto, l’ipotesi di appalto di manodopera è configurabile sia in presenza degli elementi presuntivi considerati dal citato art. 1, comma 3 (impiego di capitale, macchine ed attrezzature fornite dall’appaltante), sia quando il soggetto interposto manchi di una gestione di impresa a proprio rischio e di un’autonoma organizzazione – da verificarsi con riguardo alle prestazioni in concreto affidategli, in particolare, nel caso di attività esplicate all’interno dell’azienda appaltante, sempre che il presunto appaltatore non dia vita, in tale ambito, ad un’organizzazione lavorativa autonoma e non assuma, con la gestione dell’esecuzione e la responsabilità del risultato, il rischio di impresa relativo al servizio fornito. Peraltro, con riferimento agli appalti cosiddetti “endoaziendali”, che sono caratterizzati dall’affidamento ad un appaltatore esterno di attività strettamente attinenti al complessivo ciclo produttivo del committente, va precisato che il divieto di cui alla L. n. 1369 del 1960, art. 1 opera tutte le volte in cui l’appaltatore mette a disposizione del committente una prestazione lavorativa, rimanendo in capo all’appaltatore stesso i soli compiti di gestione amministrativa del rapporto (quali retribuzione, pianificazione delle ferie, assicurazione della continuità della prestazione), ma senza che da parte sua ci sia una reale organizzazione della prestazione stessa, finalizzata ad un risultato produttivo autonomo e non assuma, con la gestione dell’esecuzione e la responsabilità del risultato, il rischio d’impresa relativo al servizio fornito (Cass. 16788/2006, cit.; Cass. 5/10/2002 n. 14302; Cass. 21/5/1998, n. 5087).

8.2. L’accertamento compiuto dal giudice d’appello è stato svolto in conformità a tali principi e la motivazione si presenta esaustiva oltrechè immune da vizi logici.

La corte ha infatti basato il suo giudizio su un complesso di elementi istruttori, globalmente considerati, e costituiti dall’oggetto dell’appalto (raccolta delle olive e dalla zappatura e ripulitura dei vitigni), dall’assenza di particolari tecnologie o uso di mezzi straordinari richiesti per la sua esecuzione; sulla mancanza di una struttura organizzativa autonoma delle società pseudo appaltatrici; dal tipo di corrispettivo pattuito, stabilito ad ore lavorative; dalla mancanza di un rischio di impresa in capo a queste ultime.

8.3. La ricorrente inammissibilmente isola ciascuno di questi elementi per pervenire ad un giudizio diverso da quello della Corte territoriale, deducendo che non può escludersi esistenza di un vero e proprio contratto di appalto ove si tratti di mere prestazioni d’opera, purchè esse costituiscano un servizio in sè, svolto con organizzazione e gestione autonoma dell’appaltatore, senza diretti interventi dispositivi e di controllo dell’appaltante sulle persone dipendenti dall’altro soggetto. Ma questo è proprio quanto accertato dalla Corte territoriale, la quale non ha escluso in astratto la possibilità di un contratto di appalto avente ad oggetto mere prestazioni d’opera, ma in concreto ha ritenuto che le attività commissionate, per la loro esecuzione, hanno comportato l’integrazione completa dei lavoratori nel ciclo produttivo del committente senza che fosse individuabile un risultato produttivo autonomo connesso alla loro attività (Cass. 9264 del 09/04/2008).

Tale giudizio è stato rafforzato dagli esiti degli accertamenti compiuti dall’ispettorato del lavoro, da cui è emerso che una delle due società era inesistente, mentre l’altra società possedeva un’attrezzatura del tutto insufficiente a far fronte al fatturato dichiarato, riguardando le fatture esaminate solo gli automezzi relativi al trasporto del personale, il vitto e l’alloggio di questo, la telefonia mobile e la pubblicità; nonchè dal prezzo dell’appalto, commisurato al numero delle ore impiegate per l’esecuzione dell’opera e ad una tariffa oraria, sì da rimanere esclusa l’assunzione di qualsiasi rischio di impresa da parte delle società appaltatrici.

Le ulteriori circostanze evidenziate dalla ricorrente e di cui la Corte non avrebbe tenuto conto si rivelano non decisive, nel senso che non appaiono idonee di per sè sole a sovvertire il giudizio. In proposito si deve rammentare che la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involge apprezzamenti di fatto riservati al giudice del merito, il quale, nel porre a fondamento della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive, dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi e circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata (da ultimo, Cass. 2/08/2016, n.16056).

9. Il sesto motivo è invece inammissibile per difetto di specificità e violazione del criterio dell’autosufficienza, dal momento che la parte non riporta nel ricorso per cassazione e nella sua integralità il motivo di gravame sottoposto alla corte territoriale e del cui omesso esame si duole, sì che risulta impedito alla Corte di verificare che le questioni sottoposte non siano “nuove” e di valutare la fondatezza dei motivi stessi senza dover procedere all’esame dei fascicoli di ufficio o di parte (Cass. 20/08/2015, n. 17049). Peraltro, dalla lettura del ricorso in appello emerge solo una generica lagnanza sulla tardività della produzione del verbale della DPL di (OMISSIS) ma non anche la formulazione di uno specifico motivo di gravame.

10. Alla luce di queste considerazioni, il ricorso deve essere rigettato, con la condanna della società ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del presente giudizio in applicazione del criterio della soccombenza. Nessun provvedimento sulle spese deve invece adottarsi nei confronti della parte che non ha svolto attività difensiva.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del presente giudizio, liquidate in Euro 3200, di cui Euro 200 per esborsi, oltre al 15% per spese generali e altri accessori di legge. Nulla sulle spese nei confronti della parte rimasta intimata.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 18 gennaio 2017.

Depositato in Cancelleria il 21 marzo 2017

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