Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7178 del 29/03/2011

Cassazione civile sez. trib., 29/03/2011, (ud. 25/01/2011, dep. 29/03/2011), n.7178

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MERONE Antonio – Presidente –

Dott. GIACALONE Giovanni – Consigliere –

Dott. DI IASI Camilla – rel. Consigliere –

Dott. VIRGILIO Biagio – Consigliere –

Dott. GRECO Antonio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso 17849/2008 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende, ope

legis;

– ricorrente –

contro

B.I., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA WARCELL0

PRESTINARI 13, presso lo studio dell’avvocato RAMADORI Giuseppe, che

la rappresenta e difende unitamente all’avvocato ZANOLETTI MASSIMO,

giusta procura speciale in calce al ricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 114/2007 della COMMISSIONE TRIBUTARIA

REGIONALE di MILANO, SEZIONE DISTACCATA di BRESCIA del 17/04/07,

depositata il 15/05/2007;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

25/01/2011 dal Consigliere Relatore Dott. CAMILLA DI IASI;

udito l’avvocato Fausto Buccellato, (delega avvocato Giuseppe

Ramadori), difensore della controricorrente che si riporta agli

scritti;

è presente il P.G. in persona del Dott. MASSIMO FEDELI che aderisce

alla relazione.

Fatto

IN FATTO E IN DIRITTO

L’Agenzia delle Entrate propone ricorso per cassazione nei confronti di B.I. (che resiste con controricorso) e avverso la sentenza con la quale, in controversia concernente impugnazione di avvisi di accertamento per Iva, Irpef, Irap e Addizionale Regionale relativi al 1998, la C.T.R. Lombardia riformava la sentenza di primo grado (che aveva respinto il ricorso introduttivo) rilevando che la presunzione semplice determinata dagli studi di settore su cui erano basati gli accertamenti opposti era nella specie da ritenersi superata da altri elementi presuntivi offerti in valutazione dalla contribuente.

2. L’unico motivo di ricorso (col quale si deduce vizio di motivazione) è inammissibile per mancanza della illustrazione richiesta, per il vizio denunciato, dalla seconda parte dell’art. 366 bis, a mente del quale il motivo di censura ex art. 360 c.p.c., n. 5, deve contenere una indicazione che, pur libera da rigidità formali, si deve concretizzare nella esposizione chiara e sintetica del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, essendo peraltro da evidenziare che, secondo la giurisprudenza di questo giudice di legittimità, l’onere di indicare chiaramente tale fatto ovvero le ragioni per le quali la motivazione è viziata deve essere adempiuto non già e non solo illustrando il relativo motivo di ricorso, ma anche formulando, al termine di esso, una indicazione riassuntiva e sintetica, che costituisca un “quid pluris” rispetto all’illustrazione del motivo, e che consenta al giudice di valutare immediatamente l’ammissibilità del ricorso (v.

Cass. n. 8897 del 2008).

E’ poi appena il caso di sottolineare che l’illustrazione di cui al citato art. 366 bis deve sempre avere ad oggetto (non più un una questione o un “punto”, secondo la versione del n. 5 dell’art. 360 c.p.c., anteriore alla modifica introdotta dal D.Lgs. n. 40 del 2006 ma) un fatto preciso, inteso sia in senso storico che normativo, ossia un fatto “principale”, ex art. 2697 c.c. (cioè un “fatto” costitutivo, modificativo, impeditivo o estintivo) o anche, secondo parte della dottrina e giurisprudenza, un fatto secondario (cioè un fatto dedotto in funzione di prova di un fatto principale), purchè controverso e decisivo, e che nella specie manca non solo l’illustrazione di cui alla seconda parte dell’art. 366 bis c.p.c., ma, ancor prima, l’individuazione e indicazione di uno o più “fatti” specifici (intesi come sopra e non come generico sinonimo di punto, circostanza, questione) rispetto ai quali la motivazione risulti viziata nonchè l’evidenziazione del carattere decisivo dei medesimi fatti.

E’ inoltre da aggiungere che non risultano indicati, con precisazione della sede processuale della relativa produzione (come previsto a pena di inammissibilità dall’art. 366 c.p.c., n. 4, nell’interpretazione di questo giudice di legittimità) gli atti e documenti sui quali il motivo è fondato, nè tali atti e documenti risultano depositati unitamente al ricorso, come previsto a pena di improcedibilità dall’art. 369 c.p.c., n. 4.

3. Alla luce di quanto sopra esposto, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile. Le spese seguono la soccombenza.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la soccombente alle spese del presente giudizio di legittimità che liquida in Euro 900,00 di cui Euro 800,00 per onorari oltre spese generali e accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 25 gennaio 2011.

Depositato in Cancelleria il 29 marzo 2011

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