Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7178 del 04/03/2022

Cassazione civile sez. III, 04/03/2022, (ud. 29/09/2021, dep. 04/03/2022), n.7178

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele Gaetano Antonio – Presidente –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – rel. Consigliere –

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –

Dott. FIECCONI Francesca – Consigliere –

Dott. CIRILLO Francesco Maria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 19663/2019 proposto da:

I.F.M., R.P., R.B., R.C.,

R.E., R.L., R.M., elettivamente domiciliati in

Roma Via Del Tritone 102, presso lo studio dell’avvocato Cavallaro

Giuseppe, che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato

Chimirri Carmelo;

– ricorrenti –

contro

Dobank s.p.a., e Irfis Mediocredito Sicilia s.p.a.;

– intimati –

e contro

Fino 1 Securisation, elettivamente domiciliata in Roma Via R. Romei

19, presso lo studio dell’avvocato Riitano Adolfo, che la

rappresenta e difende unitamente agli avvocati Carpinteri Carlo, Di

Luciano Sebastiano;

– controricorrente –

e contro

Cerved Credit Management Spa, quale incorporante della società

Finanziaria San Giacomo Gestione Crediti spa, elettivamente

domiciliata in Roma Via Cola Di Rienzo 180, presso lo studio

dell’avvocato Di Cesare Catia, che la rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 682/2019 della CORTE D’APPELLO di CATANIA,

depositata il 22/3/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

29/9/2021 dal Cons. Dott. LUIGI ALESSANDRO SCARANO.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza del 22/3/2019 la Corte d’Appello di Catania ha respinto il gravame in via principale interposto dai sigg. R.P. ed altri; dichiarato inammissibile quello in via incidentale spiegato dalla società Cerved Credit Management s.p.a. ed altri; dichiarato inammissibile il gravame dell’intervenuta società Finanziaria San Giacomo s.p.a. – quale mandataria della società Credito Italiano s.p.a. – in relazione alla pronunzia – in giudizi riuniti – Trib. Siracusa 26/1/2015, di accoglimento della domanda proposta nei confronti del R. e della sig. I.F.M. di inefficacia ex art. 2901 c.c., degli “accordi di separazione conclusi tra i coniugi R.P. e I.F.M. di cui al decreto di omologazione del Tribunale di Siracusa n. 239/2009… trascritto presso l’Agenzia del Territorio di Siracusa il 27 maggio 2009 ai nn. 11290/7625, con cui erano stati trasferiti in favore di R.C., B., E., L. e M. i beni immobili descritti in parte motiva”.

Avverso la suindicata pronunzia della corte di merito i sigg. R.P. ed altri propongono ora ricorso per cassazione, affidato a 2 motivi, illustrati da memoria.

Resistono con separati controricorsi la società Fino 1 Securitisation s.r.l. – per il tramite della mandataria società Dovalue s.p.a. (già DoBANK s.p.a.) – e la società Cerved Credit Management s.p.a., che hanno presentato anche rispettiva memoria.

Gli altri intimati non hanno svolto attività difensiva.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il 1 motivo i ricorrenti denunziano “violazione e falsa applicazione” degli artt. 147,148,1322,1333,1411,2901 c.c., art. 29 Cost., in riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 3.

Si dolgono che con motivazione contraddittoria la corte di merito abbia qualificato gli atti oggetto di revocatoria come atti a titolo gratuito laddove trattasi di atti di natura onerosa solutoria finalizzati al mantenimento dei figli e di “contenuto indisponibile” in quanto “oggetto di controllo giudiziale ai fini dell’omologazione ai sensi dell’art. 158 c.c., sicché in presenza di soggetti deboli tutelati dall’ordinamento con norme e principi di ordine pubblico il giudice correttamente doveva tener conto di questo contenuto obbligatorio anche ai fini della revocatoria per escluderne l’applicabilità”.

Con il 2 motivo denunziano “violazione e falsa applicazione” degli artt. 2901 c.c. e segg., art. 2697 c.c., artt. 115,116 c.p.c., in riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 3.

Si dolgono non essersi dalla corte di merito considerato che al momento “del compimento dell’atto… non esisteva posizione debitoria e che l’atto di disposizione di parte del patrimonio in favore delle figlie non era tale da pregiudicare le ragioni creditorie degli istituti di credito, avendo questi garanzia del debito sia il patrimonio di altri fideiussori sia altri beni di proprietà degli stessi coniugi R. – I. di valore capiente, sia i beni della società”, sicché il trasferimento immobiliare de quo non ha determinato “neanche il mero pericolo, per le banche istanti, atteso che… il mutuo del 18/1/2007… della Irfis era garantito da privilegio speciale di prima iscrizione sugli impianti e le attrezzature oggetto del finanziamento” e che “la Irfis – oggi Cerved – ha iscritto ipoteca giudiziale in data 9.11.2009… sui beni immobili oggetto dell’accordo di separazione”.

Lamentano che erroneamente la corte di merito ha individuato “l’eventus damni” nel “solo fattore oggettivo dell’accreditamento”, ed altresì valutato “fatti successivi al momento del compimento dell’atto che…non rilevano nemmeno quali presunzioni”.

Si dolgono non essersi dalla corte di merito considerato che “oltre all’eventus damni… doveva configurarsi la dolosa preordinazione dell’atto da parte del debitore al fine di compromettere il soddisfacimento del credito, trattandosi di atto a titolo oneroso, la partecipazione del terzo a tale pregiudizievole programma”, atteso che “il trasferimento dei beni mobili e/o immobili alle figlie risponde solo al preciso obbligo legale di provvedere al mantenimento della prole e che solo con tale consapevolezza R. – I. hanno regolato i loro rapporti in occasione della separazione, senza spogliarsi dell’intero loro patrimonio, al solo fine di adempiere all’obbligo legale di mantenere la prole, e non al diverso ed assunto e non provato fine di sottrarre la garanzia patrimoniale”, avendo pertanto trasferito “alle proprie figlie, quale forma per il loro mantenimento, le proprietà immobiliari, al fine di destinare loro i relativi proventi derivanti dai canoni di locazione e dalla gestione delle attività ivi esercitate per il soddisfacimento di tutti i loro bisogni, in considerazione del tenore di vita goduto e delle legittime inclinazioni ed aspettative delle stesse figlie, non potendo diversamente provvedere”, tale “funzione solutoria” essendo “espressamente indicata nell’accordo di separazione” e costituendo “l’unica ragione per cui le figlie avevano accettato”, non essendo pertanto “configurabile nessuna operazione in frode ai creditori”, come contraddittoriamente ed illogicamente affermato nell’impugnata sentenza.

Lamentano non essersi dalla corte di merito considerato che “nel caso de quo parte attrice ed interveniente non hanno allegato e/o provato la dolosa preordinazione dell’atto dispositivo anteriore al sorgere del credito (c.d. consilium fraudis), né la consapevolezza del pregiudizio (c.d. scientia fraudis), mentre parte convenuta, a differenza di quanto argomentato in sentenza a pag. 13 ha fornito prova contraria di cui, tuttavia, il giudice di appello omette qualsivoglia motivazione”.

I motivi, che possono congiuntamente esaminarsi in quanto connessi, sono inammissibili.

Va anzitutto posto in rilievo che in violazione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, la ricorrente non riporta debitamente nel ricorso i richiamati atti e documenti del giudizio di merito (in particolare, quanto all'”atto di citazione”, all'”accordo di separazione”, alla “trascrizione del decreto di omologazione della separazione personale dei coniugi”, al “trasferimento immobiliare ivi convento e disposto in favore delle figlie”, al “mutuo di Euro 1.000.000,00 ” concesso “alla Aretusa Yachting s.r.l.”, alla “fideiussione dei sigg.ri R.P. e I.F.M.”, al “Decreto Ingiuntivo n. 952 del 2009, emesso dal Tribunale di Siracusa il 24.11.2009″, all'”atto di citazione in appello notificato in data 21.7.2015”), limitandosi a meramente richiamarli, senza invero debitamente – per la parte strettamente d’interesse in questa sede – riprodurli nel ricorso, ovvero laddove in tutto o in parte riprodotti senza fornire puntuali indicazioni necessarie ai fini della relativa individuazione con riferimento alla sequenza dello svolgimento del processo inerente alla documentazione, come pervenuta presso la Corte Suprema di Cassazione, al fine di renderne possibile l’esame (v. Cass., 16/3/2012, n. 4220), con precisazione (anche) dell’esatta collocazione nel fascicolo d’ufficio o in quello di parte, e se essi siano stati rispettivamente acquisiti o prodotti (anche) in sede di giudizio di legittimità (v. Cass., 23/3/2010, n. 6937; Cass., 12/6/2008, n. 15808; Cass., 25/5/2007, n. 12239, e, da ultimo, Cass., 6/11/2012, n. 19157), la mancanza anche di una sola di tali indicazioni rendendo il ricorso inammissibile (cfr. Cass., Sez. Un., 27/12/2019, n. 34469; Cass., Sez. Un., 19/4/2016, n. 7701).

Non sono infatti sufficienti affermazioni – come nel caso – apodittiche, non seguite da alcuna dimostrazione.

A tale stregua, l’accertamento in fatto e la decisione dalla corte di merito adottata e nell’impugnata decisione rimangono invero dall’odierno ricorrente non idoneamente censurati.

E’ al riguardo appena il caso di osservare che i requisiti di formazione del ricorso per cassazione ex art. 366 c.p.c., vanno indefettibilmente osservati, a pena di inammissibilità del medesimo.

Essi rilevano ai fini della giuridica esistenza e conseguente ammissibilità del ricorso, assumendo pregiudiziale e prodromica rilevanza ai fini del vaglio della relativa fondatezza nel merito, che in loro difetto rimane invero al giudice imprescindibilmente precluso (cfr. Cass., 6/7/2015, n. 13827; Cass., 18/3/2015, n. 5424; Cass., 12/11/2014, n. 24135; Cass., 18/10/2014, n. 21519; Cass., 30/9/2014, n. 20594; Cass., 5 19/6/2014, n. 13984; Cass., 20/1/2014, n. 987; Cass., 28/5/2013, n. 13190; Cass., 20/3/2013, n. 6990; Cass., 20/7/2012, n. 12664; Cass., 23/7/2009, n. 17253; Cass., 19/4/2006, n. 9076; Cass., 23/1/2006, n. 1221).

Va per altro verso posto in rilievo come al di là della formale intestazione dei motivi la ricorrente deduca in realtà doglianze (anche) di vizi di motivazione al di là dei limiti consentiti dalla vigente formulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (v. Cass., Sez. Un., 7/4/2014, n. 8053), nel caso ratione temporis applicabile, sostanziantesi nel mero omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che sia stato oggetto di discussione tra le parti, dovendo riguardare un fatto inteso nella sua accezione storico-fenomenica, e non anche come nella specie l’omissione, la contraddittorietà o l’illogicità della motivazione (v. in particolare pagg. 7, 8, 9, 10, 16 e 18 del ricorso) ovvero l’omessa e a fortiori l’erronea valutazione di determinate emergenze probatorie (cfr. Cass., Sez. Un., 7/4/2014, n. 8053, e, conformemente, Cass., 29/9/2016, n. 19312).

Con particolare riferimento al 2 motivo va ulteriormente posto in rilievo che, come questa Corte ha già avuto modo di affermare, la violazione degli artt. 115,116 c.p.c., può essere dedotta come vizio di legittimità solo denunciando che il giudice ha dichiarato espressamente di non dover osservare la regola contenuta nella norma ovvero ha giudicato sulla base di prove non introdotte dalle parti ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli, e non anche che il medesimo, nel valutare le prove proposte dalle parti, ha attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, il cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove non legali da parte del giudice di merito non dando in realtà luogo ad alcun vizio denunciabile con il ricorso per cassazione, non essendo inquadrabile nel paradigma dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (che attribuisce rilievo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e presenti carattere decisivo per il giudizio) né in quello del precedente n. 4, disposizione che – per il tramite dell’art. 132 c.p.c., comma 1, n. 4 – dà rilievo unicamente all’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante (v. Cass., 10/6/2016, n. 11892).

Deve per altro verso sottolinearsi che la violazione delle norme (art. 2697 c.c. e segg.) poste dal Libro VI, Titolo II, del Codice civile regolano le materie a) dell’onere della prova, b) dell’astratta idoneità di ciascuno dei mezzi in esse presi in considerazione all’assolvimento di tale onere in relazione a specifiche esigenze e c) della forma che ciascuno di essi deve assumere, si configura se il giudice di merito applica la regola di giudizio fondata sull’onere della prova in modo erroneo, cioè attribuendo l’onus probandi a una parte diversa da quella che ne era onerata secondo le regole di scomposizione della fattispecie basate sulla differenza fra fatti costituivi ed eccezioni; laddove la valutazione dei risultati ottenuti mediante l’esperimento dei mezzi di prova invero oggetto delle censure di cui all’odierno ricorso è viceversa disciplinata dagli artt. 115 e 116 c.p.c., per dedurre la cui violazione occorre denunciare che il giudice, in contraddizione espressa o implicita con la prescrizione della norma, abbia posto a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli (salvo il dovere di considerare i fatti non contestati e la possibilità di ricorrere al notorio) (art. 115 c.p.c.), laddove è inammissibile la diversa doglianza che, nel valutare le prove proposte dalle parti, abbia attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività valutativa consentita dall’art. 116 c.p.c. (v. Cass., 25/11/2021, n. 36631; Cass., Sez. Un., 30/9/2020, n. 20867; Cass., 23/10/2018, n. 26769; Cass., Sez. Un., 21/9/2018, n. 22425; Cass., Sez. Un., 5/8/2016, n. 16598; Cass., 10/6/2016, n. 11892. Cfr. altresì Cass., 28/11/2007, n. 24755; Cass., 20/6/2006, n. 14267; Cass., 12/2/2004, n. 2707).

Quanto al merito, va osservato che nell’impugnata sentenza ha fatto invero corretta applicazione del principio affermato da questa in base al quale l’atto con il quale un coniuge, in esecuzione degli accordi intervenuti in sede di separazione consensuale, trasferisca all’altro il diritto di proprietà (ovvero costituisca diritti reali minori) su un immobile è suscettibile di azione revocatoria ordinaria, non trovando tale azione ostacolo né nell’avvenuta omologazione dell’accordo suddetto (cui resta estranea la funzione di tutela dei terzi creditori e che, comunque, lascia inalterata la natura negoziale della pattuizione) né nella circostanza che l’atto sia stato posto in essere in funzione solutoria dell’obbligo di mantenimento del coniuge economicamente più debole o di contribuzione al mantenimento dei figli, venendo nella specie in contestazione non già la sussistenza dell’obbligo in sé, di fonte legale, ma le concrete modalità di assolvimento del medesimo, convenzionalmente stabilite dalle parti (v. Cass., 15/4/2019, n. 10443).

Atteso che ai fini dell’applicazione della differenziata disciplina di cui all’art. 2901 c.c. la qualificazione dell’atto come oneroso o gratuito discende dalla verifica in concreto se lo stesso si inserisca o meno nell’ambito di una più ampia sistemazione “solutorio-compensativa” di tutti i rapporti aventi riflessi patrimoniali maturati nel corso della quotidiana convivenza matrimoniale (v. Cass., 15/4/2019, n. 10443), l’azione revocatoria ordinaria è senz’altro ammissibile in quanto il trasferimento di immobile effettuato da un genitore in favore della prole in ottemperanza ai patti assunti in sede di separazione consensuale omologata trae origine dalla libera determinazione del coniuge, divenendo “dovuto” solo in conseguenza dell’impegno assunto in costanza dell’esposizione debitoria nei confronti di un terzo creditore, sicché l’accordo separativo costituisce esso stesso parte dell’operazione revocabile e non già fonte di obbligo idoneo a giustificare l’applicazione dell’art. 2901 c.c., comma 3 (v. Cass., 6/10/2020, n. 21358).

A tale stregua il ricorso è inammissibile anche ex art. 360 bis c.p.c..

Del pari deve dirsi con riferimento al principio pure da questa Corte affermato in tema di azione revocatoria proposta nei confronti del fideiussore secondo cui l’acquisto della qualità di debitore nei confronti del creditore procedente risale al momento della nascita del credito, a tale momento dovendo pertanto farsi riferimento per stabilire se l’atto pregiudizievole sia anteriore o successivo al sorgere del credito; con la conseguenza che, prestata la fideiussione a garanzia di un credito preesistente, l’atto di donazione successivamente compiuto dal fideiussore è soggetto all’azione revocatoria in presenza soltanto del requisito soggettivo della scientia damni, cioè della consapevolezza da parte del medesimo di arrecare pregiudizio al creditore, e – trattandosi di atto non oneroso – senza che risulti neppure la consapevolezza del terzo; la verifica dell’eventus damni dovendo d’altra parte essere compiuta con riferimento esclusivamente alla consistenza patrimoniale e alla solvibilità del fideiussore, e non già (come dagli odierni ricorrenti viceversa prospettato) a quella del debitore garantito (v. Cass., 19/10/2006, n. 22465).

Emerge dunque con tutta evidenza come gli odierni ricorrenti inammissibilmente prospettino in realtà una rivalutazione del merito della vicenda comportante accertamenti di fatto invero preclusi a questa Corte di legittimità, nonché una rivalutazione delle emergenze probatorie, laddove solamente al giudice di merito spetta individuare le fonti del proprio convincimento e a tale fine valutare le prove, controllarne la attendibilità e la concludenza, scegliere tra le risultanze istruttorie quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione, dare prevalenza all’uno o all’altro mezzo di prova, non potendo in sede di legittimità riesaminare il merito dell’intera vicenda processuale, atteso il fermo principio di questa Corte secondo cui il giudizio di legittimità non è un giudizio di merito di terzo grado nel quale possano sottoporsi alla attenzione dei giudici della Corte Suprema di Cassazione elementi di fatto già considerati dai giudici del merito, al fine di pervenire ad un diverso apprezzamento dei medesimi.

Per tale via in realtà sollecitano, cercando di superare i limiti istituzionali del giudizio di legittimità, un nuovo giudizio di merito, in contrasto con il fermo principio di questa Corte secondo cui il giudizio di legittimità non è un giudizio di merito di terzo grado nel quale possano sottoporsi all’attenzione dei giudici della Corte Suprema di Cassazione elementi di fatto già considerati dai giudici del merito, al fine di pervenire ad un diverso apprezzamento dei medesimi (cfr. Cass., 14/3/2006, n. 5443).

Le spese del giudizio di cassazione, liquidate come in dispositivo favore di ciascuna delle controricorrenti, seguono la soccombenza.

Non è viceversa a farsi luogo a pronunzia in ordine alle spese del giudizio di cassazione in favore degli altri intimati, non avendo i medesimi svolto attività difensiva.

P.Q.M.

La Corte dichiara il ricorso inammissibile. Condanna i ricorrenti al pagamento, in solido, delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in complessivi Euro 8.200,00, di cui Euro 8.000,00 per onorari, oltre a spese generali ed accessori come per legge, in favore di ciascuna delle controricorrenti.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, come modif. dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte dei ricorrenti dell’eventuale ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 29 settembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 4 marzo 2022

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