Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7172 del 13/03/2020

Cassazione civile sez. I, 13/03/2020, (ud. 12/02/2020, dep. 13/03/2020), n.7172

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco Antonio – Presidente –

Dott. SAMBITO Maria Giovanna C. – rel. Consigliere –

Dott. SCOTTI Umberto L. C. G. – Consigliere –

Dott. MELONI Marina – Consigliere –

Dott. ACIERNO Maria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 148/2019 proposto da:

E.M., rappresentato e difeso dall’avvocato Marco Giorgetti,

presso il cui studio è elettivamente domiciliato, in Corso Mazzini

n. 100, Ancona, giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno;

– intimato –

avverso il decreto n. 12269/2018 del Tribunale di Ancona, depositato

il 5/11/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

12/02/2020 dal Cons. Dott. MARIA GIOVANNA SAMBITO.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con decreto depositato il 5 novembre 2018, il Tribunale di Ancona ha rigettato delle istanze di protezione internazionale avanzate da E.M., cittadino (OMISSIS), il quale aveva narrato di esser fuggito perchè nell’officina presso cui lavorava si era incendiata un’autovettura ed era perciò stato aggredito da emissari del proprietario, i quali avevano fatto, pure, irruzione presso la sua abitazione.

Il Tribunale ha ritenuto il richiedente non credibile, ha rapportato i fatti narrati a vicende di vita privata e giustizia comune, ha escluso la sussistenza della situazione di violenza indiscriminata in conflitto armato nella (OMISSIS) di sua provenienza ed insussistenti i presupposti per il riconoscimento della protezione umanitaria.

Ricorre il richiedente sulla base di quattro motivi. L’Amministrazione è rimasta intimata.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Col primo motivo si deduce la nullità del decreto impugnato per vizio di ultrapetizione o extrapetizione: il mancato riconoscimento dello status di rifugiato, lamenta il ricorrente, è avvenuto senza che egli avesse avanzato domanda in tal senso.

2. Il motivo è inammissibile. Questa Corte ha condivisibilmente affermato (Cass. n. 13395 del 2018) che nel giudizio d’impugnazione “l’interesse ad agire postula la soccombenza nel suo aspetto sostanziale, correlata al pregiudizio che la parte subisca a causa della decisione”. Tale pregiudizio va apprezzato in relazione all’utilità giuridica che può derivare alla parte che propone impugnazione dall’eventuale suo accoglimento. Nella specie, è ben evidente che, secondo la stessa impostazione della censura, non avendo il ricorrente proposto domanda di rifugio politico, lo stesso non è soccombente al riguardo, e dunque la cassazione in parte qua del decreto non può per lui comportare alcuna utilità alle ragioni sostanziali fatte valere.

3. Col secondo motivo, deducendo la “violazione e falsa applicazione della legge: art. 360 c.p.c., n. 5 in relazione al D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 3,5 e 7 – apparenza motivazionale”, il ricorrente lamenta che, nello statuire la natura privata e di giustizia comune dei fatti narrati, il Tribunale abbia posto in essere una motivazione apparente, non essendo stato effettuato alcun approfondimento istruttorio circa l’effettività della tutela apprestata dallo Stato.

4. Il motivo presenta profili d’inammissibilità e d’infondatezza. Esso confonde e sovrappone l’obbligo di motivazione dei provvedimenti giurisdizionale con l’onere di cooperazione istruttoria dell’Ufficio, inoltre, non considera che, secondo la condivisa giurisprudenza di questa Corte (Cass. n. 9043 del 2019), i fatti, quali quelli narrati, non possono essere addotti come causa di persecuzione o di danno grave, nell’accezione offerta dal D.Lgs. n. 251 del 2007, trattandosi di “vicende private” estranee al sistema della protezione internazionale, che appresta, bensì, tutela agli atti persecutori o danno grave imputabili a soggetti non statuali ma quando le persecuzioni o il danno possono esser ricondotti allo Stato o alle organizzazioni collettive di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 5, lett. b). La doglianza non considera, inoltre, che la vicenda narrata è stata ritenuta non credibile dal Tribunale – che ha rilevato che la moglie e le quattro figlie continuano a vivere a (OMISSIS) – e che il positivo vaglio relativo alla credibilità costituisce una valutazione di fatto ed, al contempo, una premessa indispensabile perchè il giudice debba dispiegare il suo intervento: le dichiarazioni che siano intrinsecamente inattendibili, alla stregua degli indicatori di genuinità soggettiva di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 non richiedono, infatti, alcun approfondimento istruttorio officioso (Cass. n. 5224 del 2013; n. 16925 del 2018), salvo che la mancanza di veridicità derivi esclusivamente, ma non è questo il caso, dall’impossibilità di fornire riscontri probatori (Cass. n. 871 del 2017).

5. Col terzo motivo, il ricorrente lamenta la violazione dell’art. 14 lett. c), l’omesso esame di un fatto decisivo ed il vizio di motivazione, deducendo che il decreto non ha accertato la dedotta sussistenza di una situazione di instabilità politica nel Paese di origine.

6. Il motivo è inammissibile, perchè non incontra la sentenza, che, proprio facendo uso dei poteri istruttori d’ufficio, ha escluso (pag. 4 penultimo capoverso) la ricorrenza del caso della “violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale”, di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c) coerentemente alle indicazioni dei più recenti reports sulla regione dell'(OMISSIS), puntualmente indicati, ed al lume di principi affermati dalla Corte di Giustizia UE (17 febbraio 2009, Elgafaji, C-465/07, e 30 gennaio 2014, Diakitè, C285/12; vedi pure Cass. n. 13858 del 2018). Tale accertamento implica un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito, che non può esser qui sindacato, con la contrapposizione di valutazioni difformi.

7. Col quarto motivo, il ricorrente denuncia la violazione falsa applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3; del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e art. 19, comma 1; del D.P.R. n. 394 del 1999, art. 11, comma 1 c-ter e vizio di motivazione. Per non avere il Tribunale ritenuto sussistere i presupposti per la concessione del permesso umanitario.

8. Il motivo è inammissibile. Secondo la giurisprudenza di questa Corte tale tipo di permesso costituisce una misura residuale, per garantire le situazioni, da individuare caso per caso, nelle quali, pur non sussistendo i presupposti per il riconoscimento della tutela tipica (status di rifugiato o protezione sussidiaria), non possa disporsi tuttavia l’espulsione e debba provvedersi all’accoglienza del richiedente che si trovi in situazione di vulnerabilità (Cass. n. 4455 del 2018; n. 23604 del 2017; n. 15466 del 2014, n. 26566 del 2013). Tale vulnerabilità deve esser, poi, riconnessa non alla generale condizione del Paese di provenienza ma al rischio del medesimo richiedente di subire nel Paese d’origine una significativa ed effettiva compromissione dei diritti fondamentali inviolabili (Cass. n. 4455 del 2018 cit.).

9. Nella specie, il giudice del merito ha escluso la sussistenza di una specifica condizione di vulnerabilità, ed il ricorrente omette di allegarla, non essendo al riguardo sufficiente il raggiungimento di un livello d’integrazione sociale, personale od anche lavorativa nè l’allegazione di un’esistenza migliore nel paese di accoglienza, in quanto la valutazione deve anzitutto verificare che ci si è allontanati da una condizione di vulnerabilità effettiva, ed è volta a proteggere il soggetto dal rischio di essere immesso nuovamente, in conseguenza del rimpatrio, in un contesto sociale, politico o ambientale idoneo a costituire una significativa ed effettiva compromissione dei suoi diritti fondamentali inviolabili.

10. Non va provveduto sulle spese, stante il mancato svolgimento di attività difensiva della parte intimata.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 12 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 13 marzo 2020

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