Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7169 del 25/03/2010

Cassazione civile sez. III, 25/03/2010, (ud. 20/01/2010, dep. 25/03/2010), n.7169

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SENESE Salvatore – Presidente –

Dott. FILADORO Camillo – Consigliere –

Dott. FEDERICO Giovanni – Consigliere –

Dott. VIVALDI Roberta – Consigliere –

Dott. FRASCA Raffaele – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso proposto da:

C.F., (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, CORSO DEL RINASCIMENTO 11, presso lo studio dell’avvocato

LIBERALS SRL, rappresentato e difeso dall’avvocato ORLANDINI

ALESSANDRO con delega a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

AMMINISTRAZIONE AUTONOMA ARCHIVI NOTARILI PARTE INS A SEGUITO DEP

C/RICORSO, in persona del legale rappresentante pro tempore,

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA PARTE INSERITA A SEGUITO DEPOSITO

C/RICORSO, in persona del Ministro pro tempore domiciliati in ROMA,

VIA DEI PORTOGHESI 12, presso ali uffici dell’AVVOCATURA GENERALE

DELLO STATO, da cui sono difesi per legge;

– controricorrenti –

e contro

ARCHIVIO NOTARILE LECCE, CONSIGLIO NOTARILE DISTRETTUALE LECCE,

PROCURATORE REPUBBLICA TRIBUNALE LECCE;

– intimati –

avverso il provvedimento della CORTE D’APPELLO di BARI, Prima Sezione

Civile, emessa il 17/02/2009; depositata il 02/03/2009; R.G.N.

203/2008;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

20/01/2010 dal Consigliere Dott. RAFFAELE FRASCA;

udito l’Avvocato ORLANDINI ALESSANDRO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CENICCOLA Raffaele, che si riporta alla relazione del Relatore.

 

Fatto

RITENUTO IN FATTO

Quanto segue:

p. 1. Il notaio C.F. ha proposto ricorso per Cassazione ai sensi della L. n. 89 del 1913, art. 158 ter, comma 2, (nel testo risultante dall’inserimento disposto dal D.Lgs. n. 249 del 2006) avverso la sentenza del 2 marzo 2009, notificatagli il 20 marzo successivo, con la quale la Corte d’Appello di Bari, provvedendo ai sensi della L. citata, art. 158 bis (come inserito dal citato D.Lgs.) ha rigettato il reclamo da lui proposto avverso la decisione del 21 gennaio 2008 della Commissione Regionale di Disciplina delle Puglie, che su richiesta dell’Archivio Notarile di Lecce, gli aveva irrogato la sanzione di Euro 10,00 in relazione ad una violazione della L.N., art. 28.

Il ricorso prospetta sei motivi ed è stato proposto contro l’Archivio Notarile di Lecce, ma notificato – senza però che tali soggetti siano stati indicati come parti – al Consiglio Notarile Distrettuale di Lecce ed al Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Lecce, ancorchè tali soggetti non siano stati parti nel giudizio che ha portato alla sentenza impugnata.

p. 2. Hanno svolto attività difensiva con controricorso il Ministero della Giustizia e l’Amministrazione Autonoma Archivi Notarili.

p. 3. Essendo il ricorso soggetto alla disciplina delle modifiche al processo di cassazione, disposte dal D.Lgs. n. 40 del 2006, che si applicano ai ricorsi proposti contro le sentenze ed i provvedimenti pubblicati a decorrere dal 2 marzo 2006 compreso, cioè dalla data di entrata in vigore del D.Lgs. (D.Lgs. citato, art. 27, comma 2), si sono ravvisate le condizioni per la decisione con il procedimento di cui all’art. 380 bis c.p.c. e si è redatta relazione ai sensi di tale norma, che è stata notificata alla parte ricorrente e comunicata al Pubblico Ministero presso la Corte.

Parte ricorrente ha depositato memoria.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

Quanto segue:

p. 1. Nella relazione ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., si sono svolte i rilievi che di seguito di riportano:

” (…) 3. – Il ricorso appare inammissibile.

Esso, infatti, non sembra rispettare il requisito di ammissibilità previsto dall’art. 366 bis c.p.c..

3.1. Il primo motivo deduce “violazione degli artt. 276, 350, 352 c.p.c. e art. 114 disp. att. c.p.c.. Nullità della sentenza ex art. 158 c.p.c.” e si conclude con la formulazione del seguente quesito di diritto: “Dica l’Ecc.ma Corte adita se è nulla la sentenza pronunciata da un collegio composto in maniera differente da quello dinanzi al quale la causa è stata discussa ovvero dinanzi al quale sono state precisate le conclusioni ovvero dinanzi al quale è stato compiuto l’ultimo atto prima che la causa venisse introitata per la decisione”.

Il motivo è ammissibile nonostante il tenore dell’art. 158 ter c.p.c., che con scelta della quale il meno che si può dire è che appaia irragionevole, prevede nel suo comma 1, che il ricorso per cassazione contro la sentenza resa dalla Corte d’appello ai sensi del precedente art. 158 bis c.p.c., sia ammesso “nei casi previsti dall’art. 360 c.p.c., nn. 3) e 5)”.

Invero, la norma in questione, in ragione della natura precettiva da sempre tradizionalmente riconosciuta – dalla Corte di cassazione originariamente, con scelta avallata sostanzialmente dalla Corte costituzionale quando si insediò – all’art. 111, olim comma 2, ed ora comma 7, in punto di previsione dell’ammissibilità sempre del ricorso per cassazione per violazione di legge contro le sentenze, in difetto di un’espressa volontà di deroga del principio costituzionale, dev’essere intesa non già nel senso che abbai inteso eliminare la possibilità di ricorso per cassazione direttamente discendente dalla norma costituzionale, bensì nel senso che abbia voluto ampliarla e, dunque, estenderla a quello che la norma stessa ed eventualmente la legge ordinaria precedente non prevedeva.

L’ampliamento nella specie formalmente si è verificato per l’art. 360 c.p.c., n. 5, che non era compreso nella tutela apprestata dall’art. 111, comma 7.

Peraltro, l’ampliamente è stato formale, perchè dell’art. 360 c.p.c., u.c., come modificato dal D.Lgs. n. 40 del 2006, l’aveva già riconosciuta, facendo tale norma aggio sulla previsione della legge notarile (che nell’art. 156, comma 1, nel testo anteriore alle modifiche di cui al D.Lgs. n. 249 del 2006, ammetteva il ricorso per cassazione per incompetenza, per violazione o falsa applicazione di legge, formula idonea comprendere, si nota l’art. 360 c.p.c., nn. 1, 2, 3 e 4, del resto tutti iscrivibile nel concetto di violazione di legge ai sensi della norma costituzionale).

In definitiva, la proclamazione dell’art. 158 ter c.p.c., comma 1, finisce allora per essere del tutto inutile, atteso che l’ambito del ricorso per cassazione in subiecta materia risultava già definito dalla norma costituzionale e dall’art. 360 c.p.c., u.c..

Sul piano dei rapporti fra le fonti, per quanto attiene al vizio ai sensi del n. 4 dell’art. 360, tale conclusione è imposta dal dovere di interpretare le norme secondo Costituzione, il quale nella specie, in ragione della già rilevata diretta efficacia precettiva dell’art. 111, comma 7, impone di leggere la norma ordinaria che individua contro una sentenza come proponibile il ricorso per Cassazione in taluni casi nel senso che non escluda, in difetto di una espressa proclamazione in tale senso, l’ammissibilità nei termini di cui alla norma costituzionale.

3.2. Il motivo in discorso è, tuttavia, inammissibile, per la ragione che il quesito che lo chiude è espresso in modo del tutto astratto e privo di carattere conclusivo. Infatti, riferisce non solo tre ipotesi tutte astratte, ma omette di dire quale di esse sarebbe occorsa nella vicenda ed in relazione alla decisione impugnata, alla quale non si fa alcun pur riassuntivo riferimento. Viene, dunque, in rilievo il principio di diritto, secondo cui “Il quesito di diritto deve essere formulato, ai sensi dell’art. 366 bis cod. proc. civ., in termini tali da costituire una sintesi logico-giuridica della questione, così da consentire al giudice di legittimità di enunciare una “regula iuris” suscettibile di ricevere applicazione anche in casi ulteriori rispetto a quello deciso dalla sentenza impugnata. Ne consegue che è inammissibile il motivo di ricorso sorretto da quesito la cui formulazione, ponendosi in violazione di quanto prescritto dal citato art. 366 bis c.p.c., si risolve sostanzialmente in una omessa proposizione del quesito medesimo, per la sua inidoneità a chiarire l’errore di diritto imputato alla sentenza impugnata in riferimento alla concreta fattispecie” (Cass. sez. un. n. 20603 del 2008, ex multis).

4. – Il secondo motivo – ammissibile in ragione di quanto osservato sub 3.1. – denuncia “violazione dell’art. 51 c.p.c.. Nullità della utenza ex art. 158 c.p.c.” e si conclude con il seguente quesito di diritto: “Dica l’Ecc.ma Corte adita se sia nulla la sentenza pronunciata dalla Corte d’Appello in composizione collegiale, di cui faccia parte un componente che sia stato espressamente dichiarato incompatibile”.

Anche riguardo a tale quesito sussiste totale astrattezza e, dunque, inammissibilità ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c..

5. – Il terzo motivo denuncia “violazione degli artt. 143, 147, 160 ss. c.p.c. (in particolare art. 163), art. 1387 ss. cod. civ., Violazione art. 28 della Legga Notarile” e la sua illustrazione si chiude con il seguente quesito di diritto: “Dica l’Ecc.ma Corte adita se costituisca communis opinio l’impossibilità di conferire una procura generale che attribuisca il potere dio stipulare convenzioni matrimoniali” e conseguentemente “Dica se la procura generale con cui venga conferito il potere di stipulare convenzioni matrimoniali rientri negli atti inequivocabilmente proibiti dalla legge ai sensi della Legge Notarile, art. 28”.

Anche questo quesito non risponde a quanto esige l’art. 366 bis c.p.c., sempre per la sua astrattezza e mancanza di riferimento alla vicenda ed alla decisione. Si badi – ma lo si nota ad abundantiam – che, anche se inteso come prospettane un interrogativo relativo all’esegesi di una norma in astratto, quella citata, il quesito conterrebbe un elemento privo di esplicazione, atteso che usa senza alcuna spiegazione l’avverbio “inequivocabilmente”, che non figura nella norma dell’art. 28.

6. – Il quarto motivo denuncia “violazione degli artt. 1367, 1399 e 1418 cod. civ.. Violazione Legga Notarile, art. 28” e la sua illustrazione si chiude con il seguente quesito di diritto: “Dica l’Ecc.ma Corte adita se la procura generale che conferisca il potere di stipulare convenzioni attribuisca il potere di stipulare convenzioni matrimoniali sia affetta da nullità assoluta”.

Il quesito è sempre inammissibile per le medesime ragioni esposte a proposito degli altri.

7. – Il quinto motivo denuncia “violazione della Legge Notarile, artt. 28, 136 e 138” ed in relazione ad esso è posto il seguente quesito: “Dica l’Ecc.ma Corte adita se l’art. 28 della Legge Notarile subordina la responsabilità del notaio ala sussistenza dell’elemento psicologico del dolo o della colpa” e conseguentemente “Dica se l’esistenza di una pluralità di opinioni su una questione di diritto escluda la colpa e, quindi, la responsabilità del notaio”.

Il quesito è sempre inidoneo ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c., per le medesime ragioni esposte a proposito degli altri.

8.- Il sesto motivo denuncia “omessa motivazione in ordine alla dedotta mancanza dell’elemento psicologico della colpa nella redazione della procura oggetto di procedimento disciplinare”.

Il motivo – in disparte che parrebbe denunciare un’omissione di pronuncia su motivo di reclamo (che avrebbe richiesto la deduzione di vizio di violazione di norma sul procedimento ai sensi dell’art. 112 c.p.c. e, dunque, un quesito di diritto) non si conclude con il momento di sintesi espressivo della cd. “chiara indicazione”, cui allude l’art. 366 bis c.p.c..

D’altro canto, se anche essa coincidesse con la sua esposizione, la brevità di quest’ultima, che, evidentemente, suppone le argomentazioni svolte a proposito dei motivi pregressi, che si sono detti inammissibili, il rilievo non resterebbe superato ed il motivo stesso sarebbe generico.

9. – Il settimo motivo denuncia “violazione della Legge Notarile, art. 28, sotto diverso profilo” e si conclude con il seguente quesito di diritto: “Dica l’Ecc.ma Corte adita se la procura generale che non indichi espressamente gli atti che eccedono l’ordinaria amministrazione sia nulla ovvero inefficace”.

Il quesito è sempre inidoneo i sensi dell’art. 366 bis c.p.c., per le medesime ragioni esposte a proposito degli altri.

10. – Il ricorso dovrebbe, conclusivamente, dichiararsi inammissibile.”.

p. 2. Il Collegio condivide le argomentazioni e le conclusioni della relazione, che non sono in alcun modo incrinate dalle pur ampie ragioni esposte dal ricorrente nella memoria.

Esse si incentrano su tre assunti.

Sotto un primo aspetto si sostiene che, ai fini del requisito dell’art. 366 bis c.p.c., occorrerebbe distinguere astrattezza e specificità del quesito. L’astrattezza, cui ha fatto riferimento la relazione, sarebbe necessaria perchè il quesito deve enunciare una regula iuris suscettibile di trovare applicazione (come dice il precedente citato nella relazione) alla generalità dei casi simili a quelli oggetto del ricorso. Sarebbe la specificità ad essere invece necessaria.

Sotto un secondo aspetto si asserisce, quanto al quesito relativo al primo motivo (ma con argomentazione che dovrebbe valer anche a proposito del sesto, se inteso come motivo di violazione dell’art. 112 c.p.c.), che, poichè la questione posta dal motivo e riassunta dal quesito sarebbe relativa ad errori di applicazione della norma del procedimento determinati da un errore di fatto circa i presupposti di applicazione della norma stessa, il quesito di diritto non sarebbe necessario.

Sotto un terzo aspetto si sostiene che nella specie i quesiti sarebbero specifici e che il quesito non sarebbe necessario a proposito del motivo di ci all’art. 360 c.p.c., n. 5.

2.1. In proposito, in ordine al primo aspetto, si rileva che la distinzione fra astrattezza e specificità non è condivisibile, in quanto i due termini sono assolutamente equivalenti, conforme alla funzione del quesito, che è sì di prospettare una questione di diritto, ma lo è in quanto essa si attagli alla fattispecie concreta oggetto del giudizio, per come prospettata dalle parti ed esaminata e decisa dalla sentenza. In particolare, anche quando si denunci un vizio di applicazione di norme di diritto o di norme del procedimento (comprese quelle sulla giurisdizione o competenza) determinato dall’erronea ricognizione del significato della disposizione quale testo evidenziante una norma, il riferimento alla fattispecie concreta è pur sempre necessario e, dunque, occorrerà individuare riassuntivamente come detta erronea ricognizione abbia determinato l’error iuris della sentenza impugnata. Ciò, è un mero riflesso del requisito della conclusività che deve necessariamente avere il quesito di diritto. L’art. 366 bis c.p.c., infatti, quando esigeva che il quesito di diritto dovesse concludere il motivo imponeva che la sua formulazione non si presentasse come la prospettazione di un interrogativo giuridico del tutto sganciato dalla vicenda oggetto del procedimento, bensì evidenziasse la sua correlazione ad essa.

Invero, se il quesito doveva concludere l’illustrazione del motivo ed il motivo si risolveva (come si risolve anche dopo l’eliminazione dell’art. 366 bis c.p.c.) in una critica alla decisione impugnata e, quindi, al modo in cui la vicenda dedotta in giudizio è stata decisa sul punto oggetto dell’impugnazione, appare evidente che il quesito, per concludere l’illustrazione del motivo, doveva necessariamente contenere un riferimento riassuntivo ad esso e, quindi, al suo oggetto, cioè al punto della decisione impugnata da cui il motivo dissentiva, sì che risultasse evidenziato – ancorchè succintamente – perchè l’interrogativo astratto era giustificato in relazione alla controversia per come decisa dalla sentenza impugnata. Un quesito che non presentasse questo modo di articolazione era ed è da ritenere un non-quesito (si veda, in termini, fra le tante, sempre Cass. sez. un. n. 26020 del 2008; nonchè n. 6420 del 2008).

2.2. In ordine al secondo aspetto, la tesi che il quesito di diritto relativo alla violazione di norme del procedimento ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4 (tesi sostenuta da Cass. n. 16941 del 2008, citata dal ricorrente, ma non da Cass. n. 20614 del 2009, che pure Egli cita, ma si occupa del requisito dell’art. 366 bis c.p.c., riguardo al motivo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, ed anzi espressamente afferma l’applicabilità della norma al motivo ai sensi del n. 4), è stata disattesa, con ampia esposizione delle argomentazioni contrarie, da Cass. (ord.) n. 4329 del 2009, alla quale il Collegio aderisce (peraltro, successivamente Cass. n. 19558 del 2009 è tornata ad aderire alla tesi di Cass. n. 16941 del 2008, ma con un mero richiamo e senza farsi carico delle obiezioni di cui a Cass. n. 4329 del 2009, che sostiene la tesi tradizionalmente affermata dalla giurisprudenza della Corte).

p. 2.3. Quanto all’invocazione che i quesiti sarebbero specifici è sufficiente per disattenderla quanto osservato in punto di necessaria conclusività del quesito, raccordato con le argomentazioni della relazione.

In ordine alla necessità che il motivo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, esiga un momento di sintesi espressivo della cd.

“chiara indicazione”, cui allude l’art. 366 bis c.p.c., si veda, ex multis, Cass. sez. un. n. 20603 del 2007.

3. Il ricorso è, dunque, dichiarato inammissibile, in quanto la valutazione di inammissibilità prospettata con la relazione dev’essere confermata.

Le spese del giudizio di Cassazione seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna il ricorrente alle spese del giudizio di cassazione in favore dei resistenti in euro cinquecento, oltre spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile, il 20 gennaio 2010.

Depositato in Cancelleria il 25 marzo 2010

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