Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7169 del 13/03/2020

Cassazione civile sez. I, 13/03/2020, (ud. 22/01/2020, dep. 13/03/2020), n.7169

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DIDONE Antonio – Presidente –

Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –

Dott. VELLA Paola – Consigliere –

Dott. DOLMETTA Aldo Angelo – Consigliere –

Dott. AMATORE Roberto – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 2721-2019 r.g. proposto da:

K.C., (cod. fisc. (OMISSIS)), rappresentato e difeso, giusta

procura speciale apposta in calce al ricorso, dall’Avvocato Antonio

Barone, presso il cui studio è elettivamente domiciliato in

Avellino, Via Tranquillino Benigni;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, (cod. fisc. (OMISSIS)), in persona del legale

rappresentante pro tempore il Ministro, rappresentato e difeso, ex

lege, dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui Uffici in

Roma, Via dei Portoghesi n. 12 è elettivamente domiciliato;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Corte di appello di Napoli, depositata in

data 16.7.2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

22/1/2020 dal Consigliere Dott. Roberto Amatore.

Fatto

RILEVATO

CHE:

1. Con la sentenza impugnata la Corte di Appello di Napoli ha rigettato l’appello proposto da K.C., cittadino del (OMISSIS), avverso l’ordinanza del Tribunale di Napoli, con la quale erano state respinte le richieste di riconoscimento dello status di rifugiato e quelle volte al riconoscimento della protezione sussidiaria e al rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari.

La corte del merito ha in primo luogo ricordato la vicenda personale del richiedente: il richiedente ha dichiarato di aver lasciato il suo paese per timore di esser ucciso a causa dell’appartenenza al partito politico (OMISSIS), di cui il padre era un dirigente periferico; ha riferito di aver subito una violenta aggressione, che gli ha causato la rottura di un braccio e l’ha costretto alla degenza in ospedale; di aver denunciato l’aggressione alle competenti autorità ma che, tuttavia, rientrato al lavoro, aveva ricevuto messaggi telefonici in cui veniva minacciato di lasciare il proprio partito e di iscriversi al (OMISSIS).

La corte di merito ha ritenuto non credibile il racconto dell’appellante, in ragione, da un lato, della circostanza che il richiedente aveva continuato a vivere in patria per un tempo considerevole dopo i fatti narrati (essendosene allontanato solo nel 2014) e, dall’altro, della genericità delle circostanze riferite, non evidenziandosi, peraltro, atti di persecuzione specifica nei confronti dell’odierno ricorrente nè anteriormente nè successivamente alla fuga. La corte territoriale ha inoltre osservato che il narrato risultava in contrasto con il quadro di riferimento e con le informazioni socio-politiche sul paese di provenienza, dovendosi altresì escludere tanto il pericolo di esecuzione di una condanna a morte quanto quello di trattamenti inumani, degradanti o di torture. Il giudice del gravame ha infine escluso l’esistenza in (OMISSIS) di una situazione di violenza indiscriminata derivante da conflitto armato, così evidenziando la infondatezza dei presupposti per il riconoscimento della protezione sussidiaria; ha anche escluso la ricorrenza dei requisiti per il riconoscimento della protezione umanitaria, posto che non erano riscontrabili situazioni di vulnerabilità, con rischio, in caso di accoglimento della domanda, di accordare protezione ad un fenomeno ch migrazione economico: non emergeva, infatti, un effettivo inserimento lavorativo del richiedente nè circostanze familiari che legassero in modo significativo quest’ultimo al territorio italiano.

2. La sentenza, pubblicata il 16.7.2018, è stata impugnata da K.C. con ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi, cui il Ministero dell’Interno ha resistito con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

1. Con il primo motivo la parte ricorrente lamenta violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2007, artt. 3 e 5, D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, art. 27, comma 1 bis. Si osserva da parte del ricorrente che la Corte d’appello aveva rigettato la domanda di protezione internazionale contravvenendo al principio di diritto secondo cui il giudice non può formare il proprio convincimento esclusivamente sulla base della credibilità soggettiva del richiedente e sull’adempimento dell’onere di provare la sussistenza del fumus persecutionis nel paese di origine. Si evidenzia che i giudici del merito sono tenuti a verificare la condizione di persecuzione di opinioni, abitudini, pratiche sulla base di informazioni esterne ed oggettive relative alla situazione reale del paese di origine. Così, la Corte di merito non avrebbe adeguatamente attivato il potere istruttorio officioso necessario per una conoscenza adeguata della situazione socio-economica e delle disposizioni legislative e regolamentari del paese di provenienza del ricorrente, come era invece suo obbligo precipuo.

2. Con il secondo mezzo si articola vizio di violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 2, 7, 8 e 11, e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 2. Evidenzia il ricorrente che i fatti narrati non erano stati smentiti da elementi di segno contrario nè erano in contraddizione con notizie ed informazioni generali provenienti dal paese di provenienza e trovavano conferma nella difficile situazione di sicurezza esistente nel paese di origine. Ne consegue che, in caso di rimpatrio, emergeva chiaro il rischio di subire da parte del richiedente atti di violenza fisica e psichica, in relazione ai quali le autorità statuali non erano comunque in grado di fornire protezione.

3.Con il terzo motivo si deduce violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c). Si denuncia la estrema genericità di valutazione da parte dei giudici del merito della condizione del (OMISSIS), non avendo considerato che il richiedente viveva in una situazione ambientale di continua conflittualità politica, ove ancora oggi unica soluzione risulta essere la sottomissione, fatta salva la possibilità di fuga. Si evidenzia che, nel caso di specie, il ricorrente era scappato dal (OMISSIS) per sfuggire alle minacce dei membri del partito (OMISSIS) dai quali era stato brutalmente picchiato, circostanza quest’ultima di cui il giudice del gravame non aveva tenuto conto nell’ambito della sua decisione.

4. Con il quarto motivo il ricorrente lamenta violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5. Evidenzia il ricorrente che l’attuale condizione socio-politica-economica del (OMISSIS) giustifica il riconoscimento della tutela residuale costituita dal rilascio del permesso per ragioni umanitarie: condizioni di vulnerabilità del ricorrente, pericolo di essere sottoposto a trattamenti inumani o degradanti, instabilità politica e sociale con deterioramento delle condizioni generali e insufficiente rispetto dei diritti umani, condizioni di vita precarie, diritto alla salute e all’alimentazione.

5. Il ricorso è inammissibile.

5.1 I primi due motivi – che possono essere trattati congiuntamente prospettando doglianze in merito al mancato riconoscimento dello status di rifugiato – sono inammissibili, in quanto genericamente formulati e perchè non colgono la ratio decidendi principale posta a sostegno della decisione di diniego della reclamata protezione, e cioè la valutazione di non credibilità del ricorrente.

5.2 Il terzo motivo è del pari inammissibile in quanto volto a sollecitare questa Corte ad una rivalutazione del merito della decisione in ordine al giudizio di pericolosità interna del (OMISSIS), profilo sul quale invece la corte territoriale ha espresso una motivazione adeguata e scevra da criticità argomentative, escludendo – tramite la consultazione di qualificate fonti conoscitive – che il (OMISSIS) sia paese attraversato da violenza generalizzata.

5.3 Il quarto motivo è inammissibile in quanto genericamente formulato quanto alle ragioni di doglianza prospettate.

Ne consegue la declaratoria di inammissibilità del ricorso.

Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e vengono liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 2.200 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 22 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 13 marzo 2020

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