Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7168 del 04/03/2022
Cassazione civile sez. VI, 04/03/2022, (ud. 09/02/2022, dep. 04/03/2022), n.7168
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE T
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. NAPOLITANO Lucio – Presidente –
Dott. LUCIOTTI Lucio – Consigliere –
Dott. FRACANZANI Marcello M. – Consigliere –
Dott. SUCCIO Robert – rel. Consigliere –
Dott. PUTATURO DONATI VISCIDO DI NOCERA Maria Giuli – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. R.G. 27701/2020 proposto da:
OCEANIA s.r.l. in persona del suo legale rappresentante pro tempore
rappresentata e difesa giusta delega in atti dall’avv. Fabio Russo
(PEC: russo.partners.twtcert.it);
– ricorrente –
Contro
AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,
rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, con
domicilio eletto in Roma, via Dei Portoghesi, n. 12, presso
l’Avvocatura Generale dello Stato PEC
(ags.rm.legalmail.avvocaturastato.it);
– controricorrente –
avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale della
Campania n. 675/21/19 depositata in data 17/01/2020;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non
partecipata del 09/02/2022 dal Consigliere Relatore Roberto Succio.
Fatto
RILEVATO
che:
– la società contribuente ricorreva impugnando l’avviso di accertamento notificatogli per IVA e imposte reddituali relative all’anno 2012;
– la CTP rigettava il ricorso; gravava tal pronuncia di appello la OCEANIA s.r.l.;
con la sentenza impugnata la CTR rigettava l’impugnazione;
– ricorre a questa Corte la contribuente società con atto affidato a quattro motivi e debitamente illustrato con memoria ex art. 378 c.p.c.; resiste con controricorso l’Agenzia delle Entrate.
Diritto
CONSIDERATO
che:
– il primo motivo di ricorso deduce ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, in relazione all’art. 112 c.p.c. ed al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 34, comma 3, la omessa pronuncia sulla istanza di differimento dell’udienza di trattazione, per avere la CTR mancato di prender posizione a fronte dell’eccezione relativa all’omesso esame dell’istanza di rinvio a fronte della mancata comunicazione dell’avviso di fissazione dell’udienza pubblica; la disamina di tal eccezione avrebbe imposto, secondo il ricorrente, la rimessione del processo al giudice di primo grado;
– il motivo è infondato;
– posto, in primo luogo, che il richiesto rinvio dell’udienza non configura certo un obbligo giuridico in capo al giudice di merito di provvedere in tal senso, deve ritenersi che in ogni caso nella motivazione dell’insussistenza dei presupposti per la sospensione necessaria siano contenute anche le ragioni dell’implicito diniego di differimento dell’udienza;
– la CTR ha poi debitamente pronunciato – al punto 1 della motivazione – risolvendo la questione postale del tutto correttamente in diritto; questa Corte ritiene infatti, come ha stabilito anche la pronuncia gravata, che (Cass. Sez. 5, Ordinanza n. 19579 del 24/07/2018) la trattazione del ricorso in camera di consiglio invece che alla pubblica udienza, in presenza di un’istanza di una delle parti ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 33, integra una nullità processuale che, pur travolgendo la successiva sentenza per violazione del diritto di difesa, non determina, una volta dedotta e rilevata in appello, la “retrocessione” del giudizio in primo grado, poiché tale ipotesi non rientra tra quelle tassativamente previste dal detto D.Lgs., art. 59, l’appello costituisce, anche nel processo tributario, un gravame generale a carattere sostitutivo che impone al giudice dell’impugnazione di pronunciarsi e decidere sul merito della controversia;
– il secondo motivo di ricorso censura la pronuncia impugnata ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, in relazione al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36, per avere la CTR dettato una motivazione apparente; il terzo motivo si incentra, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, anch’esso sulla omessa, apparente, perplessa e contraddittoria motivazione, censurando anche la contraddittorietà della pronuncia sugli elementi di prova;
– ambedue i motivi sono da rigettare: il secondo in quanto infondato ed il terzo in quanto inammissibile;
– poiché infatti la sentenza oggetto di gravame risulta depositata in data successiva all’11 settembre 2012 trova applicazione quanto ai motivi di ricorso e ai vizi deducibili per cassazione, il nuovo testo dell’art. 360 c. 1 n. 5 c.p.c. (come modificato dal d. L. 22 giugno 2012, n. 83, cosiddetto “Decreto Sviluppo”, pubblicato in Gazzetta Ufficiale 26 giugno 2012, n. 147, convertito con modificazioni, dalla L. 7 agosto 2012, n. 134 pubblicata in Gazzetta Ufficiale n. 187 del 11-08-2012); tal disposizione, per l’appunto applicabile alle sentenze pubblicata a partire dall’11 settembre 2012, consente di adire la Suprema Corte per “omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti”; conseguentemente, poiché formulate in concreto con riferimento al previgente testo del n. 5 di cui sopra, tutte le censure aventi per oggetto, in sostanza, il difetto di motivazione non sono consentite e devono esser dichiarate inammissibili; è costante l’orientamento di questa Corte nel ritenere (Cass. Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014) che la riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, disposta dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, convertito in L. 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione;
– in particolare, “la motivazione del provvedimento impugnato con ricorso per cassazione deve ritenersi apparente quando pur se graficamente esistente ed, eventualmente sovrabbondante nella descrizione astratta delle norme che regola la fattispecie dedotta in giudizio, non consente alcun controllo sull’esattezza e la logicità del ragionamento decisorio, così da non attingere la soglia del “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111 Cost., comma 6″ (Cass., Sez. 1, Ordinanza n. 13248 del 30/06/2020). Pertanto, “In tema di contenuto della sentenza, il vizio di motivazione previsto dall’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, e dall’art. 111 Cost. sussiste quando la pronuncia riveli una obiettiva carenza nella indicazione del criterio logico che ha condotto il giudice alla formazione del proprio convincimento, come accade quando non vi sia alcuna esplicitazione sul quadro probatorio, né alcuna disamina logico-giuridica che lasci trasparire il percorso argomentativo seguito.” (Cass., Sez. L, Ordinanza n. 3819 del 14/02/2020);
– la sentenza qui impugnata, invece, ha chiaramente e con piena logica manifestato le ragioni poste alla base del decisum, rendendo quindi motivazione articolata, comprensibile, che la colloca ampiamente al di sopra del c.d. “minimo costituzionale” ex lege richiesto;
– infine, il quarto motivo si duole ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 della errata interpretazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. e dell’art. 2697 c.c. oltre che dell’art. 111 Cost. e della L. n. 212 del 2000, art. 7, per avere il giudice dell’appello mal governato i principi in tema di riparto dell’onus probandi, anche erroneamente ritenendo che il contribuente potesse accedere agli atti dell’Amministrazione emessi nei confronti di altri al fine si supplire alla mancata trasposizione nell’atto impugnato degli elementi essenziali in punto motivazione;
– il motivo è infondato;
– sotto tale profilo, va precisato, in primo luogo, come la fattura, di regola, costituisca titolo per il contribuente ai fini del diritto alla detrazione dell’Iva e alla deducibilità dei costi; spetta quindi all’Ufficio dimostrare il difetto delle condizioni per l’insorgenza di tale diritto. La dimostrazione può ben consistere in presunzioni semplici, in quanto la prova presuntiva non è collocata su un piano gerarchicamente subordinato rispetto alle altre fonti di prova e costituisce una prova completa alla quale il giudice di merito può attribuire rilevanza anche in via esclusiva ai fini della formazione del proprio convincimento (Cass. civ., 5 luglio 2018, n. 17619). Con specifico riferimento all’ipotesi, di cui alla presente controversia, in cui l’amministrazione finanziaria contesti l’inesistenza di operazioni assunte a presupposto della deducibilità dei relativi costi e di detraibilità della relativa imposta, questa Corte ha espresso il consolidato orientamento secondo cui la stessa ha l’onere di provare che l’operazione commerciale documentata dalla fattura non è stata in realtà mai posta in essere, indicando gli elementi presuntivi o indiziari sui quali fonda la contestazione, mentre è onere del contribuente dimostrare la fonte legittima della detrazione o del costo altrimenti indeducibili, non essendo sufficiente, a tal fine, la regolarità formale delle scritture o le evidenze contabili dei pagamenti, strumenti che vengono di solito adoperati proprio allo scopo di far apparire reale un’operazione fittizia. Più in particolare, la dimostrazione a carico dell’amministrazione finanziaria è raggiunta qualora siano forniti validi elementi che, alla stregua del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d), e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54, comma 2, possono anche assumere la consistenza di attendibili indizi, per affermare che le fatture sono state emesse per operazioni fittizie, ovvero che dimostrino in modo certo e diretto la inesattezza degli elementi indicati nella dichiarazione e nei relativi allegati ovvero la inesattezza delle indicazioni relative alle operazioni che danno diritto alla detrazione. Infatti, nell’ordinamento tributario, gli elementi indiziari, ove rivestano i caratteri di gravità, precisione e concordanza, danno luogo a presunzioni semplici le quali, proprio a mente degli univoci precetti dettati dalle sopra indicate previsioni normative, sono idonee, di per sé sole considerate, a fondare il convincimento del giudice. Assolto in tal guisa l’onere della prova incombente sull’amministrazione finanziaria, grava poi sul contribuente la dimostrazione dell’effettiva esistenza delle operazioni contestate. Pertanto, il giudice tributario di merito, investito della controversia sulla legittimità e fondatezza dell’atto impositivo, è tenuto a valutare, singolarmente e complessivamente, gli elementi presuntivi forniti dall’amministrazione finanziaria, estrinsecando in motivazione i risultati del proprio giudizio; solo in un secondo momento, qualora ritenga tali elementi dotati dei caratteri di gravità, precisione e concordanza, deve dare ingresso alla valutazione della prova contraria offerta dal contribuente, a tanto onerato dall’art. 2697 c.c., comma 2;
– la CTR, nel rispetto di questi principi, ha quindi correttamente dapprima valutato l’imponente compendio indiziario (riportato al par. 5 della motivazione) che costituiva insieme di elementi presuntivi atti a trasferire l’onere della prova sul contribuente;
– successivamente, essa ha preso in esame gli elementi di segno contrario forniti dalla società (terzo capoverso del par. 5 della motivazione) e ha valutato complessivamente le risultanze in atti, ritenendo fornita la prova dell’inesistenza delle operazioni;
– la CTR abbia invece fatto corretta applicazione della giurisprudenza di questa Corte, anche nelle sue più recenti pronunce che confermano i principi sopra illustrati, secondo le quali (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 28628 del 18/10/2021; Cass. Sez. 5, Ordinanza n. 28246 del 11/12/2020; in argomento anche Cass. Sez. 5, Ordinanza n. 17619 del 5 07/2018) in tema di IVA, una volta che l’Amministrazione finanziaria dimostri, anche mediante presunzioni semplici, l’oggettiva inesistenza delle operazioni, spetta al contribuente, ai fini della detrazione dell’IVA e/o della deduzione dei relativi costi, provare l’effettiva esistenza delle operazioni contestate, non potendo tale onere ritenersi assolto con l’esibizione della fattura, ovvero in ragione della regolarità formale delle scritture contabili o dei mezzi di pagamento adoperati, in quanto essi vengono di regola utilizzati proprio allo scopo di far apparire reale un’operazione fittizia;
– conseguentemente, il ricorso è rigettato;
– le spese seguono la soccombenza.
P.Q.M.
rigetta il ricorso; liquida le spese in Euro 4.100,00 oltre a spese prenotate a debito che pone a carico di parte soccombente.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari quello dovuto per il ricorso principal9Pa norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 9 febbraio 2022.
Depositato in Cancelleria il 4 marzo 2022