Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7167 del 21/03/2017


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Cassazione civile, sez. lav., 21/03/2017, (ud. 14/12/2016, dep.21/03/2017),  n. 7167

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRONZINI Giuseppe – Presidente –

Dott. CURCIO Laura – Consigliere –

Dott. MANNA Antonio – rel. Consigliere –

Dott. BALESTRIERI Federico – Consigliere –

Dott. SPENA Francesca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 1719-2015 proposto da:

POSTE ITALIANE S.P.A. C.F. (OMISSIS), in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

VITTORIA COLONNA 40, presso lo studio dell’avvocato DAMIANO LIPANI,

che la rappresenta e difende giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

M.R.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 1823/2014 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 04/07/2014 r.g.n. 10535/2011;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

14/12/2016 dal Consigliere Dott. MANNA ANTONIO;

udito l’Avvocato GIORGIO MAZZONE per delega verbale Avvocato DAMIANO

LIPANI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CELENTANO CARMELO, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza depositata il 4.7.14 la Corte d’appello di Roma, in totale riforma della sentenza di rigetto emessa dal Tribunale capitolino, ha dichiarato nullo il patto di prova apposto al contratto di lavoro stipulato il (OMISSIS) (con decorrenza 17.11.08) tra M.R. e Poste Italiane S.p.A. nonostante la pregressa esperienza decennale maturata dal lavoratore nelle stesse mansioni (smistamento di corrispondenza) e presso la stessa società nel corso di molteplici contratti di lavoro a tempo determinato. Per l’effetto, ha dichiarato illegittimo il licenziamento intimato il (OMISSIS) per mancato superamento della prova, ordinando alla società la reintegra del dipendente nel posto di lavoro con le conseguenze economiche di cui alla L. n. 300 del 1970, art. 18.

Per la cassazione della sentenza ricorre Poste Italiane S.p.A. affidandosi a due motivi.

M.R. non ha svolto attività difensiva.

Il Collegio ha autorizzato, come da decreto del Primo Presidente in data 14 settembre 2016, la redazione della motivazione in forma semplificata.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1.1. Il primo motivo denuncia violazione o falsa applicazione dell’art. 2096 c.c. e art. 115 c.p.c., per avere la sentenza impugnata erroneamente ritenuto la non necessità del patto di prova, viste le pregresse esperienze lavorative del ricorrente, nelle stesse mansioni, presso Poste Italiane S.p.A.: quest’ultima obietta che l’istruttoria di causa aveva dimostrato che le mansioni svolte in forza del contratto stipulato il (OMISSIS) erano, in realtà, diverse da quelle espletate nel corso dei precedenti contratti a termine, nel senso che nell’ultimo contratto di lavoro a termine, vale a dire in quello cessato il 30.6.08, l’intimato era stato adibito a mansioni di addetto CRP junior per lo smistamento di lettere e cartoline presso il CMP di Fiumicino, con inquadramento nel livello E, mentre il contratto stipulato il (OMISSIS), fermi restando il medesimo inquadramento e la stessa figura professionale, prevedeva l’assegnazione del lavoratore al Business Unit Postai Services – Area Logistica territoriale Nord Est, con sede di lavoro a (OMISSIS); tali ultime mansioni, diversamente da quelle da ultimo espletate, della corrispondenza prevedevano non soltanto lo smistamento, ma anche il previo inserimento in un impianto meccanizzato; inoltre – prosegue il motivo l’assunzione a tempo indeterminato era avvenuta attingendo da un’apposita graduatoria e in forza d’un accordo sindacale del 13.1.06 cui lo stesso M.R. aveva dichiarato di aderire.

1.2. Il primo mezzo va disatteso perchè si colloca all’esterno dell’area di cui all’art. 360 c.p.c., atteso che, ad onta dei richiami normativi in esso contenuti, sostanzialmente sollecita una rivisitazione nel merito della vicenda e delle risultanze processuali affinchè se ne fornisca un diverso apprezzamento, accertando una diversità di mansioni che – invece – i giudici d’appello hanno in punto di fatto motivatamente escluso.

Si tratta di operazione non consentita in sede di legittimità, ancor più ove si consideri il nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, (applicabile, ai sensi del cit. art. 54, comma 3, alle sentenze pubblicate dal trentesimo giorno successivo a quello di entrata in vigore della legge di conversione del decreto, cioè alle sentenze pubblicate dal 12.9.12 e, quindi, anche alla pronuncia in questa sede impugnata): in esso il vizio consiste, come statuito da Cass. S.U. 7.4.14 n. 8053 e dalle successive pronunce conformi, nell’omesso esame d’un fatto inteso nella sua accezione storico – fenomenica (e, quindi, non un punto o un profilo giuridico o la maggiore o minore significatività del fatto medesimo o il suo apprezzamento) e non nella diversa ricostruzione dei fatti rilevanti ai fini del decidere o in un difforme apprezzamento di determinati elementi probatori.

Per il resto, non rimane che ribadire il costante insegnamento di questa Corte Suprema, secondo cui, nel lavoro subordinato, la causa del patto di prova è quella di tutelare l’interesse di entrambe le parti del rapporto a sperimentarne la convenienza, sicchè deve affermarsi l’invalidità del patto medesimo ove la suddetta verifica sia già intervenuta, con esito positivo, per le specifiche mansioni in virtù di prestazione resa dallo stesso lavoratore, per un congruo lasso di tempo, a favore del medesimo datore di lavoro.

Ne consegue che la ripetizione del patto di prova in occasione d’un successivo contratto di lavoro tra le stesse parti è ammissibile solo se essa, in base all’apprezzamento del giudice di merito, risponda alla suddetta causa, permettendo all’imprenditore di verificare non solo le qualità professionali, ma anche il comportamento e la personalità del lavoratore in relazione all’adempimento della prestazione, elementi suscettibili di modificarsi nel tempo per l’intervento di molteplici fattori, attinenti alle abitudini di vita o a problemi di salute (cfr. Cass. n. 10440/12; Cass. n. 17767/09; Cass. n. 15960/05; Cass. n. 8579/04; Cass. n. 5016/04).

Nel caso di specie i giudici di merito hanno ritenuto che, visto la vicinanza temporale fra l’ultima assunzione (a tempo indeterminato) e i precedenti contratti a termine, tutti caratterizzati dalle stesse mansioni, non vi fosse alcuna ragione di apporre il patto di prova de quo.

Infine, è irrilevante ai presenti fini che l’assunzione a tempo indeterminato sia avvenuta attingendo da un’apposita graduatoria e in forza d’un accordo sindacale.

2.1. Il secondo motivo deduce violazione dell’art. 112 c.p.c., per vizio di ultrapetizione, avendo la Corte territoriale affermato, in motivazione, la necessità che M.R. seguisse un corso SIACS, necessità smentita dalle stesse allegazioni del lavoratore e dalle risultanze istruttorie.

2.2. Il secondo mezzo è per un verso irrilevante, per altro infondato.

E’ irrilevante perchè, censurando una delle due alternative rationes decidendi adottate dall’impugnata sentenza (che ha altresì escluso che M.R. non avesse superato la prova), una volta accertata la fondatezza della prima (la nullità del patto di prova: v. paragrafo che precede) resta ininfluente la circostanza della correttezza o meno della società (che secondo la sentenza impugnata avrebbe dovuto far frequentare un apposito corso all’odierno intimato, di guisa che l’eventuale mancato superamento della prova non gli sarebbe stato neppure imputabile).

Il mezzo è, poi, per altro verso infondato perchè il vizio di ultrapetizione sussiste unicamente ove il Giudice pronunci su domande od eccezioni non proposte dalle parti, non anche quando valorizzi – ai fini della propria decisione – circostanze di fatto comunque ricavate da allegazioni anche solo silenti, cioè operate dalle parti ad altri fini o emergenti dalla documentazione da loro prodotta o dalle deposizioni acquisite nel corso dell’istruttoria (sulle allegazioni silenti cfr., ex aliis, Cass. n. 10871/14).

3.1. In conclusione, il ricorso è da rigettarsi.

Non è dovuta pronuncia sulle spese del presente giudizio di legittimità, non avendo l’intimato svolto attività difensiva.

PQM

La Corte rigetta il ricorso. Nulla per spese.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, come modificato dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 14 dicembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 21 marzo 2017

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