Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7165 del 15/03/2021

Cassazione civile sez. trib., 15/03/2021, (ud. 30/09/2020, dep. 15/03/2021), n.7165

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRUSCHETTA Ernestino – Presidente –

Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. CATALLOZZI Paolo – Consigliere –

Dott. TRISCARI Giancarlo – Consigliere –

Dott. GORI Pierpaolo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 6283 del ruolo generale dell’anno 2013

proposto da:

Dock Service s.r.l., in persona del legale rappresentante,

rappresentata e difesa dall’Avv. Mimmo Napoletano per procura

speciale in calce alla memoria, elettivamente domiciliato in Roma,

piazza Cavour, presso la cancelleria della Corte di cassazione;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle entrate;

– intimata –

per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria

regionale della Campania, n. 245/39/12, depositata in data 19 luglio

2012;

udita la relazione svolta nella camera di consiglio del giorno 30

settembre 2020 dal Consigliere Giancarlo Triscari.

 

Fatto

RILEVATO

che:

dall’esposizione in fatto della sentenza impugnata si evince che: l’Agenzia delle entrate aveva notificato a Dock Service s.r.l. un avviso di accertamento con il quale, relativamente all’anno di imposta 2004, aveva contestato la non deducibilità dei costi e la non detraibilità dell’Iva di cui agli acquisti effettuati dalla ditta Global France Import Export, in quanto la ditta venditrice era risultata inesistente; avverso l’avviso di accertamento la società aveva proposto ricorso che era stato rigettato dalla Commissione tributaria provinciale di Napoli; avverso la sentenza del giudice di primo grado la società, nonchè A.A., in proprio, e S.L., quale terzo chiamato, avevano proposto appello; la Commissione tributaria regionale ha rigettato l’appello, in particolare ha ritenuto che: l’accertata inesistenza della ditta venditrice comportava l’inesistenza della operazione; non vi era prova della presenza o della vendita della merce, nonchè dei pagamenti effettuati; parte appellante non aveva fornito alcuna prova contraria, diversa dalla mera documentazione contabile, che consentisse di accertare l’effettività dell’operazione;

la società ha quindi proposto ricorso per la cassazione della sentenza affidato a tre motivi di censura, illustrati con successiva memoria;

l’Agenzia delle entrate ha depositato atto denominato “di costituzione” con il quale ha dichiarato di costituirsi al solo fine dell’eventuale partecipazione all’udienza di discussione della causa.

Diritto

CONSIDERATO

che:

con il primo motivo di ricorso si censura la sentenza in relazione al “diniego di detrazione dell’Iva, per violazione e falsa applicazione di legge, in relazione al principio di c.d. neutralità dell’Iva ed alla L. n. 212 del 2000, art. 10, comma 1”, dovendosi ritenere che, in caso di operazione soggettivamente inesistente, l’onere di dimostrare la buona fede è da porsi a carico dell’amministrazione finanziaria;

il motivo è inammissibile;

lo stesso, in realtà, risulta del tutto non conferente con la pronuncia oggetto di censura, del cui contenuto non si fa in alcun modo riferimento, prospettando la questione della prova della buona fede in caso di operazione soggettivamente inesistente, senza, peraltro, tenere conto della ratio decidendi della suddetta pronuncia la quale, in realtà, ha rigettato l’appello ritenendo che la fattispecie era riconducibile ad una operazione oggettivamente inesistente, in base all’argomento decisivo che “Dall’inesistenza della ditta fornitrice si desume l’inesistenza della fornitura” e tenuto conto, d’altro lato, del fatto che nessuna prova oggettiva, diversa dalla documentazione contabile, di per sè non necessariamente attendibile, era stata offerta dalla società;

con il secondo motivo si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), per motivazione insufficiente ed illogica in ordine alla natura fittizia del cedente ed alla inscientia fraudis del cessionario, nonchè ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), per violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54;

in particolare, si censura la sentenza: per non avere indicato gli elementi della natura fittizia dell’operazione da cui sarebbe, poi, derivato l’onere della contribuente, di fornire la prova contraria, e, quindi, per avere reso una motivazione apparente, avendo posto a carico del contribuente la prova della dimostrazione del proprio colpevole affidamento; per avere, inoltre, preteso dalla contribuente un onere di prova, quello di individuare il soggetto responsabile della frode, non esigibile; per non avere considerato incolpevole l’affidamento sulla esistenza della fornitrice, tenuto conto del fatto che la contribuente è una società di piccole dimensioni e che le operazioni effettuate con la Global France Import Export costituivano solo 110/0 dell’importo annuo complessivo degli acquisti; non erano risultati ricavi occulti, in quanto il volume di affari complessivo della contribuente era risultato corrispondente a quello dichiarato; in quanto non era corretta l’affermazione, contenuta in sentenza, secondo cui non vi era prova dei pagamenti;

con il terzo motivo si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), per violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 109, commi 4 e 5, e per motivazione insufficiente, per avere ritenuto non deducibili i costi, mentre, tenuto conto della complessiva attendibilità delle registrazioni contabili, il diritto alla deduzione doveva essere riconosciuto;

i motivi, che possono essere esaminati unitariamente, in quanto attengono alla medesima questione della sussistenza dei presupposti per il riconoscimento del diritto alla detrazione dell’Iva o alla deduzione dei costi, sono infondati;

anche in questo caso, i motivi di ricorso in esame non tengono conto della ratio decidendi della pronuncia censurata;

il giudice del gravame, come già osservato, ha ritenuto che, nella fattispecie, le operazioni relative agli acquisti di merci dalla Global France Import Export erano da considerarsi oggettivamente inesistenti, e tale valutazione si poggia, sostanzialmente, su due elementi: la accertata inesistenza della società venditrice, come verificato nel processo verbale di constatazione; la mancanza di prova in ordine all’effettuazione dei pagamenti nonchè della esistenza in sè dell’operazione, quindi degli ordinativi, della ricezione della merce e, infine, dei destinatari dei pagamenti;

rispetto a tale valutazione di merito, parte ricorrente non indica quale fatto rilevante ai fini della decisione non sia stato tenuto in considerazione dal giudice del gravame e che avrebbe potuto condurre ad una diversa valutazione;

sicchè, la valutazione compiuta dal giudice del gravame si poggia sul complesso degli elementi sopra indicati, che hanno condotto a ritenere che le operazioni fossero oggettivamente inesistenti, per cui non può ragionarsi in termini di insufficiente motivazione ovvero di motivazione apparente;

sotto tale prospettiva, sia il profilo di censura relativo all’obbligo di diligenza richiesta al cessionario che quello relativo al non colpevole affidamento e alla regolarità contabile perdono di rilevanza proprio in considerazione dell’accertata natura di operazione oggettivamente inesistente;

ed invero, questa Corte (Cass. civ., 5 luglio 2018, n. 17619; 17 marzo 2020, n. 7370) ha affermato che: “In tema di IVA, una volta assolta da parte dell’Amministrazione finanziaria la prova dell’oggettiva inesistenza delle operazioni, spetta al contribuente, ai fini della detrazione dell’IVA e/o della deduzione dei relativi costi, provare l’effettiva esistenza delle operazioni contestate, senza che, tuttavia, tale, onere possa ritenersi assolto con l’esibizione della fattura ovvero in ragione della regolarità formale delle scritture contabili o dei mezzi di pagamento adoperati, che vengono di regola utilizzati proprio allo scopo di far apparire reale un’operazione fittizia”;

è stato, quindi, precisato (Cass. civ., 14 settembre 2016, n. 18118) che l’Amministrazione finanziaria, che contesti al contribuente l’indebita detrazione relativamente ad operazioni oggettivamente inesistenti, ha l’onere di provare che l’operazione non è mai stata posta in essere, indicandone i relativi elementi, anche in forma indiziaria o presuntiva, ma non anche quello di dimostrare la mala fede del contribuente, atteso che, una volta accertata l’assenza dell’operazione, non è configurabile la buona fede di quest’ultimo, che sa certamente se ed in quale misura ha effettivamente ricevuto il bene o la prestazione per la quale ha versato il corrispettivo;

sicchè; la circostanza della natura oggettivamente inesistente dell’operazione preclude ogni verifica del comportamento diligente del cessionario, essendo questi consapevole del carattere fraudolento dell’operazione;

con riferimento, infine, al profilo relativo all’avvenuto pagamento, il giudice del gravame ha accertato che “fondamentale, poi, è la mancanza, tra i documenti agli atti, di qualsiasi prova dei pagamenti effettuati, diversamente da quanto asserito dagli appellanti”;

rispetto al suddetto accertamento, parte ricorrente si limita a fare riferimento a quanto contenuto nel processo verbale di constatazione, da cui si evincerebbe che erano stati compiuti controlli incrociati sugli acquisti, pagamenti e sulle movimentazioni di merce e che non sarebbero emerse irregolarità;

anche in questo caso, il profilo di censura ha riguardo alla mera regolarità contabile delle operazioni, circostanza che, come detto, non può costituire idoneo elemento di prova contraria quando,sono contestate operazioni oggettivamente inesistenti; ne consegue il rigetto del ricorso;

nulla sulle spese, attesa la mancata costituzione dell’intimata; si dà atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

PQM

La Corte:

rigetta il ricorso.

Dà atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, il 30 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 15 marzo 2021

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