Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7162 del 13/03/2020

Cassazione civile sez. I, 13/03/2020, (ud. 04/02/2020, dep. 13/03/2020), n.7162

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CRISTIANO Magda – Presidente –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

Dott. PAZZI Alberto – rel. Consigliere –

Dott. VELLA Paola – Consigliere –

Dott. AMATORE Roberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 22016/2015 proposto da:

Formenti Seleco s.p.a. in liquidazione in amministrazione

straordinaria, in persona del commissario straordinario pro tempore,

elettivamente domiciliata in Roma, Via G. Vico n. 1, presso lo

studio dell’Avvocato Roberto Ranucci, rappresentata e difesa

dall’Avvocato Gaetano Ruggiero giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Class Industry S.p.a. in liquidazione, in persona del liquidatore pro

tempore, elettivamente domiciliata in Roma, Via Marianna Dionigi n.

29, presso lo studio dell’Avvocato Marina Milli, che la rappresenta

e difende, unitamente all’Avvocato Riccardo Canilli, giusta procura

a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2568/2015 della CORTE D’APPELLO di MILANO

depositata il 17/6/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

4/2/2020 dal cons. Dott. PAZZI ALBERTO.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con sentenza in data 23 settembre 2011 il Tribunale di Monza respingeva la domanda presentata da Formenti Seleco s.p.a. in liquidazione e in amministrazione straordinaria perchè fossero revocati, L. Fall., ex art. 67, comma 2, una serie di pagamenti effettuati dall’impresa in bonis in favore di Class Industry s.p.a. per il complessivo importo di Euro 45.060,74, ritenendo che non risultasse adeguatamente dimostrata la scientia decoctionis dell’accipiens.

2. Questa decisione veniva confermata, con sentenza depositata il 17 giugno 2015, dalla Corte d’appello di Milano, la quale condivideva le valutazioni compiute dal giudice di primo grado in ordine alla mancata prova della scientia decoctionis in capo all’appellata al momento dell’esecuzione dei pagamenti impugnati.

3. Formenti Seleco s.p.a. in liquidazione e in amministrazione straordinaria ha proposto ricorso per cassazione contro questa pronuncia al fine di far valere due motivi di impugnazione.

Ha resistito con controricorso Class Industry s.p.a..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

4.1 Il primo motivo di ricorso denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 342 c.p.c. in relazione all’indicazione di motivi specifici di impugnazione nonchè la falsa applicazione di tale norma nel testo riformato dalla L. n. 134 del 2012: la Corte distrettuale, applicando in modo errato l’art. 342 c.p.c. nella sua versione antecedente alla riforma introdotta dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54 avrebbe ritenuto l’atto di appello viziato da genericità a causa della mancata indicazione di specifici motivi di censura alla decisione del Tribunale; ciò malgrado fosse palese l’intenzione dell’appellante di impugnare la sentenza nella sua interezza, a causa dell’erronea valutazione in ordine alla prova dell’esistenza di criteri di collegamento che potessero permettere di ritenere dimostrata la scientia decoctionis, e benchè, a tal fine, l’esigenza di specificità dei motivi non potesse impedire che le doglianze si sostanziassero proprio nelle argomentazioni che suffragavano la domanda disattesa dal primo giudice.

4.2 La Corte territoriale, a fronte dell’unico motivo di appello sollevato da Formenti Seleco s.p.a. al fine di contestare l’esistenza della prova della conoscenza dello stato di insolvenza, si è limitata a constatare che l’appellante non aveva censurato una parte delle argomentazioni del Tribunale (affermazione che implicava l’implicito rilievo del passaggio in giudicato dell’accertamento del primo giudice circa l’irrilevanza probatoria di alcuni fatti allegati a sostegno della domanda), mentre, quanto agli argomenti effettivamente censurati, l’appello era infondato, “non rinvenendosi alcun elemento indiziario significativamente, e meno che mai, inequivocabilmente, concludente in termini tali da giustificare la sussistenza dell’elemento della scientia decoctionis”.

Il collegio d’appello dunque, investito dell’intero riesame della questione relativa alla dimostrazione della scientia decoctionis, ha rigettato il motivo di impugnazione, piuttosto che dichiararlo in parte inammissibile, in parte infondato, come sostiene la censura in esame.

Il mezzo risulta così inammissibile, perchè non coglie la ratio decidendi posta a base della decisione impugnata, come il ricorso per cassazione deve invece necessariamente fare (Cass. 19989/2017).

5.1 Il secondo mezzo lamenta, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’omesso esame di numerose e decisive circostanze, che, se valutate, avrebbero condotto all’accoglimento della domanda; queste circostanze sarebbero costituite: i) dalla diffusione a livello nazionale e non solo locale delle notizie di stampa concernenti la situazione di Formenti; ii) dal carattere non occasionale, ma stabile, intenso e duraturo, determinante un grande impegno economico, del rapporto di fornitura intrattenuto con Formenti dalla creditrice che, trovandosi spesso esposta per importi rilevanti a seguito dei cronici ritardi nei pagamenti della cliente, non poteva ignorarne la condizione di dissesto, peraltro facilmente evincibile dai dati di bilancio.

5.2 Anche questo motivo è inammissibile.

Ciò non solo perchè la doglianza, governata dal più recente disposto dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), non indica il “come” e il “quando” i fatti storici addotti siano stati oggetto di discussione processuale tra le parti (nel senso indicato da Cass., Sez. U., 7/4/2014 n. 8053), ma soprattutto perchè la ricorrente omette di confrontarsi con la motivazione della sentenza impugnata, che in realtà ha vagliato le circostanze asseritamente trascurate, negando che le stesse fossero idonee a fornire la prova per presunzioni della scientia decoctionis.

6. In forza dei motivi sopra illustrati il ricorso va pertanto dichiarato inammissibile.

Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al rimborso delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in Euro 4.200, di cui Euro 200 per esborsi, oltre accessori come per legge e contributo spese generali nella misura del 15%.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis ove dovuto.

Così deciso in Roma, il 4 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 13 marzo 2020

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