Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7160 del 21/03/2017


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Cassazione civile, sez. VI, 21/03/2017, (ud. 08/02/2017, dep.21/03/2017),  n. 7160

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CURZIO Pietro – Presidente –

Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –

Dott. FERNANDES Giulio – Consigliere –

Dott. GHINOY Paola – rel. Consigliere –

Dott. MANCINO Rossana – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 26083-2015 proposto da:

G.R. nella qualità di amministratore di sostegno di

G.S., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DELLE MILIZIE 76,

presso lo studio dell’avvocato PIETRO POZZAGLIA, rappresentata e

difesa dall’avvocato ANTONIETTA ALONGI CAMMALLERI;

– ricorrente –

contro

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, C.F.

(OMISSIS), in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso la

sede dell’AVVOCATURA dell’Istituto medesimo, rappresentato e difeso

unitamente e disgiuntamente dagli avvocati EMANUELA CAPANNOLO,

CLEMENTINA PULLI e MAURO RICCI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 435/2015 del TRIBUNALE di AGRIGENTO,

depositata il 21/04/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata dell’08/02/2017 dal Consigliere Dott. PAOLA GHINOY.

Fatto

RILEVATO IN FATTO

che:

1. Il Tribunale di Agrigento, con sentenza resa all’esito del procedimento previsto dall’art. 445 bis c.p.c., comma 6, rigettava il ricorso proposto da G.R., in qualità di amministratore di sostegno di G.S., al fine di ottenere il riconoscimento in favore dell’assistito dell’indennità di accompagnamento di cui alla L. n. 18 del 1980, art. 1.

Il Tribunale argomentava che la ricorrente non aveva formulato specifici e precisi elementi tali da infirmare le precise ragioni che avevano indotto il CTU nominato in sede di procedimento per a.t.p. ad escludere la sussistenza delle condizioni sanitarie per accedere al beneficio richiesto, che giustificassero l’ammissione di una nuova consulenza tecnica. Osservava in particolare che la ricorrente aveva lamentato solo una riduttiva valutazione del quadro clinico riconosciuto, senza indicarne i motivi e limitandosi ad elencare le patologie da cui è affetto il G..

2. Per la cassazione della sentenza G.R., nella qualità di amministratore di sostegno di G.S., ha proposto ricorso, con il quale deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 445 bis c.p.c., comma 5 e art. 414 c.p.c.. Sostiene che il ricorso, a differenza di quanto ritenuto dal Tribunale, conteneva una critica specifica ed idonea ad individuare le ragioni della doglianza, nonchè ad esplicitare le circostanze che rendevano fondata la domanda.

3. L’INPS ha resistito con controricorso. La ricorrente ha depositato anche memoria ex art. 380 bis c.p.c., comma 2.

4. Il Collegio ha autorizzato la redazione della motivazione in forma semplificata.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

che:

1. Il giudizio previsto dall’art. 445 bis c.p.c., comma 6 che nasce all’esito del dissenso dalle conclusioni del c.t.u., si pone sotto il profilo sanitario in funzione essenzialmente impugnatoria dell’accertamento da questo compiuto (v. Cass. n. 12332 del 2015). E difatti, viene espressamente richiesto, a pena d’inammissibilità, che il ricorrente specifichi “i motivi della contestazione” e quindi muova al primo elaborato rilievi specifici ed argomentati, atti ad infirmarne le conclusioni.

2. Il Tribunale nella sentenza gravata ha ritenuto i rilievi formulati nel ricorso generici e dunque inammissibili, e comunque infondati. Il ricorso, pur rubricato con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, attinge entrambi gli aspetti della pronuncia, quello formale-processuale e quello sostanziale.

3. In relazione al primo, si denuncia un vizio che attiene alla corretta applicazione delle norme da cui è disciplinato il processo che ha condotto alla decisione del giudice di merito, vizio che è pertanto ricompreso nella previsione dell’art. 360 c.p.c., comma 1), n. 4. Poichè il vizio della sentenza impugnata discende direttamente dal modo in cui il processo si è svolto, ossia dai fatti processuali che quel vizio possono aver procurato, si spiega il consolidato orientamento di legittimità secondo il quale, in caso di denuncia di errores in procedendo del giudice di merito, la Corte di cassazione è anche giudice del fatto, inteso come fatto processuale (v. Cass. n. 24481 del 2014, Cass. n. 14098 del 2009; Cass. n. 11039 del 2006; Cass. n. 15859 del 2002; Cass. n. 6526 del 2002). Le Sezioni Unite, con la sentenza n. 8077 del 2012, a composizione di un contrasto di giurisprudenza, hanno definitivamente chiarito che ove i vizi del processo si sostanzino nel compimento di un’attività deviante rispetto alla regola processuale prescritta dal legislatore, così come avviene nel caso che si tratti di stabilire se sia stato o meno rispettato il modello legale di introduzione del giudizio, il giudice di legittimità non deve limitare la propria cognizione all’esame della sufficienza e logicità della motivazione con cui il giudice di merito ha vagliato la questione, ma è investito del potere-dovere di esaminare direttamente gli atti ed i documenti sui quali il ricorso si fonda. Affinchè questa Corte possa riscontrare mediante l’esame diretto degli atti l’intero fatto processuale, è però necessario che la parte ricorrente indichi gli elementi caratterizzanti il fatto processuale di cui si chiede il riesame, nel rispetto delle disposizioni contenute nell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, e art. 369c.p.c., comma 2, n. 4, (ex plurimis, Cass. n. 24481 del 2014, Cass. n. 8008 del 2014, Cass. n. 896 del 2014, Cass. Sez. Un. n. 8077 del 2012, cit.).

Nel caso in esame, il ricorso sotto tale profilo è inammissibile, in quanto si limita a riportare le argomentazioni formulate nel ricorso ex art. 445 bis c.p.c., comma 6, ma non le motivazioni della c.t.u. che esse erano finalizzate a contrastare, delle quali sono trascritte a pg. 3 solo le conclusioni ma non le premesse, e neppure la descrizione della condizione clinica riscontrata, sicchè in tal senso non è possibile vagliare la loro pertinenza rispetto all’intero apparato argomentativo della consulenza. Il contenuto del ricorso non risulta pertanto sufficiente per comprendere la portata della doglianza ed accedere all’esame diretto degli atti imposto dalla censura avente ad oggetto il vizio processuale.

3. Sotto l’altro, diverso ma concorrente profilo, occorre ribadire il principio secondo il quale il giudice dell’appello non ha l’obbligo di rinnovare la consulenza tecnica, incombendogli tuttavia l’obbligo di motivare in ordine alle ragioni del mancato rinnovo ed a rispondere alle censure tecnico-valutative mosse dall’appellante avverso le valutazioni di ugual natura contenute nella sentenza impugnata (Cass. n. 7013 del 2004, Cass. ord., n. 5339 del 18/03/2015). Trasponendo tale principio al giudizio che ne occupa, ne deriva che anche la sentenza che abbia ritenuto le censure proposte con il ricorso inidonee ad infirmare le conclusioni rese dal c.t.u. nel procedimento per a.t.p. può essere censurata sotto il profilo del vizio di motivazione.

1. Deve quindi condurre l’interprete la premessa secondo la quale l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, riformulato dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54 conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia). Ne consegue che, nel rigoroso rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (cfr. Cass. S.U. 7.4.2014 n. 8053 e 8054 e altre successive).

2. Inoltre, avendo la sentenza gravata prestato adesione alle conclusioni del consulente tecnico d’ufficio nominato in sede di a.t.p., occorre ribadire che il vizio, denunciabile in sede di legittimità, della sentenza che abbia recepito la consulenza tecnica d’ufficio è ravvisabile in caso di palese devianza dalle nozioni correnti della scienza medica, la cui fonte va indicata, o nell’omissione degli accertamenti strumentali dai quali, secondo le predette nozioni, non può prescindersi per la formulazione di una corretta diagnosi, mentre al di fuori di tale ambito la censura costituisce mero dissenso diagnostico che si traduce in un’inammissibile critica del convincimento del giudice, pretendendo da questa Corte un sindacato di merito inammissibile (v. Cass., ord. 3 febbraio 2012, n. 1652).

3. Nel caso in esame, il Tribunale ha puntualmente argomentato sulle ragioni della sua adesione alla c.t.u., ritenendo che la ricorrente si limitasse a prospettare una maggiore gravità delle patologie rispetto a quella da lui accertata nella risposta al dettagliato quesito posto in sede di procedimento per a.t.p., supportata da precise ragioni desunte dalla loro effettiva incidenza invalidante, nè risultava decisiva per infirmarle la riferita necessaria accudienza del G. da parte del personale della Casa protetta “(OMISSIS)”, che avrebbe dovuto comunque trovare una giustificazione nella reale condizione clinica dell’assistito.

4. Le argomentazioni qui riproposte, che non denunciano l’omessa valutazione di un fatto storico circostanziato e decisivo nel senso sopra indicato, e sono del tutto prive di riferimenti alle violazione delle nozioni correnti della scienza medica che il c.t.u. avrebbe trascurato o nell’omissione di necessari accertamenti strumentali, si traducono quindi in un’inammissibile critica del convincimento del giudice, pretendendo da questa Corte un sindacato di merito.

5. Segue l’inammissibilità del ricorso.

6. Le spese del presente giudizio vanno dichiarate non ripetibili, avendo il Tribunale già accertato la ricorrenza dei presupposti per l’esonero ex art. 152 disp. att. c.p.c.

8. Sussistono invece i presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, previsto dal D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, considerato che l’insorgenza di detto obbligo non è collegata alla condanna alle spese, ma al fatto oggettivo del rigetto integrale o della definizione in rito, negativa per l’impugnante, del gravame (v. da ultimo ex multis Cass. ord. 16/02/2017 n. 4159).

PQM

Dichiara inammissibile il ricorso. Non assoggetta la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 8 febbraio 2017.

Depositato in Cancelleria il 21 marzo 2017

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