Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 716 del 15/01/2014


Clicca qui per richiedere la rimozione dei dati personali dalla sentenza

Civile Sent. Sez. 6 Num. 716 Anno 2014
Presidente: GOLDONI UMBERTO
Relatore: PETITTI STEFANO

equa riparazione

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
BELVIS1 Maria Rosa (BLV MRS 52P44 G315N), BELVIS1
(BLV

SVT

55H27

G315B),

BELVIS1

qualità

di eredi

G315T),

BELVIS1

Pierangelo
di Di

(BLV

Mariano
PNG

62C12

Malta Rosaria,

(BLV

Salvatore
MRN

56S27

G315L),

nella

GIGLIO Angela

Pia

(GCL NLP 70H56 G3151), nella qualità di erede di Giglio
Bartolomeo, FARINA Vincenzo (FRN VCN 58A01 G315I), nella
qualità di erede di Farina Giambattista, rappresentati e
difesi, per procure speciali in calce al ricorso,
dall’Avvocato Giovanni Romano, presso lo studio del quale
in Roma, via Valadier n. 43, sono elettivamente
domiciliati;
– ricorrente –

Data pubblicazione: 15/01/2014

contro
MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, in persona del Ministro
tempore,

pro

rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale

dello Stato, presso i cui uffici in Roma, via dei

resistente –

avverso il decreto della Corte d’appello di Caltanissetta
depositato in data 28 giugno 2012.
Udita la relazione della causa svolta nella camera di
consiglio del 4 ottobre 2013 dal Consigliere relatore Dott.
Stefano Petitti;
sentito l’Avvocato Giovanni Romano;
sentito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. Ignazio Patrone, che ha concluso per
l’accoglimento del ricorso per quanto di ragione.
Ritenuto che, con ricorso depositato il 6 dicembre 2010
presso la Corte d’appello di Caltanissetta, Belvisi Maria
Rosa, Belvisi Salvatore, Belvisi Mariano, Belvisi
Pierangelo, in proprio e nella qualità di eredi di Di Malta
Rosaria, Giglio Rosa e Giglio Angela Pia, in proprio e
nella qualità di erede di Giglio Bartolomeo, e Farina
Vincenzo, in proprio e nella qualità di erede di Farina
Giambattista, chiedevano la condanna del Ministero della
Ah.hto.
giustizia al pagamento defnon patrimoniale derivato dalla
irragionevole durata di una procedura fallimentare svoltasi

Portoghesi n. 12, è domiciliato per legge;

presso il Tribunale di Trapani dal 25 ottobre 1991 ed
ancora pendente alla data di proposizione della domanda,
procedimento nel quale lo stato passivo era stato
dichiarato esecutivo il 5 novembre 1996 e al quale essi

fallimento;
che l’adita Corte d’appello riteneva che la procedura
fallimentare – il cui

dies a quo rilevante doveva essere

individuato nella dichiarazione di esecutività dello stato
passivo (5 novembre 1996) e il cui

dies ad quem doveva

essere individuato in quello di presentazione della domanda
di riparazione (maggio 2011), e la cui durata era stata
quindi di quattordici anni e sei mesi – avrebbe dovuto
concludersi nel termine di dodici anni (di cui cinque per
durata della procedura ragionevole, cinque per la
definizione dei giudizi necessari alla ricostituzione della
massa attiva, e due per tentativi infruttuosi di vendita),
sicché la irragionevole durata della stessa era stata di
due anni e sei mesi;
che, quanto alla liquidazione del danno, la Corte
riteneva che, assumendo come base di calcolo l’importo
medio di euro 1.000,00 per anno di ritardo, dovesse
riconoscersi un indennizzo di euro 800,00 per anno di
ritardo in favore dei creditori ammessi al passivo per
crediti superiori a 20.000,00 euro, di euro 500,00 per anno

avevano partecipato nella qualità di creditori del

di ritardo in favore dei creditori ammessi per crediti
superiori ad euro 5.000,00, e di euro 350,00 per anno di
ritardo in favore dei creditori ammessi per somme inferiori
a 5.000,00;

di Di Malta Rosaria, deceduta il 17 ottobre 2001, la Corte
riteneva che i ricorrenti non potessero vantare alcun
credito a titolo ereditario, essendo la loro dante causa
deceduta prima che la procedura superasse la durata
ragionevole, e che neanche potesse essere loro riconosciuto
iure

proprio

alcunché in quanto, quand’anche fossero

subentrati nella procedura, per loro la durata, tenuto
conto di quella ragionevole come prima determinata, non
avrebbe superato un livello significativo ai fini della
indennizzabilità;
che quanto alla posizione degli eredi di Bartolomeo
Giglio, deceduto il 5 novembre 1996, la Corte rilevava che
al passivo erano stati ammessi Bartolomeo Giglio e Anna Pia
Giglio, sicché, nel mentre Rosa Giglio, che non aveva
assunto la qualità di parte della procedura, non poteva
vantare alcunché né a titolo ereditario né

iure proprio,

doveva invece riconoscersi ad Angela Pia, ammessa al
passivo per un credito superiore a 20.000,00 euro, un
indennizzo di euro 2.000,00;

4

che, con riferimento alla domanda proposta dagli eredi

che, quanto alla posizione di Farina Vincenzo, la Corte
rilevava che il medesimo aveva chiesto l’indennizzo per il
periodo successivo al 17 dicembre 2007, in quanto a quella
data era stato presentato analogo ricorso per il quale era

provvedimento di rigetto da parte della Corte di
cassazione, e riteneva quindi che, stante la situazione di
pendenza, non potesse darsi per accertato il diritto
all’indennizzo con riguardo al periodo pregresso, non
risultando comunque la data del decesso di Farina
Giambattista e non essendovi prova che l’erede avesse
assunto la qualità di parte nella procedura fallimentare;
che per la cassazione di questo decreto BELVISI Maria
Rosa, BELVISI Salvatore, BELVISI Mariano, BELVISI
Pierangelo, nella qualità di eredi di Di Malta Rosaria,
GIGLIO Angela Pia, nella qualità di erede di Giglio
Bartolomeo, FARINA Vincenzo, nella qualità di erede di
Farina Giambattista, hanno proposto ricorso sulla base di
cinque motivi;
che l’amministrazione intimata non ha resistito con
controricorso, ma ha depositato atto di costituzione ai
fini della partecipazione alla discussione.
Considerato che

che con il primo motivo i ricorrenti

denunciano violazione e/o falsa applicazione dell’art. 6,
par. 1, della Convenzione europea dei diritti dell’uomo,

ancora pendente il giudizio dopo l’annullamento del

dell’art. 2, commi 1 e 2, della legge n. 89 del 2001,
dolendosi della statuizione della Corte d’appello in ordine
alla determinazione della durata ragionevole della
procedura fallimentare;

di questa Corte, espresso in particolare anche con riguardo
alla medesima procedura fallimentare, in base al quale la
durata di una procedura fallimentare può essere considerata
ragionevole se si mantenga nei sette anni, allorquando la
procedura stessa sia complessa, sicché del tutto
ingiustificata doveva ritenersi la determinazione della
detta durata in anni dodici;
che con il secondo motivo i ricorrenti deducono vizio
di motivazione con riferimento alla determinazione del
momento iniziale della procedura fallimentare, sostenendo
che la Corte d’appello avrebbe errato nell’individuare
detto momento nella dichiarazione di esecutività dello
stato passivo, anziché nella data della domanda di
insinuazione al passivo;
che con il terzo motivo i ricorrenti denunciano
violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2, commi 1 e 2,
della legge n. 89 del 2001, e dei principi elaborati dalla
Corte

EDU

in materia di liquidazione dell’indennizzo, e

recepiti dalla giurisprudenza di legittimità (750,00 euro

che in proposito i ricorrenti richiamano l’orientamento

per ciascuno dei primi tre anni di ritardo e 1.000,00 euro
per ciascuno degli anni successivi);
che con il quarto motivo i ricorrenti denunciano
violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2, commi 1 e 2,

dalla Corte EDU in tema di diritto degli eredi di ottenere
l’equa riparazione per violazione del termine di durata
ragionevole del processo, e contestuale violazione
dell’art. 112 cod. proc. civ., in relazione alla domanda
avanzata da Giglio Angela Pia;
che in primo luogo i ricorrenti ritengono che non possa
trovare applicazione in relazione alla procedura
fallimentare il principio secondo cui il diritto degli
eredi alla riparazione della irragionevole durata del
giudizio introdotto dal loro dante causa è subordinato alla
costituzione degli stessi in quel giudizio e alla
assunzione della qualità di parte, atteso che la procedura
fallimentare presenta la particolarità che non si
interrompe né per il decesso del fallito, né per il decesso
dei creditori ammessi al passivo, e pertanto non vi è la
necessità di una formale costituzione da parte degli eredi;
che, con particolare riferimento alla posizione di
Angela Pia Giglio, si censura il fatto che la Corte
d’appello non abbia esaminato la domanda dalla stessa
proposta nella qualità di erede del padre Bartolomeo ed

della legge n. 89 del 2001, nonché dei principi elaborati

abbia invece esaminato una domanda, quella in proprio, non
formulata;
che con il quinto motivo si denuncia violazione e/o
falsa applicazione degli artt. 2, commi 1, 2 e 3, e 4 della

relazione alla domanda avanzata da Farina Vincenzo per il
periodo successivo alla presentazione di un primo ricorso
per equa riparazione;
che il primo motivo è fondato;
che, invero, nella giurisprudenza di questa Corte si è
chiarito che «in tema di equa riparazione da durata
irragionevole di una procedura fallimentare, non spetta al
creditore concorrente che lamenti tale irragionevolezza
allegare e dimostrare il ritardo nella predisposizione del
piano di riparto o nella liquidazione dei cespiti
fallimentari, ma, trattandosi di valutare, ai fini del
giudizio di complessità della procedura, ai sensi dell’art.
2, comma secondo, della legge n. 89 del 2001, attività cui
sono tenuti gli organi del fallimento, spetta
all’amministrazione convenuta dimostrare che il ritardo
nella definizione della procedura non va ascritto ai
predetti organi, essendo, invece, giustificato da
documentate ragioni, quali il sollecito esperimento di
azioni revocatorie fallimentari, la opposizione dello
stesso creditore allo stato passivo, obiettive difficoltà

8

legge n. 89 del 2001, nonché vizio di motivazione in

incontrate nella liquidazione delle attività fallimentari
od altro» (Cass. n. 7664 del 2005);
che d’altra parte è noto che «la durata delle procedure
fallimentari, secondo lo standard ricavabile dalle pronunce

nel caso di media complessità e, in ogni caso, per quelle
notevolmente complesse – a causa del numero dei creditori,
la particolare natura o situazione giuridica dei beni da
liquidare (partecipazioni societarie, beni indivisi, ecc.),
la proliferazione di giudizi connessi o la pluralità di
procedure concorsuali interdipendenti – non può superare la
durata complessiva di sette anni» (Cass. n. 8468 del 2012;
Cass. n. 9254 del 2012);
che la Corte d’appello si è all’evidenza discostata da
tale principio, ritenendo ragionevole per la procedura
fallimentare presupposta una durata di dodici anni, di cui
cinque quale misura standard di ragionevole durata, cinque
per la definizione dei contenziosi necessari alla
ricostituzione della massa attiva e due per i tentativi di
vendita dei beni fallimentari;
che anche il secondo motivo è fondato, atteso che, come
richiesto dai ricorrenti, è al momento della domanda di
insinuazione al passivo che deve aversi riguardo quale dies
a quo per la determinazione della ragionevole durata della

procedura fallimentare per i creditori;

9

della Corte europea dei diritti dell’uomo, è di cinque anni

che anche il terzo motivo è fondato,

atteso che la

Corte d’appello ha adottato un criterio di indennizzo del
ritardo irragionevolmente calibrato in misura
particolarmente significativa sull’importo del credito

ammessi al passivo per somme inferiori a 5.000,00 euro, un
indennizzo di 350,00 euro per anno, sensibilmente distante
dagli standard di liquidazione adottati da questa Corte
sulla scorta delle indicazioni provenienti dalla
giurisprudenza della Corte europea;
che il quarto motivo è invece infondato, nella parte in
cui con esso si pretende che gli eredi del creditore
ammesso al passivo possano beneficiare dell’indennizzo da
irragionevole durata a prescindere da una loro attivazione
nei confronti della procedura;
che invero, occorre rilevare che, in linea di
principio, «in tema di equa riparazione, ai sensi della
legge 24 marzo 2001 n. 89, qualora la parte costituita sia
deceduta anteriormente al decorso del termine di
ragionevole durata del processo presupposto, l’erede ha
diritto al riconoscimento dell’indennizzo “iure proprio”
dovuto al superamento del predetto termine, soltanto a
decorrere dalla sua costituzione in giudizio; ne consegue
che qualora l’erede agisca sia iure haereditatis
proprio,

che iure

non può assumersi come riferimento temporale di

ammesso al passivo, giungendo a liquidare, per i creditori

determinazione del danno l’intera durata del procedimento,
ma è necessario procedere ad una ricostruzione analitica
delle diverse frazioni temporali al fine di valutarne
separatamente la ragionevole durata, senza, tuttavia,

sofferto dal dante causa e quello personalmente patito
dagli eredi nel frattempo intervenuti nel processo, non
ravvisandosi incompatibilità tra il pregiudizio patito iure
proprio e quello che lo stesso soggetto può far valere pro
quota e iure successionis,

ove già entrato a far parte del

patrimonio del proprio dante causa» (Cass. n. 21646 del
2011);
che è certo, quindi, che «qualora la parte costituita
in giudizio sia deceduta nel corso di un processo avente
una durata irragionevole, l’erede ha diritto al
riconoscimento dell’indennizzo iure proprio soltanto per il
superamento della predetta durata verificatosi con
decorrenza dal momento in cui, con la costituzione in
giudizio, ha assunto a sua volta la qualità di parte; non
assume, infatti, alcun rilievo, a tal fine, la continuità
della sua posizione processuale rispetto a quella del dante
causa, prevista dall’art. 110 cod. proc. civ., in quanto il
sistema sanzionatorio delineato dalla

CEDU

e tradotto in

norme nazionali dalla legge n. 89 del 2001 non si fonda
sull’automatismo di una pena pecuniaria a carico dello

escludere la possibilità di un cumulo tra il danno morale

Stato, ma sulla somministrazione di sanzioni riparatorie a
beneficio di chi dal ritardo abbia ricevuto danni
patrimoniali o non patrimoniali, mediante indennizzi
modulabili in relazione al concreto patema subito, il quale

sua rapida conclusione» (Cass. n. 13083 del

2011; Cass. n.

23416 del 2009);
che ad analoghe conclusioni deve giungersi, ad avviso
del Collegio, anche con riferimento alla posizione degli
eredi del creditore ammesso al passivo di una procedura
fallimentare;
che non vale, infatti, a differenziare la posizione
dell’erede la particolarità della procedura fallimentare,
la quale non è suscettibile di interruzione per il decesso
del fallito o di uno dei creditori, atteso che in assenza
di dichiarazione da parte del procuratore costituito, anche
il giudizio ordinario di cognizione è destinato a
proseguire tra le parti originarie e non ne viene
dichiarata la interruzione;
che, d’altra parte, non vale neanche l’osservazione per
cui nella procedura fallimentare ciò che rileva è il
credito e non anche la posizione del creditore, trattandosi
di argomento che potrebbe indurre ad affermare la non
operatività della regola di ragionevole durata alle
procedure fallimentari;

presuppone la conoscenza del processo e l’interesse alla

che, infine, una volta escluso che la sofferenza
derivante dalla irragionevole protrazione del processo
presupposto possa trasferirsi in capo all’erede puramente e
semplicemente ai sensi dell’art. 110 cod. proc. civ., non

alcun modo manifestato alla procedura la propria posizione,
debba comunque soffrire in sostituzione del

de culus,

in

assenza di ogni prova in ordine alla stessa consapevolezza
dell’erede della esistenza della posizione creditoria in
capo al de culus;
che, quanto alla posizione di Angela Pia Giglio, le
censure svolte nel quarto motivo sono invece fondate,
atteso che dalla stessa intestazione del decreto impugnato
emerge che anche la ricorrente Angela Pia Giglio ha agito
nella qualità di erede di Giglio Bartolomeo e la domanda
proposta in tale qualità non ha formato oggetto di esame da
parte della Corte d’appello, la quale ha limitato l’esame
alla domanda proposta a titolo ereditario da Rosa Giglio;
che il quinto motivo è infondato, atteso che la Corte
d’appello ha rilevato che il ricorrente Vincenzo Farina ha
agito nella qualità di erede di Giambattista Farina e non
iure proprio ed ha omesso di specificare la data di decesso
del

de culus;

omissione, questa, che non risulta rimossa

neanche nel ricorso introduttivo del presente giudizio di
legittimità;

vi è ragione di ipotizzare che l’erede che non abbia in

che in tale situazione appare infondata la pretesa del
ricorrente di vedersi corrisposto l’indennizzo a titolo
ereditario per il protrarsi della procedura ulteriore
rispetto al periodo già devoluto alla cognizione della

riparazione presentata nel 2007, mentre per quanto attiene
ad una ipotetica domanda iure proprio non può omettersi di
rilevare che la Corte d’appello ha affermato che non
risultava l’acquisizione, da parte del Farina, della
qualità di parte nella procedura fallimentare, sicché
valgono le argomentazioni già svolte in precedenza in sede
di esame del quarto motivo;
che, in conclusione, vanno accolti il primo, il
secondo, il terzo e, in parte, il quarto motivo di ricorso,
mentre va rigettato il quinto;
che dunque il decreto impugnato deve essere cassato in
relazione alle censure accolte, con rinvio, per nuovo
esame, alla Corte d’appello di Caltanissetta, la quale, in
diversa composizione, si atterrà ai principi dianzi
enunciati e provvederà altresì alla regolamentazione delle
spese del giudizio di legittimità.

PER QUESTI MOTIVI
La

Corte accoglie il ricorso per quanto di ragione;

cassa il decreto impugnato in relazione alle censure

Corte d’appello con una precedente domanda di equa


accolte e rinvia, anche per le spese del giudizio di
legittimità, alla Corte d’appello di Caltanissetta, in
diversa composizione.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della

ottobre 2013.

VI-2 Sezione Civile della Corte suprema di cassazione, il 4

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA