Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7157 del 21/03/2017


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Cassazione civile, sez. un., 21/03/2017, (ud. 21/02/2017, dep.21/03/2017),  n. 7157

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. RORDORF Renato – Primo Presidente f.f. –

Dott. AMOROSO Giovanni – Presidente di Sez. –

Dott. DIDONE Antonio – rel. Presidente di Sez. –

Dott. DI IASI Camilla – Presidente di Sez. –

Dott. PETITTI Stefano – Presidente di Sez. –

Dott. D’ANTONIO Enrica – Consigliere –

Dott. ARMANO Uliana – Consigliere –

Dott. CRISTIANO Magda – Consigliere –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 29424/2015 proposto da:

D.L., S.F., G.R., R.D.,

F.A., C.L., T.M., GA.RO.,

P.A., GU.MA., Z.F., B.G.,

M.R., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA CICERONE 44, presso lo

studio dell’avvocato GIOVANNI CORBYONS, che li rappresenta e difende

unitamente agli avvocati PAOLO PIVA, ENRICO MINNEI e ENRICO GAZ;

– ricorrenti –

contro

BANCA D’ITALIA, in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA NAZIONALE 91, presso

l’Avvocatura della Banca stessa, rappresentata e difesa dagli

avvocati MARCO MANCINI e NICOLA DE GIORGI;

– controricorrente –

contro

MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE, BANCA DI CREDITO COOPERATIVO

DEL VENEZIANO SCARL;

– intimati –

avverso la sentenza del CONSIGLIO DI STATO depositata in data

8/05/2015.

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

21/02/2017 dal Presidente Dott. ANTONIO DIDONE;

uditi gli Avvocati Paolo Piva e Nicola De Giorgi;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale Dott. MATERA Marcello, che ha concluso per

l’inammissibilità del ricorso.

Fatto

RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE

1.- P.A., C.L., D.L., T.M., M.R., Gu.Ma., G.R., B.G., Ga.Ro., S.F., R.D., Z.F. e F.A. hanno proposto ricorso al TAR per il Lazio avverso il decreto 11 marzo 2013 n. 31, con il quale il Ministro dell’Economia e delle Finanze aveva disposto lo scioglimento degli organi di amministrazione e di controllo della Banca del Veneziano; nonchè contro la Delib. n. 144 del 2013, con la quale il Direttore Generale della Banca d’Italia aveva nominato gli organi straordinari.

Con sentenza 16 gennaio 2014 n. 623, il TAR ha rigettato il loro ricorso, in particolare affermando:

– “a fronte di carenze gestionali integranti gravi irregolarità dell’amministrazione della banca, la Banca d’Italia… ha proposto lo scioglimento degli organi amministrativi e la sottoposizione dell’azienda ad amministrazione straordinaria, reputando l’adozione di tali misure necessaria a preservare la funzionalità aziendale a tutela dell’interesse pubblico alla sana e prudente gestione degli intermediari, alla stabilità del sistema creditizio e all’osservanza delle disposizioni in materia”. Pertanto, in quanto le misure risultano fondate su esigenze debitamente rappresentate, è da escludere qualunque sviamento di potere, ed in particolare – come lamentato dai ricorrenti – che gli atti sarebbero destinati a soddisfare esigenze penalistiche e fallimentari rispettivamente della Procura e del Tribunale fallimentare di Napoli;

– è da escludere che “il procedimento di sottoposizione di una banca ad amministrazione straordinaria sia soggetto alle norme sulla comunicazione di avvio del procedimento amministrativo e sulla partecipazione al medesimo”;

– non vi è violazione del principio del ne bis in idem, posto che “del tutto legittimamente gli stessi fatti oggetto di accertamento da parte dell’Autorità di vigilanza possono condurre, al ricorrere dei presupposti di legge, sia all’irrogazione di sanzioni amministrative a carico degli esponenti che al commissariamento del soggetto vigilato, attesa l’autonomia dei procedimenti, delle disposizioni normative su cui essi si fondano nonchè delle finalità pubbliche al perseguimento delle quali sono gli stessi preordinati”;

– il merito dell’attività ispettiva sugli istituti creditizi “è incensurabile dal giudice amministrativo se non per illogicità manifesta”, non rinvenibile nel caso di specie, dove i ricorrenti lamentano in sostanza che “l’amministrazione straordinaria sarebbe stata motivata in relazione a una sola operazione, un singolo accordo contrattuale…. ossia la posizione Gavioli”;

– non può sussistere il vizio di eccesso di potere per disparità di trattamento (in relazione ad altre banche, pur esposte con il gruppo Gavioli), posto che esso “postula identità di situazioni giuridiche non rinvenibili nella specie”;

– alle cariche attribuite nell’ambito di procedure di gestione della crisi non trova applicazione quanto previsto dal D.L. n. 201 del 2011, art. 36, posto che “la disciplina dei poteri e del funzionamento degli organi straordinari, prevista dall’art. 72 TUB, rende manifeste le differenze tra essi e i normali organi di gestione, sorveglianza e controllo delle società”.

2.- Con la sentenza impugnata il Consiglio di Stato ha rigettato l’appello proposto dai predetti ricorrenti i quali ricorrono per cassazione ai sensi dell’art. 362 c.p.c., denunciando eccesso di potere giurisdizionale sulla base di tre motivi.

Resiste con controricorso la Banca d’Italia mentre non hanno svolto difese il Ministero dell’Economia e Finanza e la Banca di Credito Cooperativo del Veneziano soc. coop. per az. A r.l.

3.1.- Con il primo motivo i ricorrenti denunciano “violazione dell’art. 111 Cost.. Ineffettività della tutela offerta dal Consiglio di Stato nella misura in cui ha violato in modo grave e manifesto il diritto dell’Unione europea (in particolare, art. 55, Direttiva n. 48/2006, ora sostituita dalla Direttiva 2013/36/UE; nonchè Direttiva n. 59/2014/UE, in particolare art. 29) nonchè il Trattato sull’Unione europea (TUE), in particolare all’art. 4.3 (cd. Obbligo di fedeltà all’Unione) e il Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE), in particolare i suoi artt. 267 e 288, così come interpretati pacificamente dalla Corte di giustizia. Violazione grave e manifesta del principio del primato”.

3.2.- Con il secondo motivo i ricorrenti denunciano “eccesso di potere giurisdizionale per aver il Consiglio di Stato esercitato la giurisdizione nella sfera riservata al legislatore. Violazione L. n. 262 del 2005, art. 24. Omissione di pronuncia”.

3.3.- Con il terzo motivo i ricorrenti denunciano “violazione dell’art. 111 Cost., per ineffettività della tutela per mancata applicazione di principi di contenuto materialmente costituzionale. Violazione del principio fondamentale di cui all’art. 112 c.p.c.. Mancata corrispondenza fra il chiesto e il pronunciato. Violazione del principio di effettività di cui agli artt. 6 e 13 CEDU”.

Sollecitano il rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia da parte delle Sezioni unite in relazione ai limiti del sindacato delle sentenze del Consiglio di Stato.

4.- Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.

Le sezioni unite della Corte di Cassazione, dinanzi alle quali siano impugnate decisioni di un giudice speciale per motivi attinenti alla giurisdizione, possono rilevare unicamente l’eventuale superamento dei limiti esterni della giurisdizione medesima, non essendo loro consentito di estendere il proprio sindacato anche al modo in cui la giurisdizione è stata esercitata, in rapporto a quanto denunciato dalle parti; sicchè rientrano nei limiti interni della giurisdizione e restano perciò estranei al sindacato di questa corte eventuali errori in iudicando o in procedendo che il ricorrente imputi al giudice amministrativo o al giudice contabile (cfr. di recente, ex multis, Sez. un. n. 9687 del 2013, n. 24149 del 2013, n. 1518 del 2014, n. 8993 del 2014).

Le censure che nel caso in esame i ricorrenti formulano nei confronti dell’impugnata sentenza del Consiglio di Stato – indipendentemente da ogni valutazione in ordine alla fondatezza o infondatezza delle argomentazioni su cui riposano – non attengono in realtà al superamento dei limiti esterni della giurisdizione di detto giudice.

Quella giurisdizione si è esplicata nella pronuncia di rigetto della domanda di annullamento di atti amministrativi – scioglimento degli organi dell’istituto di credito e nomina del Commissario Straordinario – in ordine alla legittimità dei quali il sindacato giurisdizionale incontestabilmente competeva al giudice amministrativo, che lo ha in concreto esercitato.

Va ribadito, invero, che l’eccesso di potere giurisdizionale, denunziabile ai sensi dell’art. 111 Cost., comma 3, sotto il profilo dello sconfinamento nella sfera del merito, è configurabile solo quando l’indagine svolta non sia rimasta nei limiti del riscontro di legittimità del provvedimento impugnato, ma sia stata strumentale ad una diretta e concreta valutazione dell’opportunità e convenienza dell’atto, ovvero quando la decisione finale, pur nel rispetto della formula dell’annullamento, esprima una volontà dell’organo giudicante che si sostituisce a quella dell’amministrazione. Il che vuol dire che il giudice, procedendo ad un sindacato di merito, emette una pronunzia autoesecutiva, intendendosi come tale quella che abbia il contenuto sostanziale e l’esecutorietà stessa del provvedimento sostituito, senza salvezza degli ulteriori provvedimenti dell’autorità amministrativa (v. per tutte Sez. U, n. 774 del 2014).

I ricorrenti contestano la legittimità del concreto esercizio delle funzioni giurisdizionali attribuite al giudice amministrativo, e quindi finiscono in realtà per sollecitare, al di là della prospettazione formale, un sindacato per violazione di legge.

Le doglianze articolate non attengono alla corretta individuazione dei limiti esterni della giurisdizione, ma investono un vizio del giudizio concernente il singolo e specifico caso.

I motivi di ricorso scambiano per diniego di giurisdizione o per ineffettività della tutela quello che invece è stato, con tutta evidenza, un esercizio della giurisdizione, sebbene in modo non conforme alle aspettative ed alle attese dei ricorrenti, come ad esempio, la diversa interpretazione del D.Lgs. n. 395 del 1993, art. 70, quanto alla compatibilità con le norme di cui alla L. n. 241 del 1990, in relazione alla partecipazione procedimentale.

Nè si sottraggono all’inammissibilità le denunciate violazioni dell’art. 112 c.p.c. (secondo e terzo motivo), posto che eventuali vizi di omessa pronuncia integrerebbero errores in procedendo, e non certo violazioni di norme in tema di giurisdizione (Sez. U, n. 1013 del 2014).

L’evoluzione del concetto di giurisdizione nel senso di strumento per la tutela effettiva delle parti non giustifica il ricorso avverso la sentenza del Consiglio di Stato, ai sensi dell’art. 111 Cost., u.c., quando, come nella specie, non si verta in ipotesi di aprioristico diniego di giurisdizione, ma la tutela la si assuma negata dal giudice speciale in conseguenza di errori di giudizio che si prospettino dal medesimo commessi in relazione allo specifico caso sottoposto al suo esame (Sez. Un., n. 771 del 2014).

Quanto al primo motivo, in particolare, giova ricordare che il controllo del rispetto del limite esterno della giurisdizione – che l’art. 111 Cost., u.c., affida alla Corte di Cassazione – non include anche una funzione di verifica finale della conformità di quelle decisioni al diritto dell’Unione europea, neppure sotto il profilo dell’osservanza dell’obbligo di rinvio pregiudiziale ex art. 267, comma 3, del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, dovendosi tener conto, da un lato, che nel plesso della giurisdizione amministrativa spetta al Consiglio di Stato – quale giudice di ultima istanza – garantire, nello specifico ordinamento di settore, la conformità del diritto interno a quello dell’Unione, se del caso avvalendosi dello strumento del rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia dell’Unione europea, mentre, per contro, l’ordinamento nazionale contempla – per reagire ad una lesione del principio di effettività della tutela, conseguente ad una decisione del giudice amministrativo assunta in pregiudizio di situazioni giuridiche soggettive protette dal diritto dell’Unione – altri strumenti di tutela, attivabili a fronte di una violazione del diritto comunitario che sia grave e manifesta (Sez. U., n. 2403 del 2014; Sez. U, n. 23460 del 2015).

Quanto al secondo motivo, è costante orientamento di queste Sezioni unite che l’eccesso di potere giurisdizionale per invasione della sfera di attribuzioni riservata al legislatore è configurabile solo qualora il giudice speciale abbia applicato non la norma esistente, ma una norma da lui creata, esercitando un’attività di produzione normativa che non gli compete. L’ipotesi non ricorre quando il Consiglio di Stato – come nella specie – si sia attenuto al compito interpretativo che gli è proprio, ricercando la “voluntas legis” applicabile nel caso concreto, anche se questa abbia desunto non dal tenore letterale delle singole disposizioni, ma dalla “ratio” che il loro coordinamento sistematico disvela, tale operazione ermeneutica potendo dare luogo, tutt’al più, ad un “error in iudicando”, non alla violazione dei limiti esterni della giurisdizione speciale (Sez. U, n. 22784 del 2012).

Infine, quanto al terzo motivo, è appena il caso di aggiungere che un rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia non potrebbe, in una fattispecie come questa, provenire direttamente dalla Corte di cassazione. Infatti questa corte è chiamata – come già ampiamente sottolineato – unicamente a vagliare il rispetto da parte del giudice amministrativo dei limiti esterni della sua giurisdizione, e non è dato ravvisare norme europee che afferiscano a tale funzione di controllo sui limiti della giurisdizione in ordine alle quali possano porsi eventuali quesiti interpretativi (Sez. un., n. 10501 del 2016).

Da ultimo, del tutto irrilevante è il richiamo all’art. 6 CEDU, considerato che i ricorrenti – pur volendo prescindere dalla non deducibilità come violazione dei limiti esterni della giurisdizione pretendono sia applicabile il previo contraddittorio ad un provvedimento urgente, di natura cautelare e assolutamente riservato, come quello disciplinato dall’art. 70 T.U.B..

Le spese del giudizio di legittimità – liquidate in dispositivo – seguono la soccombenza.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna i ricorrenti in solido al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate nella misura di Euro 5.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del cit. art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 21 febbraio 2017.

Depositato in Cancelleria il 21 marzo 2017

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