Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7150 del 24/03/2010

Cassazione civile sez. I, 24/03/2010, (ud. 11/01/2010, dep. 24/03/2010), n.7150

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VITTORIA Paolo – Presidente –

Dott. FELICETTI Francesco – Consigliere –

Dott. RORDORF Renato – rel. Consigliere –

Dott. PICCININNI Carlo – Consigliere –

Dott. GIANCOLA Maria Cristina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 23647/2004 proposto da:

B.V. (c.f. (OMISSIS)), C.L. (c.f.

(OMISSIS)), elettivamente domiciliati in ROMA, VIALE GIULIO

CESARE 14/A-4, presso l’avvocato PAFUNDI Gabriele, che li rappresenta

e difende unitamente all’avvocato SCOPSI CLAUDIO, giusta procura a

margine del ricorso;

– ricorrenti –

contro

S.G. (c.f. (OMISSIS)), G.M., TEA

S.A.S. DI TOSCANI ALDA, R.C., D.D.,

GA.MA., G.F., L.R. (c.f.

(OMISSIS)), L.M.A. (c.f. (OMISSIS)),

A.V. (c.f. (OMISSIS)), G.A., T.U.

G.A., D.E.;

– intimati –

sul ricorso 27381/2004 proposto da:

CONSORZIO SMALTIMENTO CALETTA, in persona del legale rappresentante

pro tempore, G.M. (c.f. (OMISSIS)), TEA S.A.S.

DI TOSCANI ALDA (P.I. (OMISSIS)), R.C. (c.f.

(OMISSIS)), D.D. (c.f. (OMISSIS)),

GA.MA. (C.f. (OMISSIS)), G.F. (c.f.

(OMISSIS)), tempore, elettivamente domiciliati in ROMA, VIA

S. TOMMASO D’AQUINO 116, presso l’avvocato CASTELLANO ADRIANO, che li

rappresenta e difende unitamente all’avvocato BUFANO PAOLO, giusta

procura a margine del controricorso e ricorso incidentale;

– controricorrenti e ricorrenti incidentali –

contro

B.V., C.L.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 458/2004 della CORTE D’APPELLO di GENOVA,

depositata il 06/07/2004;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

11/01/2010 dal Consigliere Dott. RENATO RORDORF;

udito, per i ricorrenti, l’Avvocato PAFUNDI che ha chiesto

l’accoglimento del ricorso principale, rigetto del ricorso

incidentale;

udito, per i controricorrenti e ricorrenti incidentali, l’Avvocato

FIORELLI STEFANO, per delega, che ha chiesto il rigetto del ricorso

principale, accoglimento del ricorso incidentale;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

PRATIS Pierfelice, che ha concluso per il rigetto dei ricorsi.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto notificato il 23 giugno 1999 il Sig. B.V., comproprietario con la moglie, Sig.ra C.L., di un immobile ubicato nel territorio del comune di (OMISSIS), citò in giudizio dinanzi al Tribunale di La Spezia la sig.ra G. M., proprietaria di un’unità immobiliare limitrofa, la società Tea s.a.s. di Toscani Alda ed i sigg.ri R.C., D.D., R. e L.M.A., Ma.

e G.F., A.V., P.M. ed T. U.G.A., aventi causa dalla Alpe Emiliana s.p.a. per aver acquistato da quest’ultima altre unità immobiliari site nella zona, nonchè il Consorzio Smaltimento Caletta, in persona dell’amministratore sig. S.G..

L’attore riferì di aver stipulato con la sig.ra G. e con la società Alpe Emiliana, nel (OMISSIS), un accordo che prevedeva la costituzione di un consorzio per lo smaltimento in comune dei liquami provenienti dalle rispettive proprietà, mediante costruzione di una vasca nel fondo del sig. B., secondo un progetto affidato ad un professionista a tal fine designato. A titolo di compenso per le costituende servitù a carico delle proprietà dello stesso sig. B. e della sig.ra G. si era stabilito che costoro avrebbero beneficiato di una riduzione nel pagamento delle quote consortili. Il tutto avrebbe dovuto essere convertito in atto pubblico entro i successivi sessanta giorni. L’atto pubblico non era stato mai stipulato e, tuttavia, le strutture per lo smaltimento dei liquami erano state realizzate e, per la loro gestione, si era dato vita ad un’organizzazione, denominata Consorzio Caletta. Si erano però poi verificati gravi inconvenienti di funzionamento, con spandimento di liquami ed insopportabili miasmi nel terreno del sig. B., il quale invano aveva chiesto l’eliminazione dell’impianto dalla sua proprietà.

Su tali premesse, il sig. B. chiese che il contratto da lui stipulato – da intendersi come contratto preliminare; di costituzione del consorzio – fosse dichiarato nullo per difetto di forma, o che, in subordine, fosse accertato l’intervenuto scioglimento di detto consorzio per impossibilità di conseguimento del suo scopo. Chiese anche che fosse esclusa l’esistenza di qualsiasi servitù a carico della sua proprietà e che i convenuti fossero condannati a rimuovere i manufatti installati in detta proprietà, oltre che al risarcimento dei danni.

Instauratosi il contraddittorio, i convenuti si opposero all’accoglimento delle domande sopra indicate ed, a propria volta, chiesero l’accertamento dell’esistenza della servitù negata dalla controparte o, in subordine, la pronuncia di una sentenza costitutiva di tale servitù.

Intervenne quindi in giudizio la sig.ra C., comproprietaria in regime di comunione legale dell’immobile intestato al marito, facendo proprie le domande proposte dall’attore e chiedendo anche lei il risarcimento dei danni.

Altra causa di analogo contenuto fu poi iniziata dal sig. B. nei confronti della sig.ra D.E., anch’ella acquirente di una delle unità immobiliari vendute dalla A. E., ed il relativo procedimento fu unito al precedente, nel corso del quale si verificò il decesso del sig. P.M., con conseguente necessità d’instaurazione del contraddittorio nei confronti dell’erede, sig.ra G.A., che peraltro restò contumace.

Il tribunale, con decisione resa pubblica l’11 luglio 2002, rigettò tanto le domande principali quanto le riconvenzionali e compensò le spese processuali tra tutte le parti.

Sui contrapposti gravami, la Corte d’appello di Genova, con sentenza emessa il 6 luglio 2004, in parziale riforma della pronuncia di primo grado, accolse unicamente la domanda volta a far dichiarare l’inesistenza di qualsiasi servitù a carico della proprietà del sig. B. e compensò tra le parti anche le spese del secondo grado.

La corte ligure escluse, in primo luogo, che, con la scrittura privata di cui si tratta, le parti avessero inteso prevedere la costituzione di un consorzio in senso tecnico, o comunque di un’associazione o di qualsivoglia altro ente idoneo a porsi come autonomo soggetto di diritti, avendo esse invece unicamente disposto per la fruizione in comune del servizio di smaltimento dei liquami e per la realizzazione delle inerenti strutture, ed avendo di fatto poi provveduto a ciò mutuando istituti recepiti dalla disciplina della comunione e del mandato. Donde l’impossibilità di accogliere tanto la domanda volta a far dichiarare la nullità del contratto preliminare di costituzione del consorzio, quanto quella intesa a far accertare lo scioglimento del consorzio stesso.

In secondo luogo, la medesima corte ritenne che il contratto in esame abbia natura definitiva, e non preliminare, non ostandovi la previsione della sua successiva riproduzione in forma di atto pubblico, ma che quanto in esso pattuito non abbia implicato il sorgere di una servitù a carico della proprietà dei coniugi B., dovendo l’espressione adoperata dalle parti a proposito della “costituenda servitù” essere intesa come una prospettazione eventuale, a valere unicamente per il futuro. Donde la reiezione delle domande riconvenzionali formulate dai convenuti in primo grado e reiterate in sede di gravame, l’accoglimento dell’actio negatoria servitutis proposta dal sig. B. e l’assorbimento dell’eccezione sollevata dalla di lui moglie, sig.ra C., la quale aveva sostenuto l’impossibilità di costituire validamente una servitù sul fondo comune senza il consenso di entrambi i coniugi.

Non per questo, tuttavia, secondo la corte d’appello, era da considerare illecita la costruzione dei manufatti nel terreno dei coniugi B., essendo ciò avvenuto con il pieno consenso dello stesso sig. B.. Donde l’impossibilità di accogliere la domanda da costui proposta per far condannare le sue controparti alla rimozione degli impianti in questione, che il vincolo contrattuale in essere non avrebbe consentito di rimuovere per iniziativa unilaterale di uno solo dei contraenti, potendo il malfunzionamento di detti impianti trovare rimedio in strumenti giuridici diversi da quelli utilizzati nella presente causa.

Per la cassazione di tale sentenza i coniugi B. hanno proposto congiuntamente ricorso, illustrato poi anche con memoria, l’uno prospettando cinque motivi di censura e l’altra un solo motivo.

Il Consorzio Smaltimento Caletta, la società Tea ed i sigg.ri G., R., D., Ma. e G.F. hanno depositato controricorso ed, a propria volta, hanno proposto ricorso incidentale.

Nessuna difesa hanno svolto in questa sede gli altri intimati.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. I ricorsi proposti avverso la medesima sentenza debbono essere preliminarmente riuniti, come dispone l’art. 335 c.p.c..

2. Nel primo motivo del proprio ricorso il sig. B., denunciando la violazione degli artt. 1321, 1322, 1362, 1363 e 1372 c.c., oltre che vizi di motivazione dell’impugnata sentenza, si sofferma criticamente sull’interpretazione data dalla corte d’appello alla scrittura privata con cui le parti hanno disciplinato l’istituzione e la gestione dell’impianto di smaltimento dei liquami al servizio delle rispettive proprietà immobiliari.

La critica del ricorrente investe la decisione della corte territoriale sotto due profili: quello riguardante l’affermazione secondo cui la scrittura in esame non contemplerebbe la previsione di un vero e proprio consorzio, o comunque di un ente a struttura associativa cui affidare la gestione del predetto impianto previa costituzione di una vera e propria servitù a carico del fondo dei coniugi B., e quella secondo cui la medesima scrittura, lungi dall’esprimere un mero accordo preliminare o una “puntuazione” destinata ad essere in seguito eventualmente completata, avrebbe immediatamente prodotto effetti vincolanti e definitivi tra i contraenti (pur se di carattere meramente obbligatorio).

Entrambi tali affermazioni, a parere del ricorrente, non sono giustificate nè dal tenore letterale nè dalla logica complessiva della scrittura, e neppure il comportamento successivamente tenuto dalle parti le avallerebbe.

3. Oggetto delle censure prospettate nel secondo motivo del medesimo ricorso – in cui si denunciano nuovamente vizi di motivazione, accanto alla violazione degli artt. 832, 934, 936, 952, 1100, 1350 e 2697 c.c. – è un ulteriore passaggio della sentenza impugnata:

quello secondo cui le parti avrebbero inteso mettere in comune tra loro le strutture materiali occorrenti al funzionamento dell’impianto di smaltimento dei liquami del quale di controverte.

Il ricorrente obietta che, viceversa, in difetto di una pattuizione in forma scritta di diverso tenore, la costruzione della vasca sul suo fondo aveva necessariamente comportato l’acquisto della proprietà del manufatto da parte sua, in virtù del principio superficies solo cedit.

4. Oltre alla ripetuta denuncia di vizi di motivazione, il terzo motivo del ricorso in esame lamenta la violazione degli artt. 36, 949 e 1027 c.c., art. 1350 c.c., n. 9, artt. 1372, 1406, 1418 e 2697 c.c..

Sostiene il ricorrente che, negando ai coniugi B. la facoltà d’impedire alle controparti l’uso della vasca installata nella loro proprietà, pur dopo aver escluso l’esistenza di una servitù prediale, la corte territoriale avrebbe finito per riconoscere l’esistenza di un diritto reale atipico, come tale non ammesso dall’ordinamento. A parere del ricorrente, che proprio un diritto reale sia quello configurato nella specie dall’impugnata sentenza lo si deduce dal fatto che la corte genovese ne ha in sostanza riconosciuto la titolarità anche in capo agli acquirenti degli immobili realizzati in loco dalla società Alpe Emiliana, la quale soltanto era stata però parte dell’accordo di cui si discute, senza che alcun obbligo di natura personale fosse invece mai stato assunto dagli altri firmatari personalmente nei confronti di detti acquirenti.

5. Con il quarto motivo, nel denunciare la violazione degli artt. 27, 36 c.c., e art. 1350 c.c., n. 9, e, come di consueto, vizi di motivazione, il ricorrente principale ritorna sul tema della configurazione da dare all’organismo giuridico previsto dalle parti per l’installazione e le gestione dell’impianto di smaltimento dei liquami, sostenendo che tale organismo ha tutti i requisiti di un’associazione non riconosciuta. Osserva che contraddittoriamente la corte territoriale ha escluso la possibilità di ravvisare nella specie l’esistenza di un patrimonio comune, dopo aver ammesso che i proprietari dei terreni interessati avevano fornito il denaro occorrente per la realizzazione dell’impianto. Se ne sarebbe dovuto invece dedurre che il vincolo associativo in tal modo stipulato era nullo, implicando un atto di disposizione di diritti immobiliari per il quale difettava la forma, o che comunque l’impossibilità di disporre validamente del predetto impianto determinava una causa di scioglimento dell’associazione per impossibilità di conseguire lo scopo.

6. Da ultimo, il sig. B. nuovamente lamenta la violazione degli artt. 1362 e 1363 c.c., oltre che degli artt. 27 e 1419 c.c., nonchè ulteriori vizi di motivazione, sostenendo che la nullità della pattuizione concernente la futura costituzione di servitù a carico del suo fondo, essendo questa essenziale al conseguimento delle finalità perseguite dalle parti con il contratto di cui si discute, avrebbe dovuto condurre a dichiarare la nullità di tale contratto nella sua interezza e, non potendosi più perciò perseguire gli scopi del consorzio, allo scioglimento di questo.

7. La ricorrente sig.ra C., per parte sua, si duole del mancato rispetto dell’art. 100 c.p.c., artt. 832, 949 e 1372 c.c., nè manca anch’ella di denunciare vizi di motivazione della sentenza impugnata, sostenendo che erroneamente la corte d’appello ha considerato la sua domanda assorbita dalla decisione negativa in ordine all’esistenza della contestata servitù. Avendo ella a suo tempo proposto anche un’autonoma domanda, volta ad ottenere il ripristino del fondo nello stato originario con l’eliminazione della vasca di smaltimento del liquame ivi installata, ed essendo ella rimasta estranea agli accordi stipulati dal marito per la costruzione di detta vasca, quella domanda avrebbe dovuto essere esaminata ed accolta.

8. Con il ricorso incidentale si denuncia, oltre che vizi di motivazione dell’impugnata sentenza, la violazione degli artt. 1321, 1322, 1362, 1363 e 1372 c.c., assumendosi dai ricorrenti che erroneamente la corte d’appello ha escluso la volontà contrattuale delle parti di costituire una servitù, a fronte del chiaro significato dell’espressione “costituende servitù”, adoperata nell’atto, espressione che avrebbe quanto meno dovuto indurre a ravvisare la stipulazione di un patto avente ad oggetto l’obbligo di costituire una futura servitù.

9. Le diverse doglianze sopra riferite, intrecciandosi tra loro in vario modo, concorrono a delineare tre quesiti di fondo, ai quali l’impugnata sentenza ha dato una risposta la cui correttezza occorre ora verificare, entro i limiti consentiti dalle caratteristiche proprie del giudizio di legittimità.

Si trattava in effetti di stabilire: se e quale ente (o altro strumento giuridico) le parti avessero contrattualmente creato per realizzare lo scopo da esse perseguito, cioè quello di smaltire in comune i liquami provenienti dalle rispettive proprietà; se, per il perseguimento di tale scopo, esse avessero inteso dar vita ad una vera e propria servitù gravante (anche) sul fondo dei coniugi B.; e se, col contratto in questione, esse avessero voluto dettare una disciplina definitiva dei rapporti ivi contemplati, oppure vincolarsi ad un’ulteriore futura stipulazione, o addirittura soltanto puntualizzare i termini di una trattativa in corso dalla quale nessun vero e proprio obbligo contrattuale fosse però ancora scaturito.

9.1. L’ultimo dei quesiti appena formulati è forse quello al quale conviene prestare attenzione per primo.

La corte d’appello vi ha dato una risposta ben chiara, ravvisando senz’altro nel contratto di cui si discute un contenuto definitivo (non però costitutivo di servitù prediale, ma unicamente obbligatorio), e non già soltanto l’impegno preliminare alla stipulazione di un negozio successivo, nè tanto meno una mera “puntuazione” prodromica ad un consenso futuro ma ancor solo eventuale.

Il ricorrente principale non concorda ed insiste nel sottolineare gli aspetti di incompiutezza dell’assetto di interessi delineato nell’accordo sottoscritto, che non avrebbe definito le quote di contribuzione di ciascuno alla spesa di realizzazione dell’impianto di smaltimento dei liquami e la misura dell’indennizzo da riconoscersi ai sigg.ri B. e G. per l’installazione dei manufatti nei terreni di loro proprietà, nè avrebbe identificato la precisa ubicazione e le caratteristiche specifiche delle servitù ipotizzate a carico di dette proprietà. Si imputa poi alla corte ligure di avere ingiustificatamente svalutato la clausola che imponeva di convertire gli accordi in atto pubblico entro un termine prefissato.

Tali censure non appaiono, però, affatto persuasive e le conclusioni cui la corte territoriale è pervenuta sul punto (salvo per quel che attiene alla realità degli effetti contratto di cui si dirà in seguito) vanno tenute ferme.

Nell’indagine diretta ad individuare il carattere preliminare o definitivo di un contratto – come la stessa corte d’appello non ha mancato di ricordare – occorre ricercare l’effettiva volontà dei contraenti, tenendo presente che al predetto fine non sono decisive, anche se non irrilevanti, le espressioni letterali usate dalle parti, nè la previsione della riproduzione in atto pubblico della scrittura privata, che ben può esser considerata in funzione non degli effetti propri del contratto ma solo del conseguente regime di pubblicità (cfr, ex multis, Cass. n. 13827 del 2000 e n. 5962 del 1988). Di modo che il suddetto accertamento, vertendo su una quaestio facti, è censurabile in sede di legittimità soltanto se non adeguatamente motivato o non ispirato a corretti criteri di ermeneutica contrattuale.

Le doglianze contenute nel ricorso, invece, non pongono in evidenza errori di diritto in cui la corte d’appello sarebbe caduta, ma propugnano una diversa valutazione di merito, come tale non consentita in questa sede.

Gli elementi testuali del contratto, infatti, non sono stati trascurati nell’interpretazione datane dal giudice del merito, nè il motivo di ricorso riesce ad enucleare in modo puntuale e specifico un qualche ulteriore e decisivo criterio ermeneutico, tra quelli enunciati dal legislatore, che sarebbe stato pretermesso. Va notato, anzi, come tra tali criteri assuma qui indubbia valenza quello del comportamento anche successivo delle parti (art. 1362 c.c., comma 2), le quali, lungi dal sollecitare reciprocamente l’adesione ad una qualche ulteriore manifestazione di volontà negoziale destinata a puntualizzare meglio, o comunque a rendere definitivo, l’accordo di cui si discute, risultano pacificamente avervi dato senz’altro esecuzione costruendo l’impianto previsto, mettendolo in funzione e dando vita ad un’organizzazione finalizzata alla sua conduzione.

Quanto, poi, alla sufficienza e logicità della motivazione dell’impugnata sentenza sul punto, sarebbe stato ovviamente onere del ricorrente dimostrare l’almeno potenziale decisività degli elementi che egli lamenta siano stati trascurati nell’argomentazione posta a base della decisione del giudice di merito. Ma questa dimostrazione è del tutto carente: in primo luogo, perchè, ove pure si voglia ravvisare nella specie un contratto costitutivo di servitù, l’esigenza che siano in esso specificamente indicati tutti gli elementi necessari alla sua costituzione non implica la necessità dell’espressa indicazione ed analitica descrizione del fondo servente e di quello dominante, nè della misura del peso e della specifica funzione dell’utilità, essendo sufficiente che dall’ubicazione dei fondi, dalla natura e destinazione degli stessi e da ogni altro dato utile possa desumersi con certezza la costituzione della servitù e l’individuazione dei fondi da questa interessati (cfr., tra le altre, Cass. n. 8802 del 2000, n. 6680 del 1995 e n. 528 del 1985); in secondo luogo, perchè, comunque, lo stesso ricorso riporta il testo dell’accordo in cui figura l’espresso riferimento ad un allegato progetto, redatto da un tecnico di comune fiducia delle parti, onde non può certo escludersi (ed è anzi ben probabile) che gli elementi identificativi non specificati direttamente nel contratto fossero indicati in tale progetto integrando in tal modo, per relationem, il contenuto del contratto medesimo nei termini in cui esso ha poi avuto effettiva applicazione.

9.2. Tanto chiarito, si può ora passare a discorrere più approfonditamente del contenuto del contratto in questione, cominciando dalla questione se con esso le parti abbiano o meno dato vita ad un consorzio, o comunque ad un ente assimilabile ad un’associazione non riconosciuta, come tale idoneo a costituire un autonomo centro d’imputazione di rapporti giuridici.

Anche la risposta che a questo interrogativo ha dato la corte d’appello non è idoneamente scalfita dalle critiche formulate dal ricorrente principale. Critiche in ordine alle quali può in larga parte ripetersi quanto già detto al punto precedente, trattandosi anche in questo caso di rilievi solo nominalmente riferiti a pretesi errori di diritto, ma che in realtà investono valutazioni di merito.

Una valutazione di merito è certamente quella in virtù della quale la corte ligure ha escluso che il mero utilizzo – peraltro fugace – nel testo contrattuale della parola “consorzio”, in assenza di qualsiasi pur solo embrionale abbozzo di disciplina dell’ipotizzato ente, valga a dimostrare la comune volontà delle parti di costituire per l’appunto un consorzio o, comunque, un’associazione riconducibile alla previsione dell’art. 36 c.c., e segg..

A fronte di siffatta motivata argomentazione, che ha indotto il giudice di merito a ritenere che l’indicata espressione sia stata adoperata nel contratto in senso non tecnico-giuridico, ma solo per significare la volontà delle parti di gestire in comune lo smaltimento dei liquami, non giova limitarsi – come fa il ricorrente principale – ad invocare il dato letterale. Il quale non è stato illegittimamente trascurato, bensì interpretato in uno dei modi possibili. Nè giova richiamarsi al comportamento successivo delle parti, che del pari il giudice di merito non ha ignorato, ma al quale ha invece dato un significato diverso da quello che il ricorrente propugna, osservando come l’istituzione di un organo assembleare ed esecutivo, al di fuori di ogni previsione espressa del contratto in tal senso, sia del tutto coerente con la necessità di realizzare strumenti di governo (non già di un consorzio o di un’associazione, bensì) della comunione avente ad oggetto i manufatti realizzati in base all’appalto conferito dai contraenti al medesimo appaltatore.

Manufatti – giova aggiungere – che, proprio alla stregua della convenzione scritta della quale si sta parlando, per come insindacabilmente interpretata dal giudice di merito, appaiono essere stati realizzati di comune accordo tra i contraenti, per effetto di una commissione dagli stessi concordemente disposta; il che è sufficiente a far sì che essi appartengano in condominio a tutti i committenti, senza ricadere nella proprietà esclusiva del singolo contraente sul fondo del quale insistono.

Quella dell’impugnata sentenza è, anche per questo profilo, una motivazione non insufficiente, non intrinsecamente illogica e neppure contraddittoria: non potendosi ravvisare alcun preteso contrasto tra la rilevata mancanza di qualsiasi previsione contrattuale in ordine ad un patrimonio comune, di cui l’ipotizzata associazione avrebbe dovuto esser dotata per poter venire ad esistenza, e la riconosciuta utilizzazione, per la realizzazione delle opere appaltate, di mezzi patrimoniali messi a disposizione da parte dei committenti.

9.3. Resta la questione se i contraenti, per realizzare lo scopo di cui s’è detto, abbiano inteso o meno costituire una servitù volontaria a carico del fondo dei coniugi B. (oltre che, per la parte che la riguarda, su quello della sig.ra G.).

Naturalmente anche in questo caso si tratta, prima di tutto, di una questione d’interpretazione del contenuto del contratto, che deve essere perciò vagliata con il medesimo metro adoperato ai punti precedenti. Il risultato, però, non può essere il medesimo, perchè la conclusione cui è pervenuta la corte territoriale non appare, questa volta, nè indenne da censura sul piano dei criteri ermeneutici adoperati nè, comunque, adeguatamente motivata in punto di fatto.

La corte genovese ha escluso che le parti abbiano inteso costituire una servitù, pur essendosi espressamente riferite nel contratto alle “costituende servitù di installazione della vasca di raccolta e delle tubazioni di servizio” e pur avendo previsto un compenso per i proprietari dei fondi gravati da tali servitù. L’esclusione è basata unicamente sul rilievo che siffatta espressione – in particolare l’uso del “participio futuro passivo, che non appartiene alle strutture grammaticali della lingua italiana ma che viene recepito da quelle della lingua latina ed è inesteticamente prediletto dai pratici del diritto” – alluderebbe ad un diritto reale limitato destinato a sorgere in futuro e sarebbe perciò incompatibile con l’immediata attualità di tale diritto.

Questa argomentazione lascia però del tutto inappagati.

Essa non fornisce anzitutto alcuna spiegazione del riferimento contrattuale alle “costituende servitù”, quale che sia il grado di correttezza grammaticale o l’inestetismo insito in tale espressione;

e ciò già contrasta con l’esigenza di salvaguardare il più possibile il valore delle indicazioni inserite dalle parti nel contratto. La conclusione della corte d’appello sul punto non è poi adeguatamente supportata, sul piano logico, dal mero richiamo a quanto in precedenza affermato dalla stessa corte in ordine al carattere definitivo, e non preliminare, del contratto in esame e sembra prescindere completamente da un indispensabile sforzo d’inquadramento sistematico della previsione contrattuale in discorso, non facendosi minimamente carico di spiegare come lo scopo che le parti dichiaratamente miravano a conseguire – la realizzazione di un impianto di smaltimento dei liquami in grado di servire stabilmente le diverse proprietà limitrofe – potesse adeguatamente essere realizzato senza la costituzione dell’ipotizzata servitù; che appare invece del tutto coerente con la natura stessa dell’obbligo di pati imposto a carico dei proprietari dei fondi sui quali era stabilito che dovessero insistere i manufatti in questione, con le caratteristiche di questi ultimi e con il connotato tipicamente fondiario della corrispondente utilità. L’eventualità di provvedere a tutto ciò unicamente mediante la creazione di diritti e l’assunzione di obbligazioni di tipo personale, se pur in astratto concepibile, si sarebbe evidentemente scontrata con il rischio della successiva inopponibilità agli eventuali terzi aventi causa da una delle parti. Nè appare privo di significato – e male ha fatto la corte d’appello a non rilevarlo – che le medesime parti, evidentemente proprio per evitare il rischio dianzi evocato, hanno avvertito la necessità di prevedere espressamente la trasfusione del loro accordo in un atto pubblico: il che si comprende agevolmente alla luce della necessità di provvedere alle formalità pubblicitarie tipiche dei diritti reali immobiliari, mentre resterebbe assai meno giustificato, anche sul piano economico, se si fosse trattato di diritti ed obbligazioni privi di ogni carattere di realità.

Tutt’altro che implausibile, e scartata invece dalla corte d’appello con motivazione troppo frettolosa, appare dunque la tesi per la quale la proiezione nel futuro della servitù, insita nell’espressione “costituenda”, sia da intendere come riferita non tanto alla costituzione del diritto, quanto alla concreta sua attuazione ed ai vantaggi che ne sarebbero derivati in conseguenza della (allora non ancora attuata) costruzione dell’impianto di smaltimento dei liquami cui si tratta.

9.4. E’ ancora da aggiungere, giacchè il motivo di ricorso specificamente riferito alla posizione della sig.ra C. lo impone, che, ricadendo il terreno di proprietà del sig. B. nel regime di comunione legale tra i coniugi (come espressamente indicato nell’impugnata sentenza e nel ricorso stesso), è destinato a trovare applicazione nella specie il disposto dell’art. 184 c.c., in forza del quale l’atto compiuto senza il consenso del coniuge è annullabile, ma la relativa azione deve esser proposta entro il termine di un anno da quando il coniuge pretermesso abbia avuto conoscenza dell’atto.

La sig.ra C. non ha però proposto, nel presente giudizio, alcuna domanda di annullamento e comunque, essendo pacifico che le installazioni di cui si discute sono state realizzate già molti anni prima dell’introduzione della causa e sono rimaste in funzione per diversi anni in modo del tutto palese, una tal domanda risulterebbe proposta ben dopo lo scadere del termine annuale sopra ricordato.

E’ perciò da applicare il principio per il quale la mancata partecipazione di un coniuge ad un atto di disposizione di beni della comunione legale non esclude che risenta anch’egli dei correlativi effetti ove non abbia tempestivamente esercitato l’azione di annullamento di quell’atto (cfr. Cass. n. 88 del 2007).

10. Le considerazioni fin qui svolte conducono necessariamente al rigetto dei primi quattro motivi del ricorso del sig. B. e dell’autonomo motivo di ricorso proposto dalla sig.ra C., all’accoglimento del ricorso incidentale, con conseguente annullamento in parte qua della sentenza impugnata, ed all’assorbimento del quinto motivo del ricorso principale, restando affidato al giudice del rinvio l’esame delle questioni sollevate dalle parti in ordine alla validità dell’accordo costitutivo della servitù (questioni non esaminate dalla corte d’appello sull’erroneo presupposto che un accordo di tal genere non sia nella specie ipotizzabile).

11. Alla Corte d’appello di Genova, in diversa composizione quale giudice di rinvio, si demanda anche di provvedere sulle spese del giudizio di legittimità.

PQM

La corte, riunisce i ricorsi, rigetta il ricorso principale, accoglie l’incidentale, cassa l’impugnata sentenza in relazione al ricorso accolto e rinvia la causa alla Corte d’appello di Genova, in diversa composizione, demandandole anche di provvedere sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 11 gennaio 2010.

Depositato in Cancelleria il 24 marzo 2010

 

 

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