Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7149 del 13/03/2020

Cassazione civile sez. I, 13/03/2020, (ud. 06/12/2019, dep. 13/03/2020), n.7149

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FEDERICO Guido – Presidente –

Dott. VELLA Paola – rel. Consigliere –

Dott. CAMPESE Eduardo – Consigliere –

Dott. FIDANZIA Andrea – Consigliere –

Dott. AMATORE Roberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 13967/2014 proposto da:

Tirrenia Di Navigazione S.p.a. in Amministrazione Straordinaria, in

persona dei Commissari Straordinari pro-tempore, elettivamente

domiciliata in Roma, Via Angelo Brofferio 6, presso lo studio

dell’avvocato Bellei Stefania, che la rappresenta e difende

unitamente agli avvocati Mastropasqua Marco e Vergani Enrico, giusta

procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

Purple Water Limited, in persona dell’amministratore unico e legale

rappresentante pro-tempore, elettivamente domiciliata in Roma, Via

Crescenzio 103, presso lo studio dell’avvocato Pomarici Romano,

rappresentata e difesa dagli avvocati Porzio Mario, Porzio Vittorio

e Serino Alberto, giusta procura in atti;

– controricorrente –

avverso il decreto n. 185/2014 del TRIBUNALE di ROMA, depositato il

23/04/2014;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

06/12/2019 dal Consigliere Dott. VELLA PAOLA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SOLDI ANNA MARIA, che ha concluso per l’accoglimento del primo e del

terzo motivo del ricorso, il secondo in parte inammissibile, in

parte con enunciazione di principio di diritto;

udito l’Avvocato Enrico Vergani per la ricorrente, che ha chiesto

l’accoglimento del ricorso;

udito l’Avvocato Alberto Serino per il controricorrente, che ha

chiesto il rigetto del ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Il Tribunale di Roma ha accolto parzialmente, all’esito di c.t.u., l’opposizione allo stato passivo della Tirrena Navigazione S.p.a. in Amministrazione Straordinaria, proposta da Purple Water Ltd. quale cessionaria dei crediti di Rimorchiatori Siciliani S.r.l. e Purple Water Towing Ltd., proprietarie e armatrici dei rimorchiatori “(OMISSIS)” e “(OMISSIS)” – ammettendo al passivo il credito di Euro 979.200,00 (rispetto a quello insinuato di Euro 2.750.000,00) oltre interessi e rivalutazione monetaria, con il privilegio ex art. 552 c.n., n. 4, a titolo di compenso per l’operazione di salvataggio intrapresa dai predetti rimorchiatori (in concorso con altre unità dei Vigili del Fuoco e della Capitaneria di Porto di Palermo), ai sensi dell’art. 1, lett. a) della Convenzione di Londra del 28 aprile 1989 sul soccorso in mare, in occasione del sinistro occorso alla motonave “(OMISSIS)” (appartenente alla Tirrenia di Navigazione S.p.a. e impiegata sulla linea (OMISSIS)), a seguito di un incendio scoppiato a bordo verso le ore 3.40 del (OMISSIS).

Avverso detta decisione Tirrena Navigazione S.p.a. in A.S. ha proposto ricorso per cassazione affidato a cinque motivi, cui l’intimata Purple Water Ltd. ha resistito con controricorso, proponendo a sua volta ricorso incidentale condizionato. Entrambe le parti hanno depositato memorie ex art. 380-bis1 c.p.c.

Con ordinanza interlocutoria n. 12380 del 9 maggio 2019 questa Corte, ravvisati i presupposti di cui all’art. 375 c.p.c., comma 2, ha disposto rinvio a nuovo ruolo per la trattazione del ricorso in pubblica udienza, in vista della quale entrambe le parti hanno depositato memoria ex art. 378 c.p.c.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

2. Occorre preliminarmente dare atto che alla vicenda in esame è pacificamente applicabile la Convenzione internazionale di Londra del 28 aprile 1989 sull’assistenza (cd. Salvage) – ratificata e resa esecutiva in Italia con la L. 12 aprile 1995, n. 129 in vigore dal 14 luglio 1996 (di seguito, Convenzione) – che, a differenza della precedente Convenzione di Bruxelles del 1910 in tema di soccorso in mare, si applica in linea di principio (con le deroghe previste dall’art. 3 per “piattaforme e impianti di trivellazione”, dall’art. 4 per le navi da guerra o di Stato che beneficiano dell’immunità internazionale, dall’art. 6 per i “contratti di assistenza”, fatti salvi l’annullabilità e modificabilità del contratto ai sensi dell’art. 7 e “l’obbligo di prevenire o limitare i danni arrecati all’ambiente”), ogni qual volta in uno Stato contraente sia pendente, da chiunque promossa, “un’azione giudiziaria o arbitrale attinente” all’oggetto della Convenzione medesima (art. 2), che ha perciò natura di lex fori sostanziale – a prescindere dalla presenza di profili di internazionalità e dunque anche nel soccorso nazionale – rispetto alla quale il codice della navigazione assume invece il ruolo di disciplina suppletiva, applicabile solo in quanto compatibile con la legge internazionale uniforme, perchè afferente aspetti da questa non trattati o per i quali essa fa salva la diversa disciplina della legge nazionale. Ciò, s’intende, a meno che non siano formulate delle “riserve” a norma dell’art. 30, che consente agli Stati contraenti “di riservarsi il diritto di non applicare le disposizioni della presente Convenzione” qualora: le operazioni di assistenza abbiano luogo in acque territoriali e tutte le navi interessate siano destinate alla navigazione interna (lett. a) ovvero non sia implicato alcun tipo di imbarcazione (lett. b); tutte le parti interessate appartengano allo Stato contraente (lett. c); si tratti di bene culturale marittimo, di interesse preistorico, archeologico o storico, che si trovi sul fondo marino. Non risulta allo stato che tali riserve siano state formulate dall’Italia.

2.1. In particolare, l’art. 1, lett. a) definisce come “operazione di assistenza” “qualsiasi azione o attività intesa ad assistere una nave o qualsiasi altro bene in pericolo in acque navigabili o in altre acque” (per “bene” intendendosi, ai sensi della successiva lett. c), “qualsiasi bene che non sia assicurato in modo permanente e intenzionale al litorale e che faccia parte del carico in pericolo”) e l’art. 5, par. 1, prevede che la Convenzione “non pregiudica le disposizioni del diritto nazionale o di una convenzione internazionale concernenti le operazioni di assistenza effettuate da autorità pubbliche o sotto il loro controllo”, precisando al successivo par. 2 che “tuttavia, coloro che prendono parte a operazioni di assistenza, sono legittimati ad avvalersi dei diritti e dei rimedi giuridici previsti dalla presente Convenzione nell’ambio delle operazioni di assistenza” (così come, ai sensi del comma 3, può avvalersene l’autorità pubblica tenuta ad effettuare operazioni di assistenza, secondo quanto stabilito dalla legislazione nazionale).

3. Ciò premesso, con il primo motivo di ricorso la Tirrenia di Navigazione S.p.a. in A.S. lamenta la violazione o falsa applicazione degli artt. 1224 e 1277 c.c., per avere il Tribunale “erroneamente qualificato il compenso di salvataggio quale debito di valore, avente natura risarcitoria” – perciò riconoscendo sul compenso liquidato per l’opera di salvataggio marittimo (pari a Euro 900.000,00) anche la rivalutazione monetaria sulla base dell’indice Istat (con coefficiente di rivalutazione pari a 1,008) “a titolo di danno emergente”, nonchè gli “interessi in misura pari al 1,5% annuo calcolati sulla somma non rivalutata”, a titolo di “lucro cessante” – quando invece “il compenso di salvataggio è obbligazione di valuta, avente natura di credito pecuniario, e non certamente risarcitorio, cui è applicabile il principio nominalistico ex art. 1277 c.c., non suscettibile di alcuna rivalutazione automatica”, trattandosi di “corrispettivo di un’attività spiegata dall’equipaggio della nave soccorritrice e dell’impiego dei mezzi meccanici di cui questa dispone”, non già di “entità economica da sostituirsi ad un bene perduto”, senza che rilevi il fatto che, “per calcolare in concreto l’ammontare di tale credito, si tenga conto del valore dei beni salvati, poichè detto valore è assunto come criterio di misura, peraltro non esaustivo”.

3.1. La censura è fondata.

3.2. Indubbiamente le operazioni materiali di soccorso in mare che la Convenzione sussume nella nozione unitaria di “salvage” (comprensiva dei concetti di assistenza e salvataggio invece distintamente considerati nel codice della navigazione, a seconda che le operazioni comportino o meno la collaborazione del soggetto soccorso, accanto alla ulteriore nozione di “ricupero”: v. Rel. c.n., n. 299) – costituiscono fonte di obbligazioni anche quando non sono di natura contrattuale, essendo inquadrabili (esclusa ovviamente la categoria del fatto illecito) nel genus di “ogni altro atto o fatto idoneo a produrle in conformità dell’ordinamento giuridico”, ai sensi dell’art. 1173 c.c. Invero, l’art. 8 della Convenzione disciplina gli “obblighi di coloro che prestano assistenza, del proprietario e del capitano” (quest’ultimo personalmente gravato, ai sensi del successivo art. 10, anche dell’obbligo di “prestare assistenza a qualsiasi persona che si trovi in pericolo di perdersi in mare, nella misura in cui ciò non arrechi gravi pregiudizi alla sua nave e alle persone a bordo”) mentre gli artt. 12 e ss. disciplinano i “diritti delle persone che prestano assistenza”, primo fra tutti il “diritto a un compenso”.

3.3. In particolare: l’art. 12, par. 1 della Convenzione stabilisce che “le operazioni di assistenza portate a termine con successo danno diritto a un compenso” (precisando al par. 2 che, “conformemente alla presente Convenzione e salvo disposizione contraria, non è dovuto alcun compenso se le operazioni di assistenza non hanno avuto successo”); l’art. 13 detta una serie di “criteri per la determinazione del compenso”, tutti di equivalente portata, in modo da “incoraggiare le operazioni di assistenza”, avuto riguardo a: a) valore della nave assistita e degli altri beni tratti in salvo; b) competenza e sforzi profusi da coloro che hanno prestato assistenza al fine di prevenire o limitare i pregiudizio causati all’ambiente; c) successo ottenuto dalla persona che presta assistenza; d) natura e rilevanza del pericolo; e) competenza e sforzi profusi da coloro che hanno prestato assistenza al fine di salvare la nave, gli altri beni e le vite umane; f) tempo impiegato da coloro che hanno prestato assistenza, costi sostenuti e perdite subite; g) rischi corsi da chi ha prestato assistenza o dal suo materiale; h) sollecitudine con cui sono stati resi i servizi; i) disponibilità e impiego di navi o altre attrezzature destinate alle operazioni di assistenza; j) stato di preparazione, efficacia e valore del materiale di chi ha prestato assistenza – precisando che “il compenso, senza considerare eventuali interessi o spese procedurali ricuperabili, non dovrà oltrepassare il valore della nave e degli altri beni tratti in salvo”; infine, l’art. 14 contempla uno specifico “indennizzo straordinario” per chi abbia “prevenuto o limitato un pregiudizio per l’ambiente”, calcolato sulla base delle “spese sostenute”.

3.4. Il quadro normativo sopra sintetizzato depone, a partire dalla sua chiara impronta lessicale, per la configurazione del “compenso” dovuto nel cd. soccorso obbligatorio quale obbligazione pecuniaria, ai sensi dell’art. 12, comma 1 cit., e quindi credito di valuta (cfr. Cass. Sez. 3, 28/03/2008 n. 8092, in un caso analogo, sia pure antecedente l’entrata in vigore della Convenzione, in cui si fa esplicito riferimento al maggior danno da svalutazione monetaria ex art. 1224 c.c., comma 2), piuttosto che di valore, non apparendo condivisibile l’assimilazione operata dal giudice a quo alla ben diversa fattispecie del debito risarcitorio gravante sull’amministratore ex art. 2393 c.c. – “sia che derivi da responsabilità per illecito contrattuale, sia che si ricolleghi a responsabilità extracontrattuale, sia che si configuri più genericamente come effetto di responsabilità ex lege, e tanto se si tratti di danno emergente come di lucro cessante” – in quanto tale “sensibile al fenomeno della svalutazione monetaria fino al momento della sua liquidazione, ancorchè il danno consista nella perdita di una somma di denaro, costituendo questo, in siffatta particolare ipotesi, solo un elemento per la commisurazione dello ammontare dello stesso, privo di incidenza rispetto alla natura del vincolo” (v. Cass. n. 68/1979 cit. nel decreto impugnato; conf. Cass. 11018/2005).

3.5. Invero, il diritto al “compenso” – inteso come pagamento di una somma di denaro in favore dei soccorritori, con carattere remuneratorio (remuneration o reward) – risponde non solo a palesi ragioni equitative, ma anche al dichiarato intento di “incoraggiare le operazioni di assistenza” (v. Convenzione, art. 13, par. 1), in funzione sia dell’obbiettivo prioritario di salvaguardare vite umane (l’art. 16 della Convenzione prevede che “nessun compenso è dovuto dalle persone salvate”, facendo però salve diverse prescrizioni delle leggi nazionali e contemplando comunque il diritto dei “salvatori di vite umane” a “un’equa parte del compenso accordato a chi ha prestato assistenza per aver salvato la nave o altri beni, o per aver prevenuto o limitato i danni ambientali”), sia dell’interesse pubblico all’economia nazionale e all’ambiente. Nè deve fuorviare il riferimento contenuto nell’art. 13, lett. f), a “costi sostenuti e perdite subite” (accanto al “tempo impiegato”) “da coloro che hanno prestato assistenza” (così come ai “rischi corsi” di cui alla lett. g), poichè si tratta semplicemente di alcuni dei tanti criteri concorrenti per la quantificazione di un compenso che conserva il suo carattere di remunerazione pecuniaria per un’attività svolta. Peraltro, la Convenzione stabilisce che, “salvo disposizione contraria”, “non è dovuto alcun compenso se le operazioni di assistenza non hanno avuto successo” (art. 12, par. 2) – in linea con il principio di matrice anglosassone “no cure, no pay”, che ipostatizza il nesso consequenziale fra utilità del risultato conseguito e acquisizione del diritto ad una remunerazione – laddove il codice della navigazione subordina all’utilità del risultato solo il compenso in senso stretto, considerato separatamente dalle spese sostenute e dai danni subiti, che danno diritto alle corrispondenti indennità, sia pure nei limiti del valore dei beni salvati e in assenza del rifiuto espresso e ragionevole del comandante della nave in pericolo (artt. 491, 492 c.n.).

3.6. L’erronea affermazione del tribunale circa la natura risarcitoria del compenso in questione (qualificato come debito di valore e perciò maggiorato della rivalutazione monetaria) non può essere superata come vorrebbe in subordine il controricorrente (v. pag. 7 e 8 del controricorso) – nè mediante una semplice correzione della motivazione ai sensi dell’art. 384 c.p.c., u.c., nè attraverso una decisione nel merito ai sensi del comma 2 medesima norma, rendendosi necessario procedere ad un accertamento sugli atti e fatti di causa per verificare se, ed entro quali limiti, possa farsi applicazione del consolidato orientamento di questa Corte per cui il credito di valuta – quale appunto deve intendersi il compenso riconosciuto dal tribunale – in quanto soggetto al principio nominalistico, non può essere automaticamente maggiorato della rivalutazione monetaria, dovendo essere quantomeno allegato, ai fini del risarcimento del maggior danno ex art. 1224 c.c., comma 2, che nel periodo di mora il saggio medio di rendimento dei titoli di stato di durata infrannuale sia stato superiore al tasso degli interessi legali, fatta salva la “deduzione da parte del creditore di un diverso e maggiore criterio di redditività del denaro”, purchè “accompagnata dalla dimostrazione presuntiva dei fatti giustificativi del reimpiego afferenti la qualità soggettiva del creditore o l’attività da esso svolta” (ex multis, Cass. Sez. 2, 30/07/2019 n. 20547; Sez. 3, 19/03/2018 n. 6684; Sez. 6-1, 18/10/2017 n. 24598; cfr. Sez. U, 16/07/2008 n. 19499).

4. Con il secondo mezzo si lamenta la violazione o falsa applicazione dell’art. 13, par. 2 della Convenzione e dell’art. 497 c.n. “per avere il Tribunale di Roma avallato la tesi del Consulente Tecnico d’Ufficio ed erroneamente ritenuto Tirrenia obbligata a rispondere per le contribuzioni dovute dal carico e dagli altri interessi della spedizione in relazione al compenso di salvataggio richiesto da Purple Water Ltd.”, dovendosi invece affermare il principio per cui non vi è una norma del diritto nazionale che, in deroga alla Convenzione, stabilisca una solidarietà tra i debitori del compenso di salvataggio, tale non potendo considerarsi l’art. 497 cod nav., il quale stabilisce che “la spesa per le indennità e per il compenso dovuti alla nave soccorritrice in caso di assistenza o salvataggio di nave o aeromobile viene ripartita a carico degli interessati alla spedizione soccorsa a norma delle disposizioni sulla contribuzione alle avarie comuni, anche quando l’assistenza non sia stata richiesta dal comandante della nave o dell’aeromobile in pericolo o sia stata prestata contro il suo rifiuto”.

4.1. La censura è inammissibile.

4.2. Come più volte eccepito negli scritti della controricorrente (senza che – significativamente – vi sia stata alcuna replica, sul punto, nelle memorie avversarie), il motivo difetta di specificità e attinenza al contenuto del decreto impugnato, nel quale non è rintracciabile alcun passaggio attestante la pretesa addizione, al valore complessivo dei beni salvati, del “valore del carico salvato, pari ad Euro 3.475.600,00, determinando un ingiustificato incremento di oltre il 15% del compenso stabilito dal Tribunale di Roma”, come si afferma a pag. 20 del ricorso. Il giudice a quo si è infatti limitato a ritenere, a pag. 7 del decreto, che “sulla scorta delle condivisibili conclusioni svolte in merito dal c.t.u.” – delle quali peraltro non si dà conto in ricorso – “il congruo compenso spettante all’opponente possa essere fissato nella cifra di Euro 900.000,00, maggiorata degli importi” riconosciuti per interessi e rivalutazione monetaria.

4.3. Le copiose deduzioni sulla natura parziaria – piuttosto che solidale – dell’obbligazione relativa al pagamento del compenso per le operazioni di salvataggio de quibus risultano perciò del tutto generiche e teoriche, in quanto prive del benchè minimo aggancio motivazionale al decreto impugnato e di qualsivoglia specificazione integrativa, negli scritti difensivi del ricorrente, circa i contenuti della c.t.u. cui il tribunale fa esplicito rinvio.

4.4. Nondimeno, può accedersi all’invocata enunciazione del principio di diritto nell’interesse della legge, ai sensi dell’art. 363 c.p.c., comma 3, poichè essa può essere effettuata anche d’ufficio quando il ricorso è dichiarato inammissibile, ove la questione decisa sia ritenuta di particolare importanza (cfr. Cass. Sez. 2, 20/05/2011, n. 11185, sulla competenza in tal senso anche delle Sezioni semplici, oltre che delle Sezioni unite). Nel caso di specie, la particolare importanza della questione deriva dall’esistenza di un nutrito fronte dottrinario e di una parte della giurisprudenza di merito contrari all’orientamento di questa Corte – per vero espresso in fattispecie alle quali non era applicabile la Convenzione di Londra sull’assistenza del 1989 – circa la natura dell’obbligazione relativa al compenso ai soccorritori, in caso di assistenza o salvataggio di nave.

5. Occorre innanzitutto ricordare che la Convenzione internazionale di Londra (come detto entrata in vigore il 14 luglio 1996, senza formulazione di “riserve” da parte dell’Italia ai sensi dell’art. 30), pur essendo applicabile nel nostro ordinamento quale lex fori sostanziale, non esclude l’applicabilità della legge nazionale in via suppletiva, con riguardo agli aspetti non disciplinati – nei limiti di compatibilità – o per i quali la stessa Convenzione fa salva la diversa disciplina della legge nazionale.

5.1. Quest’ultimo è il caso dell’art. 13, par. 2 della Convenzione, che, dopo aver posto la regola per cui “il versamento di un compenso stabilito in base al paragrafo 1 deve essere effettuato da tutte le parti interessate alla nave e agli altri beni tratti in salvo, in proporzione del rispettivo valore” (configurando perciò un’obbligazione parziaria), aggiunge che “uno Stato Parte può tuttavia prevedere, nella sua legislazione interna, che il versamento del compenso venga effettuato da una delle parti interessate, restando fermo che tale parte ha un diritto di regresso nei confronti delle altre parti per ciò che concerne la loro rispettiva quota”, consentendo così agli Stati aderenti di contemplare un obbligato principale con diritto di rivalsa nei confronti degli altri coobbligati, ovvero forme di responsabilità congiunta o solidale (ed in effetti simili soluzioni risultano essere state variamente adottate, per quanto consta, negli ordinamenti tedesco, danese, olandese, francese, tedesco, greco, spagnolo e statunitense, mentre quello anglosassone ha influenzato l’innovazione della Convenzione di Londra rispetto alla Convenzione di Bruxelles del 1938, che poneva a carico dell’armatore della nave assistita l’indennità e i compensi dovuti ai soccorritori, prevedendo un’azione di rivalsa dei medesimi nei confronti dei proprietari delle cose).

5.1.1. Tale rinvio della Convenzione alla legislazione interna include – s’intende – anche disposizioni già esistenti, volendosi con esso rispettare i diversi principi previsti nei singoli ordinamenti degli Stati aderenti in punto di configurazione del lato passivo dell’obbligazione avente ad oggetto il compenso per l’assistenza a “una nave o a qualsiasi altro bene in pericolo in acque navigabili o in altre acque” (art. 1, lett. a); di qui la superfluità di una eventuale disposizione di legge meramente confermativa di norme preesistenti.

5.1.2. Pertanto, in assenza di ulteriori disposizioni di legge adottate dall’Italia dopo l’entrata in vigore della Convenzione, la questione è se la normativa interna – segnatamente il codice della navigazione – ponga il compenso del soccorritore a carico pro quota di tutte le parti interessate alla spedizione marittima, ovvero (come è appunto consentito dalla Convenzione) a carico di un solo soggetto, con diritto di rivalsa nei confronti degli altri. Il tema ha sempre registrato un vivace dibattito in dottrina, mentre la giurisprudenza di questa Corte ha costantemente escluso la natura parziaria di detta obbligazione, pur non adottando soluzioni univoche sulla sua (eventuale) natura solidale. Nè rileva che si tratti di un orientamento formatosi in fattispecie sottratte ratione temporis alla Convenzione di Londra, trattandosi qui, come detto, solo di verificare se nel nostro ordinamento esista una regola diversa da quella della parziarietà, adottata – in modo non vincolante – dalla Convenzione.

5.2. Tra gli arresti più risalenti va menzionata Cass., sez. 1, 20 ottobre 1953, n. 3458, che identificava nell’armatore il soggetto tenuto a corrispondere l’indennizzo e il compenso dovuti al soccorritore della nave, salvo il suo diritto di rivalsa nei confronti del proprietario del bene di cui fosse stata evitata la perdita (obbligato ad un proporzionale contributo alla spesa), sia che si trattasse del proprietario della nave (ovviamente, se ed in quanto soggetto diverso dall’armatore), sia che si trattasse dei proprietari del carico.

5.2.1. Successivamente, Cass. Sez. 1, 19 luglio 1966 n. 1948 si spingeva a sostenere che, nell’ipotesi di soccorso obbligatorio in mare, i titolari dei beni partecipi alla spedizione marittima ed investiti dal rischio di danno fossero tutti obbligati solidalmente nei confronti del soccorritore per le competenze a questi spettanti (spese, danni, compenso), riconoscendo al coobbligato che avesse soddisfatto per intero il relativo credito un diritto di surrogazione legale nelle ragioni del soccorritore medesimo, ai sensi dell’art. 1203 c.c., n. 3.

5.2.2. A distanza di oltre vent’anni, Cass. Sez. 1, 05/08/1987 n. 6715 tornava a riconoscere nel solo armatore – salvo rivalsa – il soggetto passivo dell’obbligazione di pagamento del compenso al soccorritore, affermando, sempre in una fattispecie di salvataggio obbligatorio ex art. 490 c.n., i seguenti principi: i) “con l’esecuzione dell’obbligazione legale di salvataggio sorge, per effetto dell’eliminazione totale o parziale del rischio, l’obbligo di corrispondere al soccorritore il compenso a carico dell’interessato alla spedizione marittima, il cui patrimonio era gravato da quel rischio e che dalla eliminazione, totale o parziale, di esso ha tratto immediato e diretto vantaggio”; ii) “il soggetto passivo del soccorso si identifica nell’armatore, salvo rivalsa nei confronti del proprietario del bene di cui sia stata evitata la perdita, per ottenere da lui un proporzionale contributo al compenso, si tratti del proprietario della nave in quanto soggetto diverso dall’armatore, o del proprietario del carico”.

5.2.3. Dopo quasi due lustri, Cass. Sez. 1, 09/09/1996, n. 8167 è addivenuta ad un’articolata mediazione tra i pregressi orientamenti, precisando che, in tema di assistenza e salvataggio della nave: i) in caso di soccorso obbligatorio o spontaneo – e “al di fuori dell’ipotesi in cui l’armatore abbia stipulato un contratto di soccorso in nome proprio o il comandante abbia stipulato un analogo contratto in nome e per conto dell’armatore da lui rappresentato” – l’armatore della nave salvata è debitore per l’intero ammontare della remunerazione relativa al soccorso prestato alla nave e al carico; ii) l’armatore può essere qualificato, “in funzione della sua posizione istituzionale, come “obbligato principale” nei confronti del soccorritore, nel senso che l’armatore soltanto può essere escusso, direttamente e immediatamente, per l’intero ammontare della remunerazione relativa al soccorso alla nave e al carico, mentre ciascuno degli aventi diritto al carico resta debitore soltanto della remunerazione relativa al soccorso di cui hanno fruito le cose di rispettiva pertinenza”; iii) “vanno distinte, nell’entità totale del debito dell’armatore per le spese di soccorso, due componenti: una costituita dall’obbligazione remuneratoria correlata al soccorso della nave, della quale egli solo è tenuto a rispondere; un’altra, rappresentata dal coacervo delle obbligazioni remuneratorie inerenti al carico, in relazione alla quale concorrono la responsabilità dell’armatore, da una parte, e le responsabilità tra loro distinte e separate degli aventi diritto alle cose trasportate, dall’altra. In relazione alla seconda componente trova applicazione, in ordine a ciascuno dei rapporti configurabili tra l’armatore ed i singoli interessati al carico, il criterio della solidarietà tra i condebitori, ricorrendo i presupposti dell’identità della prestazione e dell’insorgenza dell’obbligazione dal medesimo fatto giuridico o da fattispecie diverse, ma tra loro collegate da un nesso che le fa configurare come un complesso unitario”; iv) “resta invece esclusa la solidarietà tra i diversi interessati alle merci, nei rapporti interni tra loro, attesa l’indipendenza e la non comunicabilità delle loro rispettive posizioni”.

5.2.4. Da tale breve ricognizione emerge chiaramente come questa Corte abbia sempre escluso la natura parziaria dell’obbligazione relativa al compenso dovuto per il soccorso in mare, individuando come obbligato immediato e diretto l’armatore (con diritto di rivalsa nei confronti degli altri interessati) e talora spingendosi a ravvisare una forma di solidarietà passiva tra i coobbligati, da ultimo circoscritta alla sola parte del compenso relativa al carico della nave.

5.3. Ad avviso del Collegio, questo consolidato orientamento, diretto ad escludere costantemente la natura parziaria dell’obbligazione per cui è causa, trova fondamento nelle disposizioni del codice della navigazione, e in particolare nell’art. 497 c.n. rubricato “Incidenza della spesa per le indennità e il compenso” – in base al quale “La spesa per le indennità e per il compenso dovuti alla nave soccorritrice in caso di assistenza o salvataggio di nave o di aeromobile viene ripartita a carico degli interessati alla spedizione soccorsa a norma delle disposizioni sulla contribuzione alle avarie comuni, anche quando l’assistenza non sia stata richiesta dal comandante della nave o dell’aeromobile in pericolo o sia stata prestata contro il suo rifiuto”.

5.3.1. Occorre innanzitutto considerare che tale norma è preceduta da disposizioni che disciplinano, separatamente, la “Indennità e compenso per assistenza o salvataggio di nave” (art. 491) e la “Indennità e compenso per salvataggio di cose” (art. 492), ma riguarda espressamente solo il primo caso – ossia l’assistenza o salvataggio di nave (non già di cose, a fronte di una nave in pericolo) – e regolamenta specificamente la (sola) “incidenza” della “spesa” (evidentemente già sostenuta) per il relativo compenso, dettando i criteri per la sua “ripartizione” a carico di tutti gli interessati alla “spedizione soccorsa” (unitariamente considerata), mediante rinvio alla disciplina sulla “contribuzione” alle avarie comuni (artt. 469 ss. c.n.), applicata – in via estensiva – anche al caso in cui il comandante della nave non abbia richiesto l’assistenza, o addirittura questa sia stata prestata contro il suo rifiuto.

5.3.2. Lo stesso tenore letterale della norma testimonia, dunque, che essa non riguarda il momento genetico dell’obbligazione (il “compenso dovuto” al soccorritore), bensì la fase successiva al suo adempimento nei confronti del soggetto attivo dell’obbligazione (la “spesa” effettuata), occupandosi dei criteri della sua “ripartizione” in presenza di una pluralità di soggetti passivi, interessati dall’operazione di soccorso.

5.3.3. A livello genetico, invero, è certamente unica la fonte dell’obbligazione, ex art. 1173 c.c. (nel soccorso contrattuale il negozio giuridico; nel soccorso obbligatorio e in quello spontaneo, rispettivamente, l’atto dovuto e il fatto giuridico, secondo la fattispecie legale integrante le operazioni di assistenza). Inoltre, in tutte le forme di soccorso unico è lo scopo, ossia il cd. salvamento si noti – dell’intera spedizione (non già delle sue singole componenti). Ma soprattutto la prestazione gravante sulla “spedizione soccorsa” (i.e. il pagamento del compenso al soccorritore) si presenta originariamente unica, dal momento che il compenso viene determinato, sulla base dei criteri previsti dalla legge (prima l’art. 491 c.n., ora l’art. 13 della Convenzione) quale entità unitaria, non già quale somma di distinte entità correlate al valore dei singoli beni in rischio, sebbene di tale valore si tenga conto tra i criteri determinativi.

5.3.4. Può dunque concludersi che, a fronte non già di una pluralità di prestazioni, bensì di una sola prestazione, l’art. 497 c.n. esprime l’esigenza di ripartire questo costo unitario tra i soggetti coinvolti, chiamati per legge a sopportarne il peso secondo la ratio che presiede all’istituto della contribuzione alle avarie comuni, nel quale l’obbligazione nasce unitaria e diventa frazionata solo al momento della sua ripartizione, dopo che la spesa sia stata sostenuta.

5.4. Appare quindi condivisibile la tesi, sostenuta da autorevole (per quanto minoritaria) dottrina, che la remunerazione dovuta ai soccorritori integri – senza distinzione tra soccorso spontaneo od obbligatorio, contrattuale o non contrattuale – una “avaria-spesa”, posto che il meccanismo della contribuzione alle avarie comuni è espressamente esteso ex lege all’ipotesi di un soccorso non richiesto dal comandante e, quindi, di una corrispondente spesa non direttamente riconducibile a “provvedimenti ragionevolmente presi, a norma dell’art. 302, dal comandante, o da altri in sua vece, per la salvezza della spedizione” (art. 469 c.n.). Facendo dunque leva sulla declinazione del “costo” del salvataggio come “avaria-spesa”, è stato così assegnato all’armatore un ruolo di debitore “in linea principale”, in quanto soggetto responsabile delle obbligazioni concernenti la spedizione, con slittamento della ripartizione di quel costo tra tutti gli interessati, in via contributiva, alla fase successiva al pagamento del soccorritore; ciò senza tuttavia disconoscere la qualifica di debitori agli altri interessati, nei cui confronti l’armatore è autorizzato ad esercitare il diritto di rivalsa pro quota, applicando il paradigma legale della contribuzione alle avarie comuni.

5.4.1. Del resto, è noto che la Regola VI di York e Anversa, nella formulazione del 1974, aveva inquadrato il compenso di soccorso proprio nella contribuzione alle avarie comuni, sebbene, successivamente, quella regola sia stata circoscritta al caso del compenso pagato da una parte per conto delle altre parti coinvolte, proprio per la necessità di un coordinamento con la Convezione di Londra del 1989, che però – si ricorda – ha lasciato liberi gli Stati aderenti di prevedere una regola diversa da quella fissata nell’art. 13, par. 2). E sempre al corpo delle regole di York e Anversa si deve la distinzione tra le “avarie-danni” (intese come perdita, danneggiamento o deterioramento per la salvezza comune di un bene coinvolto nella spedizione marittima) e le “avarie-spese” (i.e. gli esborsi di denaro effettuati sempre per la salvezza comune).

5.4.2. La riconduzione del “costo” del salvataggio nel genus delle avarie comuni – segnatamente nella species “avaria-spesa” – appare un’operazione anche concettualmente corretta, poichè nella nozione di avarie comuni ex art. 469 c.n. (la cui disciplina, si rammenta, è stata espressamente estesa dall’art. 497 c.n. alla ripartizione del compenso per il soccorso prestato da terzi, a prescindere dalla richiesta del comandante della nave ed anche contro il suo rifiuto) rientrano non solo i danni, ma anche le spese prodotte dalle misure adottate per la “salvezza della spedizione”. Ferma restando, ovviamente, la diversità degli istituti in disamina (la cui assimilazione vive solo grazie all’espresso disposto dell’art. 497 c.n.), quello delle avarie comuni trovando notoriamente i suoi incunabula nelle antiche consuetudini di diritto marittimo recepite dalla Lex Rhodia de iactu, che nell’ipotesi di factus mercium, cioè il getto a mare di alcune merci da parte del capitano di una nave in pericolo, ripartiva proporzionalmente la perdita tra tutti i locatori proprietari delle merci trasportate sulla nave (sicchè il proprietario delle merci perite poteva agire con l’actio locati contro il trasportatore, che a sua volta poteva agire in via di rivalsa con l’actio conducti contro i proprietari delle merci salvate). Del resto, la vasta letteratura in argomento non manca di sottolineare l’incredibile attualità di quell’antico corpus normativo, che nel diritto romano descriveva come “avaria comune” anche il riscatto pagato per la restituzione della nave e del carico sequestrati dai pirati, nel senso che il relativo rischio veniva a gravare su tutti i partecipanti alla spedizione, chiamati a ripartirsene il costo, secondo i rispettivi valori.

5.5. Posto che siffatta “avaria-spesa” genera un’obbligazione nei confronti di un terzo estraneo alla spedizione (il soccorritore), resta da individuare il fondamento normativo in base al quale la spesa graverebbe in prima battuta sull’armatore, per poi essere imputata nella “massa creditoria” (quale spesa ammessa a contribuzione) in vista della ripartizione contributiva che coinvolge tutta la “massa debitoria” (ossia tutti i partecipanti alla spedizione, in ragione del valore dei beni in rischio, ivi compreso l’armatore che ha sopportato la spesa ammessa in avaria comune, avendo anch’egli beneficiato del salvataggio del suo valore economico), attraverso il “regolamento contributivo”, che consiste nell’addebitare a ogni partecipante alla spedizione, tenuto alla contribuzione, una quota dell’ammontare complessivo della massa creditoria, corrispondente al rapporto tra il valore stimato dei beni per cui esso concorre e l’ammontare complessivo della massa debitoria (in tal modo lo stesso armatore, facente parte della massa creditoria che ha subito l’avaria-spesa, risulta creditore verso gli altri interessati alla spedizione delle quote di contribuzione corrispondenti all’ammontare della spesa stessa, detratta la propria quota di contribuzione, che si estingue per compensazione).

5.5.1. Le ragioni per cui l’armatore dovrebbe rivestire questo ruolo di “debitore principale” sono state già esplicitate da Cass. n. 8167/1996, muovendo da una duplice premessa, ampiamente condivisa dalla dottrina: i) la “rilevanza fondamentale che nel nostro ordinamento assume la nozione di spedizione marittima, intesa come comunione di interessi e di rischi, della quale l’armatore è il soggetto organizzatore, il comandante è il capo” – oltre a rappresentare l’armatore e ad agire in nome e per conto dello stesso – “e la nave è l’elemento strutturale materiale”; ii) la conseguente preminenza del ruolo dell’armatore, responsabile, ex art. 274 c.n., comma 1, “dei fatti dell’equipaggio e delle obbligazioni contratte dal comandante della nave, per quanto riguarda la nave e la spedizione” (laddove il suo esonero da responsabilità, ai sensi del comma 2, per “l’adempimento da parte del comandante degli obblighi di assistenza e salvataggio previsti dagli artt. 489, 490, e degli altri obblighi che la legge impone al comandante quale capo della spedizione” riguarda il caso speculare in cui il capo della spedizione sia il soccorritore, non già il destinatario del soccorso: cfr. Rel. c.n., n. 152).

5.5.2. Di qui la conclusione che l’armatore è “responsabile di ogni atto o fatto generatore di obbligazioni inerente all’esercizio della nave, in virtù della particolare struttura che tale esercizio assume nel nostro ordinamento e che si ripercuote su tutti gli istituti del diritto della navigazione, ivi compreso quello del soccorso, sia in relazione a un fatto giuridico semplice non negoziale quale il soccorso spontaneo, sia con riguardo a un atto dovuto quale il soccorso obbligatorio per legge o per ordine dell’autorità, sia infine quando si trovi in presenza dell’adempimento di un obbligo contrattualmente assunto”.

5.5.3. Pertanto, pur essendo tenuti alla remunerazione del soccorso (salvo diversa previsione ex contractu) tutti i titolari dei beni che ne hanno beneficiato, tra di essi l’armatore assume il ruolo di “obbligato principale” in ragione di una serie di indici normativi che ne evidenziano il coinvolgimento – anche per il tramite del comandante, quale capo della spedizione unitariamente intesa nella cura dei restanti interessi, segnatamente: i) il potere-dovere di salvaguardare con ogni mezzo la spedizione dagli eventi che la mettano in pericolo (art. 302 c.n.); ii) l’analogo potere-dovere di provvedere, “quando ciò si renda necessario e compatibilmente con le esigenze della spedizione (…) alla tutela degli aventi diritto al carico”, interloquendo con essi in vista dell’adozione delle più opportune misure speciali “per evitare o diminuire un danno” per “gli interessati nel carico” (art. 312 c.n.); iii) la sostanziale equiparazione (in termini di rilevanza) della volontà del comandante della nave rispetto a quella del proprietario della cosa salvata, nell’art. 492 c.n., che disciplina il diritto all’indennità e al compenso per il salvataggio di sole cose (appunto “che non sia effettuato contro il rifiuto espresso e ragionevole del comandante della nave o dell’aeromobile in pericolo o del proprietario delle cose”), senza che valga il reciproco nella “assistenza e salvataggio di nave e di aeromobile”, ove rileva (ovviamente) solo la volontà del comandante (v. art. 491 c.n.).

5.6. Resta da esaminare se e fino a che punto possa configurarsi una forma di solidarietà tra i vari coobbligati.

5.6.1. Come anticipato, Cass. n. 8167/1996 ha distinto, all’interno del debito remuneratorio complessivo, la componente del soccorso alla nave – di cui l’armatore è l’unico obbligato passivo – e quella del soccorso al carico, sulla quale invece concorrerebbero, in regime di solidarietà, la responsabilità dell’armatore (per le ragioni sopra evidenziate) e le responsabilità di ciascuno degli aventi diritto alle cose trasportate (tra di esse invece indipendenti e autonome). Ciò in forza del principio per cui la solidarietà tra i condebitori si presume in tutti i casi di plurisoggettività passiva, ove dalla legge o dal titolo dell’obbligazione non risulti diversamente (art. 1294 c.c.); ma con l’importante precisazione che, se in forza della solidarietà “ciascuno può essere costretto all’adempimento per la totalità e l’adempimento di uno libera gli altri” (art. 1292 c.c.), in questo caso la “totalità” va riferita al debito di ciascuno degli interessati al carico, e il meccanismo di regresso ex art. 1299 c.c. opera limitatamente a questa componente della remunerazione (quindi solo nel caso in cui il pagamento sia stato anticipato dall’armatore).

5.6.2. In altri termini, solo per la componente della remunerazione del soccorso relativa al carico sarebbero ravvisabili i presupposti tipici della solidarietà, ossia l’idem debitum – nonostante la prestazione esigibile da uno dei coobbligati rappresenti, quantitativamente, solo una parte di quella esigibile dall’altro – e la eadem causa obligandi, a fronte di fattispecie diverse ma pur sempre collegate da un nesso che le rende appartenenti ad un complesso unitario (cfr. Cass. 2120/1996 e Cass. 16391/2010), con conseguente concorso della responsabilità dell’armatore e degli altri interessati al carico.

5.7. A quest’ultimo approdo della propria giurisprudenza il Collegio ritiene di poter dare continuità, pur nella consapevolezza di un ampio fronte dottrinario e di taluni orientamenti di merito (non altrettanto perspicuamente argomentati) di segno contrario, ma con il conforto di un quadro comparatistico che, come detto, ha registrato analoghe soluzioni in molti ordinamenti degli Stati aderenti alla Convenzione di Londra.

5.7.1. Invero, l’opzione della solidarietà passiva sulla sola parte della remunerazione del soccorso afferente il carico non è astrattamente incompatibile con l’individuazione dell’armatore quale debitore principale per l’intero compenso dovuto al soccorritore, salva rivalsa nei confronti degli altri interessati – secondo il meccanismo della surrogazione legale ex art. 1203 c.c., n. 3) che opera “a vantaggio di colui che, essendo tenuto con altri o per altri al pagamento del debito, aveva interesse di soddisfarlo” poichè la sussidiarietà tra i diversi debiti è ammissibile anche all’interno della solidarietà, se risultante da un’espressa pattuizione o disposizione di legge (nel caso di specie riconducibile all’art. 497 c.n.). Peraltro, anche l’eventuale pagamento del proprietario del carico varrebbe come “spesa-avaria”, da inserire nella massa creditoria ai fini del regolamento contributivo finale a carico della massa debitoria, secondo il meccanismo della contribuzione alle avarie comuni prescritto dall’art. 497 c.n.

5.7.2. Del resto, l’opzione della solidarietà passiva trova conforto sia a livello nazionale, nel principio del favor creditoris, stante la sua “tipica funzione di rafforzamento del credito, del quale agevola l’adempimento, non solo nel caso più semplice (…) in cui uno solo sia l’avente interesse alla salvezza del carico, ma anche e soprattutto nei casi in cui sulla nave sia trasportata una molteplicità di partite di merci di pertinenza di numerosi caricatori e ricevitori, consentendo di evitare di dover procedere all’assoggettamento a sequestro di tutte le singole partite e alla conseguente citazione in giudizio di tutti gli interessati” (Cass. 8167/1996); sia a livello internazionale, per il dichiarato “intento di incoraggiare le operazioni di assistenza” che proprio la Convenzione internazionale di Londra esplicita nell’art. 13, con riguardo ai criteri dettati per la determinazione del compenso al soccorritore.

5.8. Va altresì dato atto di come Cass. 8167/1996 si sia fatta carico di escludere che la previsione normativa di distinti privilegi sulla nave e sul carico (ex art. 552 c.n., n. 4 e art. 561 c.n., n. 3) possa inficiare la ricostruzione divisata, dal momento che l’ordinamento ammette una “dissociazione tra la titolarità passiva del debito sostanziale e la titolarità del diritto sul bene dedotto in garanzia” (con riferimento al terzo datore di ipoteca e, in subjecta materia, al “proprietario non armatore della nave che forma oggetto della garanzia patrimoniale del credito del soccorritore, costituente un marittime claim che conferisce al suo titolare di ottenere il sequestro della nave stessa fino a che il credito non sia soddisfatto”).

5.9. Può dunque enunciarsi il seguente principio di diritto:

“- In tema di compenso per l’assistenza a una nave in pericolo, l’art. 13, par. 2 della Convenzione internazionale di Londra del 28 aprile 1989 sull’assistenza (ratificata e resa esecutiva in Italia con la L. n. 129 del 12 aprile 1995, in vigore dal 14 luglio 1996) ammette che le legislazioni nazionali degli Stati aderenti mantengano o introducano una regola diversa dalla parziarietà della relativa obbligazione, consentendo che il versamento del compenso, unitariamente determinato ai sensi del par. 1, venga effettuato da una delle parti interessate, con diritto di regresso nei confronti delle altre parti, limitatamente alla rispettiva quota.

– Nell’ordinamento italiano, il compenso dovuto ai soccorritori per il soccorso all’intera spedizione, unitariamente considerato, integra, ai sensi dell’art. 497 c.n., una forma di “avaria-spesa”, la cui ripartizione nei rapporti interni tra tutti gli interessati alla spedizione avviene secondo il meccanismo della contribuzione alle avarie comuni.

– Nei rapporti esterni l’armatore, stante il ruolo istituzionalmente rivestito, anche alla luce degli artt. 491, 492, 274, 302 e 312 c.n., risponde quale “obbligato principale” nei confronti dei soccorritori: in via esclusiva, per la componente del compenso correlata al soccorso della nave; in solido con ciascuno dei condebitori aventi diritto al carico, per la componente del compenso a questo correlata.

– Resta esclusa la solidarietà tra i diversi interessati al carico, attesa l’indipendenza e la non comunicabilità delle loro rispettive posizioni.”

6. Con il terzo mezzo si lamenta la violazione o falsa applicazione dell’art. 2749 c.c., “per avere il Tribunale di Roma erroneamente attribuito gli interessi sulla somma di Euro 900.000,00 quale compenso di salvataggio dal giugno 2009 fino al giorno della pubblicazione della sentenza, depositata e comunicata il 23 aprile 2014”, piuttosto che “fino alla data della vendita” del bene gravato dal privilegio speciale ex art. 552 c.c., n. 4).

6.1. La censura, pur astrattamente fondata in diritto, risulta inammissibile per la sua genericità, essendosi il ricorrente limitato a dedurre che la M/n “(OMISSIS)” “è stata oggetto, unitamente alle altre unità della flotta, di cessione di ramo d’azienda (…) i cui effetti sono decorsi a partire dal 19 luglio 2012” e ad allegare che ciò sarebbe evincibile “dalle varie relazioni trimestrali D.Lgs. n. 270 del 1999, ex art. 61, comma 2, del Commissario Straordinario di Tirrenia” pubblicate sul sito internet della procedura e trasmesse al Ministero dello Sviluppo Economico, così introducendo un nuovo campo di indagine fattuale, non consentito in questa sede.

7. Il quarto motivo prospetta l'”omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti”, per avere il Tribunale “del tutto trascurato le modalità di acquisizione e messa a disposizione da parte del CTU degli originali o degli estratti autentici notarili dei documenti indicati ai punti nn. 1, 2, 3, 4 e 6 del verbale di udienza dell’8 aprile 2013”, imputando tra l’altro al tribunale: l’omesso esame delle anomalie e irregolarità dell’Official Log Book (Giornale Ufficiale di Bordo) e del Chief Officer’s Log Book (corrispondente al Giornale Nautico, parte III) del rimorchiatore “(OMISSIS)” e l’aver “consentito che il CTU proseguisse nella propria attività omettendo l’esame di tutte le pagine interessate, con i dettagli dell’equipaggio a bordo, delle loro mansioni, certificazioni, competenze, esercitazioni, sbarchi ed imbarchi, arrivi, partenze, movimenti e così via”; la mancanza delle notazioni di fire-fighting e di “nave automatizzata” e l’assenza di certificazione da parte del RINA su tipo, modello e portata delle due pompe del rimorchiatore “(OMISSIS)”; l’avere il Tribunale “avallato le risultanze della CTU sulle modalità d’uso dei mezzi antincendio solamente attraverso alcune fotografie prodotte da controparte”; il tutto con la conseguenza che “le disposizioni fornite dal Giudice con ordinanza dell’8 aprile 2013 siano state completamente disattese dal Consulente e non verificate dal Collegio del Tribunale di Roma in sede di decisione”.

7.1. La censura è palesemente inammissibile, in quanto ripropone aspetti già esaminati dal giudice a quo, il quale ha radicalmente concluso che, “tali essendo sia la ricostruzione dell’evento che le risultanze documentali acquisite, appaiono assolutamente prive di pregio le censure svolte dall’opposta relativamente alle modalità di espletamento della c.t.u., incluse quelle riferite all’acquisizione della documentazione, nonchè in ordine al contraddittorio sviluppatosi tra i consulenti di parte; non solo il diritto di difesa è stato ampiamente soddisfatto come d’altronde è doveroso, ma assolutamente ampio, approfondito ed esaustivo deve ritenersi l’esame compiuto da parte del c.t.u. nonchè dai c.t.p. della documentazione versata in atti, essendo rimasti esclusi dalle valutazioni solamente quei documenti del tutto irrilevanti in relazione all’adozione della presente decisione”.

7.2. Appare evidente come il motivo in esame si risolva in una censura di merito, volta ad ottenere una differente ricostruzione delle risultanze istruttorie, che però non è consentita in sede di legittimità, essendo “inammissibile il ricorso per cassazione che, sotto l’apparente deduzione del vizio di violazione o falsa applicazione di legge, di mancanza assoluta di motivazione e di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio miri, in realtà, ad una rivalutazione dei fatti storici operata dal giudice di merito” (da ultimo, Cass. Sez. U, 34476/2019).

7.3. Spetta invero al giudice del merito, “in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, dando così liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge” (ex plurimis, Cass. Sez. U, 8053/2014 e 24148/2013; Cass. 25332/2014, 21439/2015, 11892/2016, 19547/2017, 23153/2018, 6519/2019). In questa attività decisionale, il giudice di merito “non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive, dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi e circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata” (ex multis, Cass. Sez. U, 10313/06; Cass. 28887/2019, 24155/2017, 13448/2015, 2498/2015).

7.4. Anche con riguardo alla ammissione dei mezzi istruttori e alla valutazione delle circostanze che costituiscono oggetto di prova, è onere del ricorrente allegare che “la prova non ammessa, ovvero non esaminata in concreto, sia idonea a dimostrare circostanze tali da invalidare, con un giudizio di certezza e non di mera probabilità, l’efficacia delle altre risultanze istruttorie che hanno determinato il convincimento del giudice di merito, di modo che la ratio decidendi venga a trovarsi del tutto priva di fondamento” (Cass. 24787/2016; cfr. Cass. 5377/2011, 4369/2009, 11457/2007, 3075/2006), “così da consentire al giudice di legittimità un controllo sulla decisività delle prove” (Cass. 1271/2018, 23194/2017).

7.5. Quanto poi allo specifico strumento della c.t.u., è stato in effetti chiarito che “il ricorrente non può limitarsi a denunciare l’omesso esame di elementi istruttori, ma deve indicare l’esistenza di uno o più fatti specifici, il cui esame è stato omesso, il dato, testuale o extratestuale, da cui essi risultino, il “come” ed il “quando” tali fatti siano stati oggetto di discussione processuale tra le parti e la loro decisività” (Cass. 7472/2017; conf. Cass. 4504/2017 sull’ordine di esibizione ex art. 210 c.p.c.).

8. Il quinto motivo denunzia la violazione o falsa applicazione degli artt. 558 e 559 c.n. “per avere il Tribunale di Roma erroneamente ritenuto che l’assoggettamento di Tirrenia alla procedura di amministrazione straordinaria abbia impedito il decorso dei termini estintivi del privilegio”, poichè “ai sensi dell’art. 558 c.n., i privilegi sui crediti per assistenza e salvataggio ex art. 552 c.n., n. 4 si estinguono con lo spirare del termine di un anno, dal giorno in cui le operazioni sono terminate” e, nel caso di specie, “tra la fine delle operazioni di salvataggio del 1 giugno 2009 e l’ammissione della ricorrente alla procedura di amministrazione straordinaria del 5 agosto 2010 è ampiamente decorso il termine annuale di cui all’art. 558 c.n.”. Inoltre, il ricorrente lamenta che erroneamente il Tribunale di Roma avrebbe ammesso in via privilegiata “una somma eccedente a quella riconosciuta, in via complessiva, dal Tribunale di Palermo a conclusione dei due sequestri conservativi esercitati in allora da Rimorchiatori Siciliani Srl e Purple Towing Ltd, fino alla concorrenza di Euro 801.609,02”.

8.1. La censura va rigettata, con correzione, però, della motivazione del decreto impugnato, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., u.c., dal momento che l’evidente errore del tribunale sul mancato decorso dell’anno dal termine dell’operazione (1 giugno 2009) sino all’apertura della procedura di Amministrazione straordinaria (5 agosto 2010) è irrilevante, essendo altrettanto pacifico che in data 28 maggio 2010 – entro l’anno di efficacia del privilegio, ex art. 558 c.n. – gli armatori dei due rimorchiatori intervenuti nelle operazioni di soccorso chiesero ed ottennero il sequestro conservativo della M/n “(OMISSIS)”, con decreto inaudita altera parte successivamente confermato con ordinanza del Tribunale di Palermo, non reclamata (cfr. controricorso, pag. 27).

8.2. Invero, la stessa ricorrente riconosce che, “per consolidata dottrina e giurisprudenza” (v. per tutte Cass. 347/1965) il sequestro conservativo costituisce “atto idoneo a dare attuazione alla garanzia costituita da privilegio speciale sulla nave, al fine di impedirne l’estinzione per decorrenza del termine” (v. pag. 38 memoria ex art. 378 c.p.c.), perciò puntando soprattutto sulla seconda parte della censura, relativa al vincolo della somma fino a concorrenza del quale fu concesso il sequestro.

8.3. Tale ultimo aspetto della censura è però inammissibile per novità, in quanto, come prontamente contestato nel controricorso, introduce un tema che non ha costituito oggetto di indagine in fase di merito.

8.4. Esso è comunque infondato, tenuto conto che la somma fino a concorrenza della quale viene concesso il sequestro conservativo è diretta ad individuare il limite di valore entro il quale la misura può essere attuata sui beni, scelti dal creditore, da sottoporre a sequestro, senza influire sul definitivo accertamento dell’ammontare del credito, in sede di cognizione. La correlazione tra sequestro conservativo e formazione di un titolo esecutivo ex art. 474 c.p.c. si desume poi dal fatto che “il sequestro conservativo, a norma dell’art. 686 c.p.c., si converte automaticamente in pignoramento, quando il creditore sequestrante ottenga “sentenza di condanna esecutiva”, ma solo nei limiti del credito per il quale è intervenuta la condanna e non anche per l’importo, eventualmente maggiore, fino al quale il sequestro è stato autorizzato, perchè gli effetti che l’art. 2906 c.c. riconosce in favore del creditore sequestrante sono equiparati a quelli che lo stesso otterrebbe in caso di pignoramento. Nè, per l’importo per il quale non è intervenuta condanna esecutiva, il sequestro può conservare efficacia in quanto non ricorre alcuna delle ipotesi di cui all’art. 669-novies c.p.c., atteso che in tema di conversione del sequestro in pignoramento la norma di riferimento è esclusivamente l’art. 686 c.p.c.” (Cass. 10871/2012). In ogni caso, detti limiti non influiscono sulla operatività del privilegio speciale, una volta che, proprio grazie alla misura del sequestro conservativo, ne sia stata impedita la perdita di efficacia.

9. Resta assorbito, in relazione all’esito del quinto motivo, il ricorso incidentale condizionato proposto dalla controricorrente.

10. In conclusione, il decreto impugnato va cassato con rinvio, in relazione ai motivi accolti, anche per la statuizione sulle spese del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

Accoglie il primo e il terzo motivo del ricorso; dichiara inammissibili il secondo e il quarto; rigetta il quinto motivo, previa correzione della motivazione. Dichiara assorbito il motivo di ricorso incidentale condizionato. Cassa il decreto impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia al Tribunale di Roma, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 6 dicembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 13 marzo 2020

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