Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7148 del 24/03/2010

Cassazione civile sez. I, 24/03/2010, (ud. 16/12/2009, dep. 24/03/2010), n.7148

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VITTORIA Paolo – Presidente –

Dott. RORDORF Renato – Consigliere –

Dott. DI PALMA Salvatore – Consigliere –

Dott. MACIOCE Luigi – Consigliere –

Dott. DIDONE Antonio – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 6748/2008 proposto da:

P.B.D. (c.f. (OMISSIS)), domiciliata in

ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CANCELLERIA CIVILE DELLA CORTE DI

CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato MARRA Alfonso Luigi,

giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA;

– intimato –

avverso il decreto della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositato il

29/03/2007;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

16/12/2009 dal Consigliere Dott. ANTONIO DIDONE;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

RUSSO Libertino Alberto, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

p.1.- La Corte d’appello di Roma – adita da P.B. D., al fine di conseguire l’equa riparazione per la lamentata irragionevole durata di un processo iniziato il 16.5.1995 e pendente in grado di appello dinanzi al Tribunale di Napoli (avente ad oggetto domanda di interessi e rivalutazione su indennità di mobilità) – con il decreto impugnato ha condannato il Ministero della Giustizia a pagare alla parte ricorrente la somma di Euro 3.500,00 (pari a Euro 600,00 per ogni anno di ritardo) a titolo di danno non patrimoniale nonchè al rimborso delle spese processuali.

La Corte di merito, in particolare, fissata la durata ragionevole del giudizio di primo grado in due anni e mesi sei e quella del secondo grado in due anni, ha accertato in 5 anni e il mesi il periodo eccedente la ragionevole durata del processo presupposto ed ha, per tale ritardo, quantificato l’indennizzo nella predetta somma, tenuto conto della modesta posta in gioco.

Per la cassazione di tale decreto P.B.D. ha proposto ricorso affidato a 18 motivi.

Il Ministero intimato non ha svolto difese.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

p.2.- Con i primi dieci motivi di ricorso la parte ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione di legge (L. n. 89 del 2001 e Convenzione europea per i diritti dell’uomo, come interpretata dalla Corte europea) e relativo vizio di motivazione, lamentando, in estrema sintesi, che la Corte di appello:

a) non ha ritenuto direttamente applicabile la C.E.D.U., sia erroneamente applicando la normativa italiana in contrasto con la C.E.D.U., dimenticando che la L. n. 89 del 2001, costituisce diretta applicazione della C.E.D.U. – specie art. 6 -, sia disattendendo la giurisprudenza europea e l’interpretazione, i parametri dalla stessa enunciati e la relativa elaborazione ermeneutica;

b) ha erroneamente calcolato la ragionevole durata del processo presupposto;

c) non si è attenuta ai parametri minimi sanciti dalla giurisprudenza di Strasburgo in tema di quantificazione dell’equo indennizzo (che non può essere inferiore a Euro 1.000,00 – 1.500,00 per anno di procedura e non per anno di ritardo) e in tema di durata ragionevole del processo in materia assistenziale, che non deve superare i due anni per il primo grado e i due anni per il secondo grado;

d) non ha tenuto conto che, una volta accertata la irragionevole durata, deve essere riconosciuto l’equo indennizzo per tutta la durata del processo e non il solo periodo eccedente la ragionevole durata (cioè il solo ritardo) – ha liquidato il danno solo per la parte eccedente la durata ragionevole (ritardo) e non già per l’intera durata del processo.

e) non ha tenuto conto del bonus dovuto in ipotesi di cause in materia assistenziale;

Con i restanti motivi il ricorrente denuncia violazione di legge e vizio di motivazione e lamenta che il Giudice del merito:

f) non ha tenuto conto in sede di liquidazione delle spese dei parametri europei ai quali doveva adeguarsi;

g) non ha motivato la liquidazione delle spese;

h) ha erroneamente applicato la tariffa professionale, applicando le voci relative ai procedimenti speciali anzichè quelle relative al processo contenzioso.

p.3.- Osserva la Corte che il ricorso è fondato nei limiti infrascritti.

A più riprese questa Corte ha affermato che la L. n. 89 del 2001, art. 2, espressamente stabilisce che il danno debba essere liquidato per il solo periodo eccedente la durata ragionevole (v., da ultimo, Sez. 1^, n. 28266 del 2008). Invero, “ai fini della liquidazione dell’indennizzo del danno non patrimoniale conseguente alla violazione del diritto alla ragionevole durata del processo, ai sensi della L. 24 marzo 2001, n. 89, deve aversi riguardo al solo periodo eccedente il termine ragionevole di durata e non all’intero periodo di durata del processo presupposto. Nè rileva il contrario orientamento della giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, poichè il giudice nazionale è tenuto ad applicare le norme dello Stato e, quindi, il disposto dell’art. 2, comma 3, lett. a) della citata legge; non può, infatti, ravvisarsi un obbligo di diretta applicazione dei criteri di determinazione della riparazione della Corte europea dei diritti dell’uomo, attraverso una disapplicazione della norma nazionale, avendo la Corte costituzionale chiarito, con le sentenze n. 348 e n. 349 del 2007, che la Convenzione europea dei diritti dell’uomo non crea un ordinamento giuridico sopranazionale e non produce quindi norme direttamente applicabili negli Stati contraenti, essendo piuttosto configurabile come trattato internazionale multilaterale, da cui derivano obblighi per gli Stati contraenti, ma non l’incorporazione dell’ordinamento giuridico italiano in un sistema più vasto, dai cui organi deliberativi possano promanare norme vincolanti, omisso medio, per tutte le autorità interne” (Sez. 1^, Sentenza n. 14 del 03/01/2008) (Rv. 601232).

La violazione del principio della ragionevole durata del processo va accertata all’esito di una valutazione degli elementi previsti dalla L. n. 89 del 2001, art. 2 (ex plurimis, Cass. n. 8497 del 2008; n. 25008 del 2005; n. 21391 del 2005; n. 1094 del 2005; n. 6856 del 2004; n. 4207 del 2004) e in tal senso è orientata anche la giurisprudenza della Corte EDU (tra le molte, sentenza I sezione del 23 ottobre 2003, sul ricorso n. 39758/98), la quale ha stabilito un parametro tendenziale che fissa la durata ragionevole del giudizio, rispettivamente, in anni tre, due ed uno per il giudizio di primo, di secondo grado e di legittimità.

Il quesito formulato nel secondo motivo è anche manifestamente inammissibile, sia in quanto sviluppato senza alcun riferimento alla fattispecie in esame, sia in quanto pretende di rimettere a questa Corte l’accertamento della durata ragionevole nel caso in esame.

L’apprezzamento degli elementi che permettono di fissare la misura ragionevole del giudizio è riservata invece al giudice del merito, spettando a questa Corte la verifica in ordine al rispetto del parametro stabilito dalla Corte EDU ed alla completezza, logicità e congruenza della motivazione svolta dal giudice del merito per discostarsene.

Relativamente alla misura dell’equa riparazione per il danno non patrimoniale, va osservato che, secondo la più recente giurisprudenza della Corte di Strasburgo, qualora non emergano elementi concreti in grado di farne apprezzare la peculiare rilevanza, l’esigenza di garantire che la liquidazione sia satisfattiva di un danno e non indebitamente lucrativa, alla luce di quelle operate dal giudice nazionale nel caso di lesione di diritti diversi da quello in esame, impone di stabilirla, di regola, nell’importo non inferiore ad Euro 750,00, per anno di ritardo, in virtù degli argomenti svolti nella sentenza di questa Corte n. 16086 del 2009, i cui principi vanno qui confermati, con la precisazione che tale parametro va osservato in relazione ai primi tre anni eccedenti la durata ragionevole, dovendo aversi riguardo, per quelli successivi, al parametro di Euro 1.000,00, per anno di ritardo, dato che l’irragionevole durata eccedente tale periodo comporta un evidente aggravamento del danno.

Il danno non patrimoniale deve dunque essere quantificato in applicazione di detto parametro, con la facoltà di apportare le deroghe giustificate dalle circostanze concrete della singola vicenda (quali: l’entità della “posta in gioco”, il “numero dei tribunali che hanno esaminato il caso in tutta la durata del procedimento” ed il comportamento della parte istante (per tutte, Cass., n. 1630 del 2006; n. 1631 de 2006; n. 19029 del 2005; n. 19288 del 2005), purchè motivate e non irragionevoli (tra le molte, Cass. n. 6898 del 2008;

n. 1630 del 2006; n. 1631 del 2006).

Nella concreta fattispecie, la Corte d’appello non ha correttamente applicato i parametri di liquidazione fissati dalla Cedu, avendo liquidato l’indennizzo nella misura di Euro 600,00 per ogni anno di ritardo.

Quanto alla richiesta di “bonus”, va ricordato che “ai fini della liquidazione dell’indennizzo del danno non patrimoniale conseguente alla violazione del diritto alla ragionevole durata del processo, ai sensi della L. 24 marzo 2001, n. 89, non può ravvisarsi un obbligo di diretta applicazione dell’orientamento della giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, secondo cui va riconosciuta una somma forfetaria nel caso di violazione del termine nei giudizi aventi particolare importanza, fra cui anche la materia previdenziale; da tale principio, infatti, non può derivare automaticamente che tutte le controversie di tal genere debbano considerarsi di particolare importanza, spettando al giudice del merito valutare se, in concreto, la causa previdenziale abbia avuto una particolare incidenza sulla componente non patrimoniale del danno, con una valutazione discrezionale che non implica un obbligo di motivazione specifica, essendo sufficiente, nel caso di diniego di tale attribuzione, una motivazione implicita” (Sez. 1^, Sentenza n. 6898 del 14/03/2008).

Il decreto va quindi cassato e la causa può essere decisa nel merito ex art. 384 c.p.c., non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, e in applicazione dei parametri innanzi indicati l’Amministrazione resistente deve essere condannata a pagare alle parti ricorrenti la somma di Euro 4.937,00 per i 5 anni e 11 mesi di accertato irragionevole ritardo.

L’accoglimento del motivo relativo alla quantificazione dell’indennizzo determina l’assorbimento delle censure relative alle spese processuali, che vanno poste a carico dell’Amministrazione soccombente nella misura liquidata in dispositivo quanto al grado di merito mentre il limitato accoglimento dei motivi di ricorso giustifica la parziale compensazione delle spese del giudizio di legittimità, le quali vanno poste a carico dell’Amministrazione nella misura di 1/2 dell’intero liquidato in dispositivo.

PQM

La Corte, accoglie il ricorso nei termini di cui in motivazione, cassa il decreto impugnato e, decidendo nel merito, condanna l’Amministrazione a corrispondere alla parte ricorrente la somma di Euro 4.937,00 per indennizzo, gli interessi legali su detta somma dalla domanda e le spese del giudizio:

che determina per il giudizio di merito nella somma di Euro 50,00 per esborsi, Euro 378,00 per diritti e Euro 445,00 per onorari, oltre spese generali ed accessori di legge e che dispone siano distratte in favore del difensore antistatario;

che compensa in misura di 1/2 per il giudizio di legittimità, gravando l’Amministrazione del residuo 1/2 e che determina per l’intero in Euro 595,00 di cui Euro 100,00 per esborsi, oltre spese generali ed accessori di legge e che dispone siano distratte in favore del difensore antistatario.

Così deciso in Roma, il 16 dicembre 2009.

Depositato in Cancelleria il 24 marzo 2010

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