Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7146 del 29/03/2011
Cassazione civile sez. I, 29/03/2011, (ud. 26/01/2011, dep. 29/03/2011), n.7146
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SALME’ Giuseppe – Presidente –
Dott. DI PALMA Salvatore – Consigliere –
Dott. ZANICHELLI Vittorio – rel. Consigliere –
Dott. SCHIRO’ Stefano – Consigliere –
Dott. DIDONE Antonio – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ordinanza
sul ricorso proposto da:
D.S.G., rappresentato e difeso dall’Avv. MARRA Alfonso
Luigi, come da procura a margine del ricorso, domiciliato per legge
presso la cancelleria della Corte di Cassazione in Roma;
– ricorrente –
contro
MINISTERO DELLA ECONOMIA E DELLE FINANZE, in persona del Ministro pro
tempore, rappresentato e difeso, per legge, dall’Avvocatura Generale
dello Stato, e presso gli Uffici di questa domiciliato in Roma, Via
dei Portoghesi, n. 12;
– controricorrente –
per la cassazione del decreto della Corte d’appello di Napoli n.
1227/08 VG depositato il 24 febbraio 2009.
Udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del
giorno 26 gennaio 2011 dal Consigliere relatore Dott. Vittorio
Zanichelli.
Fatto
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
D.S.G. ricorre per cassazione nei confronti del decreto in epigrafe della Corte d’appello che, liquidando Euro 5.000,00 per anni cinque di ritardo, ha accolto parzialmente il suo ricorso con il quale è stata proposta domanda di riconoscimento dell’equa riparazione per violazione dei termini di ragionevole durata del processo svoltosi in primo grado avanti al TAR Campania e non ancora definito alla data di presentazione della domanda (27.2.2008).
Resiste l’Amministrazione con controricorso.
La causa è stata assegnata alla camera di consiglio in esito al deposito della relazione redatta dal Consigliere Dott. Vittorio Zanichelli con la quale sono stati ravvisati i presupposti di cui all’art. 375 c.p.c..
Diritto
MOTIVI DELLA DECISIONE
Il primo motivo di ricorso con cui si deduce la violazione dell’art. 6, par. 1, della Convenzione europea dei diritti dell’uomo e della L. n. 89 del 2001 è inammissibile per inidoneità del quesito. Posto invero che “il quesito di diritto costituisce il punto di congiunzione tra la risoluzione del caso specifico e l’enunciazione dei principio giuridico generale, risultando altrimenti inadeguata e quindi non ammissibile l’investitura stessa del giudice di legittimità: ne deriva che la parte deve evidenziare sia il nesso tra la fattispecie ed il principio di diritto che si chiede venga affermato, sia, per ciascun motivo di ricorso il principio, diverso da quello posto alla base del provvedimento impugnato, la cui auspicata applicazione potrebbe condurre ad una decisione di segno diverso” (Cassazione civile, sez. 3^, 9 maggio 2008, n. 11535) al richiamato canone non pare rispondere il quesito proposto che si limita ad enunciare un principio generale relativo ai rapporti tra normativa nazionale e Convenzione senza che risulti l’attinenza con la concreta fattispecie.
li secondo e il terzo motivo con i quali si denuncia l’insufficiente quantificazione dell’equo indennizzo sono manifestamente infondati.
Premesso che la Corte ha enunciato il principio secondo cui “Secondo i parametri indicati dalla Corte europea dei diritti dell’uomo, ai quali il giudice nazionale è tenuto a conformarsi nell’applicazione della L. n. 89 del 2001, art. 2, la durata ragionevole del processo (nella specie: dinanzi alla Corte dei conti in materia di pensione) e di tre anni in primo grado e di due anni in secondo grado; e l’equa riparazione deve essere liquidata in una somma variabile tra i mille ed i millecinquecento euro per ciascun anno eccedente il termine ragionevole” (Cassazione civile, sez. 1^, 3 gennaio 2008, n. 14), nessuna censura può essere mossa all’impugnata decisione che, liquidando in Euro 1.000,00 in ragione d’anno il danno morale conseguente all’irragionevole durata del processo eccedente i tre anni, si è attenuta ai richiamati parametri, non essendo stati evidenziati convincenti elementi che avrebbero dovuto comportare una maggiore liquidazione.
Gli ulteriori motivi con i quali ci si duole sotto diversi profili della parziale compensazione delle spese sono manifestamente infondati in quanto il giudice ha dato rilievo all’accoglimento solo parziale della domanda ed è principio affermato quello secondo cui “Nei giudizi di equa riparazione per violazione della durata ragionevole del processo, ai sensi della L. 24 marzo 2001, n. 89, trova applicazione la disciplina della responsabilità delle parti per le spese processuali e della condanna alle spese. Tale principio non è in contrasto con l’art. 34 della convenzione europea per i diritti dell’uomo, come modificata dal protocollo n. 11, atteso che l’impegno a non ostacolare l’effettivo esercizio del diritto non postula che la parte, la cui pretesa si sia rivelata priva di fondamento, debba essere sottratta alla statuizione sulle spese giudiziali; pertanto, anche nei caso di accoglimento parziale della domanda o quando sussistano giusti motivi, l’autonomia della normativa nazionale comporta l’applicabilità della regola dettata dell’art. 92 c.p.c.” (Cassazione civile, sez. 1^, 15 luglio 2009, n. 16542).
Il ricorso deve dunque essere rigettato con le conseguenze di rito in ordine alle spese.
P.Q.M.
la Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alla rifusione delle spese che liquida in Euro 900,00 oltre spese prenotate a debito.
Così deciso in Roma, il 26 gennaio 2011.
Depositato in Cancelleria il 29 marzo 2011