Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7146 del 15/03/2021

Cassazione civile sez. I, 15/03/2021, (ud. 17/12/2020, dep. 15/03/2021), n.7146

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –

Dott. MELONI Marina – Consigliere –

Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. CARADONNA Lunella – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 29368/2015 proposto da:

Bresciano Impresa di Costruzioni S.p.a., in liquidazione, nella

persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e

difesa, per procura a margine del ricorso per cassazione, dall’Avv.

Laura Maria Giammarusto.

– ricorrente –

contro

Amministrazione Provinciale di Isernia, nella persona Presidente pro

tempore, rappresentata e difesa, giusta procura a margine del

controricorso, dal Prof. Avv. Paolo Lazzara, ed elettivamente

domiciliata in Roma, Viale Regina Margherita, n. 262.

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 171/2015 della Corte di appello di CAMPOBASSO,

depositata il 23 luglio 2015;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

17/12/2020 dal Consigliere Dott. Lunella Caradonna.

 

Fatto

RILEVATO

Che:

1. Con sentenza del 23 luglio 2015, la Corte di appello di Campobasso ha ritenuto insussistente il motivo di revocazione ex art. 395 c.p.c., comma 1, n. 4, invocato dalla società Bresciano Impresa di Costruzione riguardante la sentenza della Corte di appello di Campobasso n. 149/2009 del 7 ottobre 2009, nella parte in cui aveva ritenuto esistente il controcredito portato in compensazione dalla Amministrazione Provinciale di Isernia.

2. La società Bresciano Impresa Costruzioni, in particolare, assumeva che l’errore revocatorio era consistito nell’avere ritenuto, contrariamente a quanto risultante dagli atti e dalla consulenza tecnica espletata in primo grado, che i lavori quantificati nella sentenza non riguardassero “lavori di rinforzo delle pile del viadotto del (OMISSIS)”, ma si riferissero “a tutt’altro tipo di opere, affidate dall’Amministrazione a ditte diverse dalla Bresciano nell’ambito dell’attività di esecuzione d’ufficio dell’opera già prima affidata alla società Bresciano”, con la conseguenza che l’importo compensato aveva ricompreso anche un credito per lavori non eseguiti.

3. La Corte di appello, a sostegno del rigetto del ricorso per revocazione, ha affermato che era da escludere la decisività dell’errore di fatto, poichè i giudici di appello, in sede di gravame, avevano individuato ulteriori ed indipendenti ragioni giustificative della pronuncia di rigetto; in particolare, la Corte di appello, nella sentenza oggetto di revocazione, aveva rigettato il motivo di gravame sulla mancata prova della sussistenza del danno subito dalla Provincia per la mancata specificazione del motivo stesso; che tale motivazione era indipendente e di portata assorbente rispetto alla successiva precisazione effettuata ad abundantiam dalla Corte in ordine all’individuazione dei lavori in oggetto; che ciò era confermato anche dal fatto che la Bresciano s.p.a. mai aveva affermato di avere precisato di quali lavori si trattasse nel proprio atto di appello e che, piuttosto, aveva dichiarato che si trattava di deduzioni esposte dall’Amministrazione provinciale di Isernia “con le note depositate davanti al Tribunale dal proprio consulente tecnico di parte ing. G., all’udienza del 12 luglio 1993”.

4. La società Bresciano Impresa di Costruzioni, in liquidazione, ricorre per la cassazione della sentenza con atto affidato a due motivi.

5. L’Amministrazione Provinciale di Isernia resiste con controricorso.

6. Entrambe le parti hanno depositato memorie.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

1. Con il primo motivo la società ricorrente deduce la nullità della sentenza per violazione del principio del contraddittorio ex art. 101 c.p.c., comma 2, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4.

Ad avviso del ricorrente la Corte di appello, una volta rilevata in sede decisoria la natura non decisiva dell’errore di fatto denunciato in quanto esso si riferiva ad una capo di sentenza che, per ragioni totalmente indipendenti dal predetto errore di fatto, era stato ritenuto generico dal giudice di secondo grado, avrebbe dovuto indicare la questione alle parti ed assegnare un termine per consentire il contraddittorio.

1.1 Il motivo è infondato.

1.2 Questa Corte ha affermato, con orientamento condivisibile al quale va dato continuità (Cass. n. 18635 del 2011; n. 1201 del 2012; n. 26831 del 2014; n. 6330 del 2014), che la denuncia di vizi fondati sulla violazione di norme processuali non va vista in funzione autoreferenziale di tutela dell’interesse all’astratta regolarità dell’attività giudiziaria, ma garantisce, solo, l’eliminazione del pregiudizio subito dal diritto di difesa della parte per effetto della violazione denunciata (Cass., 8 giugno 2018, n. 15037; Cass., 19 marzo 2014, n. 6330; Cass., 27 gennaio 2012, n. 1201; Cass., 12 settembre 2011, n. 18635).

1.3 E’ stato sostenuto, in particolare, che la sentenza che decida su di una questione di puro diritto, rilevata d’ufficio, senza procedere alla sua segnalazione alle parti onde consentire su di essa l’apertura della discussione (cd. terza via), non è in sè nulla, in quanto, da tale omissione può solo derivare un vizio di error in iudicando, ovvero di error in iudicando de iure procedendi, la cui denuncia in sede di legittimità consente la cassazione della sentenza solo se tale errore sia in concreto consumato; qualora, invece, si tratti di questioni di fatto, ovvero miste di fatto e di diritto, la parte soccombente può dolersi della decisione sostenendo che la violazione del dovere di indicazione ha vulnerato la facoltà di chiedere prove o, in ipotesi, di ottenere una eventuale rimessione in termini (Cass., 4 luglio 2018, n. 17473; Cass., 16 febbraio 2016, n. 2984; Cass., 30 settembre 2009, n. 20935).

1.4 Il caso non ricorre nella specie, in quanto la questione che viene in rilievo al fine di verificare la sussistenza dell’errore di fatto dedotto dall’odierna ricorrente è la “mancata specificazione del motivo”, messa in evidenza dalla Corte di appello di Campobasso nella sentenza n. 149 del 7 ottobre 2009 (oggetto di revocazione) e ritenuta dai giudici di secondo grado (nella sentenza impugnata in questa sede), correttamente, “motivazione idonea in sè a giustificare il mancato accoglimento del medesimo motivo, in quanto indipendente e dotata di portata assorbente rispetto alla successiva precisazione, effettuata “ad abundantiam” dalla Corte” (pag. 5 del provvedimento impugnato).

Si tratta di una motivazione (quella della mancata specificazione del motivo), posta a fondamento della sentenza n. 149 del 7 ottobre 2009 della Corte di appello di Campobasso – che aveva dichiarato la legittimità dell’intervento spiegato in primo grado dalla Bresciano Impresa di Costruzioni S.p.a. (succeduta alla Curatela del fallimento in seguito al suo ritorno in bonis) e aveva confermato per il resto la sentenza appellata – perfettamente conosciuta dalle parti, che, per scelta volontaria, non è stata censurata dalla società Bresciano Impresa di Costruzioni in sede di gravame.

Ed infatti, la società Bresciano Impresa di Costruzioni ha preferito, per ragioni di strategia difensiva, esperire successivamente il rimedio della revocazione.

Si tratta, quindi, di una questione che, in quanto desumibile ex actis dalla sentenza n. 149 del 7 ottobre 2009, non attiene a questione di diritto e che non contiene, neppure, alcun elemento di “sorpresa” nell’ambito del dibattito processuale.

2. Con il secondo motivo la società ricorrente deduce la nullità della sentenza per omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Ed invero, la società ricorrente, dopo avere in maniera contraddittoria (rispetto a quanto dedotto con il primo motivo di censura) affermato di avere comunque rilevato davanti ai giudici della revocazione che la Corte territoriale aveva censurato come generico il motivo di appello da essa stessa avanzato avente ad oggetto la mancata prova del danno (riportando parte della propria memoria di replica), si duole che la Corte di appello non ha esaminato il fatto decisivo che “sarebbe rappresentato proprio dal fatto che la censura di genericità formulata dalla Corte d’Appello era afflitta dall’errore di fatto denunciato da Bresciano” e che “laddove la Corte d’Appello in revocazione avesse considerato che i giudici di secondo grado avevano ritenuto generico il motivo di appello relativo alla mancata dimostrazione dei danni portati dalla Provincia di Isernia in compensazione proprio sulla base di tale errore di fatto, in alcun modo avrebbe potuto considerare il predetto errore di fatto come non decisivo”.

2.1 Il motivo è in parte inammissibile e in parte infondato.

E’ inammissibile perchè non rispetta le prescrizioni sulle modalità di deduzione del vizio motivazionale ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come individuate dalle Sezioni Unite di questa Corte nella sentenza 7 aprile 2014, n. 8053, che ha chiarito che “la parte ricorrente dovrà indicare – nel rigoroso rispetto delle previsioni di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6) e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4) – il fatto storico, il cui esame sia stato omesso, il dato, testuale (emergente dalla sentenza) o extratestuale (emergente dagli atti processuali), da cui ne risulti l’esistenza, il come ed il quando (nel quadro processuale) tale fatto sia stato oggetto di discussione tra le parti”.

2.2 E’ infondato perchè, come si legge nella sentenza impugnata, la società ricorrente ha dedotto un “diverso” errore di fatto e, nello specifico, ha prospettato che l’errore di fatto consisteva “nell’aver ritenuto, contrariamente a quanto risultante dagli atti e dalla ctu espletata in prime cure, che i lavori nella stessa quantificati non riguardassero “lavori di rinforzo delle pile del viadotto del (OMISSIS)”, ma si riferissero “a tutt’altro tipo di opere, affidate dall’Amministrazione a ditte diverse dalla Bresciano nell’ambito dell’attività di esecuzione d’ufficio dell’opera già prima affidata alla società Bresciano”, con la conseguenza che l’importo compensato dai giudici di secondo grado aveva ricompreso anche un credito per lavori non eseguiti (pag. 2 della sentenza impugnata).

3. Per quanto esposto, il ricorso va rigettato.

Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna la società ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 10.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della società ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 17 dicembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 15 marzo 2021

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