Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7140 del 29/03/2011

Cassazione civile sez. lav., 29/03/2011, (ud. 26/01/2011, dep. 29/03/2011), n.7140

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LAMORGESE Antonio – Presidente –

Dott. STILE Paolo – Consigliere –

Dott. CURCURUTO Filippo – Consigliere –

Dott. MAMMONE Giovanni – rel. Consigliere –

Dott. CURZIO Pietro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso proposto da:

POSTE ITALIANE S.P.A., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in Roma, via Po n. 25/b, presso lo

studio dell’avv. Pessi Roberto, che la rappresenta e difende per

procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

S.E., elettivamente domiciliato in Roma, via

l’Flaminia 195, presso lo studio dell’avv. Vacirca Sergio, che

unitamente all’avv. LALLI Claudio lo rappresenta e difende per

mandato a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 281/2009 della Corte d’appello di L’Aquila,

depositata in data 6.03.2009;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

giorno 26.01.2011 dal Consigliere dott. Giovanni Mammone;

uditi l’Avv. Mario Miceli per delega Pessi e l’Avv. Vacirca;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale dott.

DESTRO Carlo.

Fatto

RITENUTO IN FATTO E DIRITTO

S.E. chiedeva al giudice del lavoro di Teramo che fosse dichiarata la nullita’ del termine apposto ad un contratto di assunzione alle dipendenze di Poste Italiane s.p.a.

Rigettata la domanda e proposto appello dal lavoratore, la Corte d’appello di L’Aquila, con sentenza pubblicata il 6.3.09, accoglieva l’impugnazione, condannando Poste Italiane a riammettere in servizio il S. ed a corrispondergli la retribuzione dalla data della messa in mora, autorizzandola a detrarre l’aliunde perceptum dalla somma dovuta alla controparte.

Avverso questa sentenza Poste Italiane proponeva ricorso per cassazione.

Il Consigliere relatore, ai sensi all’art. 380 bis c.p.c., depositava relazione che, assieme al decreto di fissazione dell’adunanza della camera di consiglio, era comunicata al Procuratore generale ed era notificata al difensore costituito.

Poste Italiane ha depositato memoria.

S. ha risposto, seppure tardivamente, con controricorso.

Preliminarmente deve essere dichiarato inammissibile il controricorso, che, per stesso riconoscimento della parte interessata, e’ notificato ben oltre i termini di cui all’art. 370 c.p.c..

I motivi dedotti da Poste Italiane s.p.a. possono essere cosi’ sintetizzati:

1.- violazione dell’art. 1372 c.c., commi 1 e 2, nonche’ carenza di motivazione, il quanto il rapporto avrebbe dovuto essere ritenuto risolto per mutuo consenso, costituendo il lasso di tempo trascorso tra cessazione del rapporto ed offerta della prestazione indice di disinteresse a sostenere la nullita’ del termine, di modo che erroneamente il giudice avrebbe affermato che l’inerzia non costituisce comportamento idoneo a rappresentare la carenza di interesse al ripristino del rapporto, salvo l’esercizio da parte del giudice dei poteri istruttori officiosi;

2.- violazione dell’art. 2697 c.c. in quanto compete al lavoratore e non al datore di lavoro l’onere probatorio a proposito del rispetto della c.d. clausola di contingentamento (ovvero della disposizione del contratto di collettivo che limita percentualmente il numero degli assunti con contratto a termine);

3.- violazione della L. 28 febbraio 1987, n. 56, art. 23 sostenendosi che la norma del CCNL adottata in attuazione di detta disposizione derogatoria non prevede una specificazione della causale collettiva in causale individuale ed esclude la prova del nesso causale in relazione alla singola assunzione a termine;

4.- violazione delle normativa in materia di risarcimento del danno, non avendo controparte provato e quantificato il danno conseguente alla nullita’ del termine, ne’ costituito in mora il datore di lavoro, atteso che l’attore avrebbe diritto a titolo risarcitorio alle retribuzioni solo dal momento dell’effettiva ripresa del servizio.

Quantunque non rilevato da parte ricorrente, il Collegio ritiene che la sentenza impugnata sia affetta da nullita’, in quanto priva (in violazione dell’art. 132 c.p.c.) di riferimenti sufficienti a ricostruire il tenore della controversia e della motivazione della decisione adottata.

La giurisprudenza di legittimita’ ritiene che l’assenza della concisa esposizione dello svolgimento del processo e dei fatti rilevanti della causa vale ad integrare un motivo di nullita’ della sentenza allorche’ l’omissione impedisca totalmente – non risultando richiamati in alcun modo i tratti essenziali della lite, neppure nella parte formalmente dedicata alla motivazione – di individuare gli elementi di fatto considerati o presupposti nella decisione, nonche’ di controllare che siano state osservate le forme indispensabili poste dall’ordinamento a garanzia del regolare svolgimento della giurisdizione (Cass. 19.3.09 n. 6683).

La nullita’ puo’ essere evitata nel caso che, inesistente l’esposizione dello svolgimento del processo, supplisca la parte motiva, quando dal suo contesto sia dato desumere con sufficiente chiarezza le vicende processuali e in particolare le domande svolte nel processo, le sottese difese e le ragioni delle conseguenti decisioni adottate sulle stesse (Cass. 23.1.04 n. 1170).

Nel caso di specie, tanto dalla narrativa che dalla motivazione della sentenza impugnata non e’ possibile desumere quale sia il contenuto della fattispecie fattuale e giuridica di contratto a termine dedotta in giudizio, e, in particolare, se la disciplina della stessa sia stata dal giudice di appello individuata direttamente nella L. n. 230 del 1962, o nella contrattazione collettiva derogatoria attuata in forza della L. 28 febbraio 1987, n. 56, art. 23 (CCNL 1994 e 2001), o, ancora, nel piu’ recente D.Lgs. n. 368 del 2001.

Per la mancanza di ogni concreto riferimento al riguardo e nonostante le indicazioni fornite dalla parte ricorrente nel ricorso per cassazione in adempimento del requisito dell’autosufficienza, non e’ possibile procedere alla verifica dell’iter motivazionale della pronunzia e, conseguentemente, alla valutazione, dei motivi di diritto proposti dalla ricorrente.

In ragione di tali vizi la sentenza e’ inidonea a dare risposta all’appello ed e’ affetta da nullita’; deve pertanto procedersi alla sua cassazione, con rinvio della causa al giudice indicato in dispositivo il quale procedera’ a nuovo esame.

Allo stesso giudice va rimessa la statuizione sulle spese del presente giudizio di legittimita’.

P.Q.M.

LA CORTE accoglie il ricorso, cassa l’impugnata sentenza e rinvia alla Corte di appello di Ancona, anche per le spese del giudizio di legittimita’.

Cosi’ deciso in Roma, il 26 gennaio 2011.

Depositato in Cancelleria il 29 marzo 2011

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