Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 714 del 19/01/2010

Cassazione civile sez. III, 19/01/2010, (ud. 14/12/2009, dep. 19/01/2010), n.714

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VARRONE Michele – Presidente –

Dott. FILADORO Camillo – Consigliere –

Dott. FINOCCHIARO Mario – rel. Consigliere –

Dott. LANZILLO Raffaella – Consigliere –

Dott. D’AMICO Paolo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 16190/2005 proposto da:

M.N., considerato domiciliato “ex lege” in ROMA, presso

Cancelleria Corte di Cassazione rappresentato e difeso dall’avvocato

PAPA Concetta giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

L.G.;

– intimato –

sul ricorso 19291/2005 proposto da:

L.G., (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, VIALE CASTRENSE 7, presso lo studio dell’avvocato PLACIDI

ARMANDO, rappresentato e difeso dall’avvocato PETRELLA FRANCESCO

giusta delega a margine del controricorso con ricorso incidentale;

– ricorrente –

e contro

M.N.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 3101/2004 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

Sezione Specializzata Agraria, emessa il 3/11/2004, depositata il

20/01/2005; R.G.N. 4330/03.

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

14/12/2009 dal Consigliere Dott. MARIO FINOCCHIARO;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

PRATIS Pierfelice, che ha concluso per il rigetto del ricorso

principale e l’assorbimento del ricorso incidentale.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso 14 febbraio 2000 L.G., proprietario di un fondo rustico in agro di (OMISSIS), località (OMISSIS), condotto in affitto da M.N. ha convenuto in giudizio, innanzi al tribunale di Santa Maria Capua Vetere, sezione specializzata agraria, M.N..

Ha chiesto l’attore che l’adita sezione dichiarasse la risoluzione del rapporto di affitto inter partes per grave inadempimento – avendo il conduttore omesso di corrispondere i canoni del caso a far data dalla annata agraria 1990-91, nonostante l’invito a sanare la morosità rivoltogli il 5 maggio 1999 – con condanna del convenuto al rilascio del fondo.

Costituitosi in giudizio il M. ha resistito alla avversa domanda, deducendone la infondatezza e facendo presente che la contestata morosità non sussisteva, ma chiedendo – comunque – la concessione di un termine per il pagamento dei canoni.

Accolta la istanza alla successiva udienza il M. ha prodotto un libretto di deposito bancario aperto all’ordine di L. G., contenente un accredito di Euro 1.750,00.

Preso atto di quanto sopra con sentenza 12 – 24 marzo 2003 l’adita sezione ha dichiarato cessata, tra le parti, la materia del contendere, con condanna del M. al pagamento delle spese di lite.

Gravata tale pronunzia in via principale dal L., in via incidentale dal M., la Corte di Appello di Napoli, sezione specializzata agraria, con sentenza 3 novembre 2004 – 20 gennaio 2005, rigettato l’appello incidentale, ha accolto quello principale e, per l’effetto, in totale riforma della sentenza del primo giudice, ha dichiarato risolto, per grava inadempimento del conduttore M. il contratto di affitto inter partes con condanna del M. al rilascio del fondo e al pagamento delle spese di entrambi i gradi del giudizio.

Per la cassazione di tale sentenza, non notificata, ha proposto ricorso, con atto 17 giugno 2005, M.N., affidato a 6 motivi.

Resiste, con controricorso, e ricorso incidentale condizionato, affidato a un unico motivo e illustrato da memoria, L. G..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. I vari ricorsi, avverso la stessa sentenza devono essere riuniti, ai sensi dell’art. 335 c.p.c..

2. Fissata – innanzi al tribunale di Santa Maria Capua Vetere, sezione specializzata agraria – l’udienza di discussione del 9 ottobre 2002, è comparso in questa unicamente il difensore dell’attore, producendo, peraltro, copia del ricorso con relazione di notifica relativa a altro giudizio.

E’ stata, pertanto, fissata la nuova udienza, del 13 novembre 2002, per consentire al ricorrente di produrre copia del ricorso notificato (attestante la rituale costituzione del contraddittorio).

In occasione di questa ultima udienza del 13 novembre 2002 l’attore ha depositato copia de il ricorso notificato alla parte convenuta il 7 marzo 2000, per la originaria udienza del 9 ottobre 2002 e si è costituito – tardivamente – il convenuto, opponendo la inesistenza della mora e chiedendo termine per la purgazione della mora, a norma della L. 3 maggio 1982, n. 203, art. 46.

La sezione adita, ha ammesso il convenuto alla purgazione della mora, assegnandogli termine di giorni 60 per pagare la somma di Euro 820,75, oltre rivalutazione e interessi dalle singole scadenza e rinviando la causa al 12 marzo 2003 per la verifica del pagamento.

Anteriormente a tale udienza, con raccomandata 19 dicembre 2002 il convenuto ha comunicato all’attore di avere adempiuto all’ordinanza del 13 novembre 2002 mediante il deposito – ai sensi e per gli effetti di cui alla L. n. 11 del 1971 – di Euro 1.750,00 su libretto di risparmio intestato al proprietario, acceso presso la filiale di Frignano del Banco di Napoli (di cui ha comunicato gli estremi).

Pur opponendo l’attore, da un lato, che l’istanza di cui alla L. 3 maggio 1982, n. 203, art. 46, era stata formulata dal conduttore tardivamente (unicamente alla seconda udienza), dall’altro, che la stessa era irrituale (perchè la volontà manifestata dal conduttore di purgare la mora era incompatibile con gli altri assunti dello stesso conduttore esposti nella comparsa di risposta in cui negava l’esistenza della mora stessa), da ultimo, che il deposito su libretto bancario ove effettivamente eseguito non aveva effetto solutorio e insistendo, pertanto, per l’accoglimento della domanda di risoluzione, la sezione specializzata agraria del tribunale di Santa Maria Capua Vetere con sentenza 24 marzo 2003 ha dichiarato la cessazione della materia del contendere.

Quel giudice è pervenuto a una tale conclusione sul rilievo:

– da un lato, che la prima udienza effettiva era stata quella in cui era comparso il convenuto (id est quella del 13 novembre 2002);

– dall’altro, che alle sanatorie disposte dal giudice non si applica la normativa sulle modalità di estinzione delle obbligazioni e, quindi, in mancanza di una disciplina specifica era efficace anche il deposito sul libretto bancario.

3. Gravata tale pronunzia sia da parte del concedente L. che del conduttore M. la Corte di Appello di Napoli sezione specializzata agraria ha affermato:

– a fronte di un errore della difesa attrice che lasciava in dubbio la regolarità del contraddittorio, e che ha imposto il differimento al 13 novembre 2002 della prima udienza, questa è la prima udienza, anche tenuto presente che in caso di domanda di risoluzione del contratto di affitto agrario per mora del conduttore è onere del giudice adito concedere ex officio il termine previsto dalla L. 3 maggio 1982, n. 203, art. 46, per la sanatoria della mora, sì che è irrilevante che la istanza non sia stata formalizzata nel corso della prima udienza;

– la disposizione di cui alla L. 3 maggio 1982, n. 203, art. 46, persegue il duplice fine di eliminare controversie e evitare risoluzioni di contratti: la prima di siffatte finalità è irrangiungibile – in pratica – ogni volta che sia in contestazione la esistenza stessa del rapporto o la sussistenza della morosità sì che in tali ipotesi non ha ragion d’essere l’esercizio della facoltà prevista dal ricordato art. 46 e “pari ostacolo insorge, perchè comunque non viene meno la necessità di verificare se la denunzia di inadempimento sia o meno fondata, quando l’affittuario contesti la morosità e nel contempo, ma solo in via subordinata, invochi la concessione del termine di grazia”;

– essendosi nella specie concretizzata tale ipotesi il primo giudice si sarebbe dovuto astenere dall’assegnare il termine de quo e di conseguenza, nessun effetto può attribuirsi al deposito di denaro su un libretto bancario;

– proprio perchè la L. 3 maggio 1982, n. 203, art. 46, non prescrive, per i pagamenti, alcuna modalità gli stessi restano soggetti alla disciplina generale sicchè devono essere effettuati, ai sensi degli artt. 1182 e 1277, al domicilio del creditore e in danaro avente corso legale, atteso che perchè sia applicazione la disposizione di cui alla L. n. 11 del 1971, art. 7, è necessaria la prova che il creditore abbia rifiutato il pagamento;

– sussistono, conclusivamente, due concorrenti ordini di ragioni per ritenere privo di effetto il deposito, su libretto bancario della somma di Euro 1.750,00 e per annullare la pronunzia del primo giudice di cessazione della materia del contendere;

– la produzione della matrice di un assegno bancario non costituisce prova di pagamento: il M., per l’effetto, non ha soddisfatto l’onere di documentare che al momento della vocatio in ius era in regola quanto all’obbligo di pagamento dei canoni sì che – in applicazione della L. 3 maggio 1982, n. 203, art. 5 – deve pronunciarsi la risoluzione, per grave inadempimento del conduttore M. del contratto di affitto agrario inter partes con condanna del conduttore al rilascio del fondo.

4. Con il primo motivo il ricorrente principale censura la sentenza impugnata, sopra riassunta, denunziando “violazione falsa applicazione di legge – Omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su di un punto decisivo della controversia. Art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, in riferimento alla L. n. 203 del 1982, art. 46, art. 112 c.p.c.”.

Si osserva, infatti, che i giudici di secondo grado erroneamente avrebbero affermato che esso concludente ha sollecitato solo in via subordinata la concessione di un termine di grazia e – del tutto contraddittoriamente – avrebbero, prima ritenuto essere obbligo del giudice concedere il termine in questione, poi ritenuto equivoca la richiesta.

5. Il motivo non può trovare accoglimento.

Alla luce delle considerazioni che seguono.

5.1. Giusta quanto assolutamente pacifico, presso una giurisprudenza più che consolidata di questa Corte regolatrice, deve ribadirsi che l’assegnazione di un termine per la sanatoria della morosità a norma della L. 3 maggio 1982, n. 203, art. 46, comma 6, postula una istanza dell’affittuario moroso ancorchè senza formule sacramentali, in modo non equivoco con riguardo alla volontà di porre fine all’inadempimento e alla correlata finalità di esaurire la necessità di un giudizio sul merito della lite.

L’onere di avanzare apposita istanza a carico della parte – quindi – esclude che il giudice di primo grado possa provvedere ex officio (In termini, ad esempio, Cass. 15 aprile 2000, n. 4916. Sempre nello stesso senso, altresì, tra le tantissime, Cass. 7 marzo 2001, n. 3340, nonchè Cass., 23 dicembre 1998, n. 12838).

5.2. Così corretta la motivazione della sentenza impugnata, si osserva, ancora, che la assegnazione di un termine per la sanatoria della morosità, a norma della L. 3 maggio 1982, n. 203, art. 46, comma 6, postula la volontà, dell’affittuario, di porre fine all’inadempimento ed alla correlata finalità di esaurire la necessità di un giudizio sul merito della lite, sicchè non solo non è a tale fine idonea una istanza formulata al termine della fase istruttoria e subordinata alla mancata reiezione della domanda del concedente (Cass., 22 aprile 1995, n. 4585), ma che non può concedersi il termine di grazia, ogniqualvolta la difesa svolta dal conduttore sia incompatibile con l’affermazione che tra le parti esista un contratto di affitto (cfr., Cass. 7 marzo 2001, n. 3340;

Cass. 3 ottobre 1994, n. 8029).

Essendosi, i giudici del merito puntualmente attenuti a tali – ripetutamente affermati e consolidati – principi di diritto è palese la infondatezza della motivo in esame.

5.3. Deve escludersi, infatti, che nella specie la richiesta di concessione di un termine per la purgazione della mora non fosse formulata in termini incompatibili con le altre difese svolte dallo stesso M..

Almeno sotto due, concorrenti, profili.

5.3.1. In primis si osserva che l’interpretazione degli atti difensivi delle parti, al pari di qualsiasi atto negoziale di natura sia sostanziale che processuale rientrante comunque nel processo, spetta al giudice di merito ed è censurabile in cassazione solo per difetto o contraddittorietà della motivazione o per violazione dei canoni ermeneutici dei contratti e degli atti negoziali in genere (Cass. 9 dicembre 1998, n. 12227).

Certo quanto sopra si osserva che nella specie il ricorrente lungi dal denunziare alcun vizio della motivazione quanto alla interpretazione del contenuto della comparsa di risposta del convenuto in punto concessione di un termine per la purgazione della mora o dall’indicare quale dei canoni ermeneutici (di cui all’art. 1362 c.c., e segg.) sia stato violato da quei giudici, si limita – inammissibilmente e in violazione di quelli che sono i limiti del giudizio di cassazione – a opporre alla interpretazione data dal giudice del detto atto, una propria, diversa, soggettiva interpretazione dello stesso atto.

5.3.2. Anche a prescindere da quanto sopra non pare che il testo della comparsa, nei termini come trascritti dallo stesso ricorrente, potesse giustificare una lettura diversa da quella datane dai giudici di secondo grado.

“Con il presente atto sì costituisce il Sig. M.N. che reitera aver regolarmente saldato gli estagli a mani proprie del Sig. L.G. che riceveva i canoni per annate cumulate come risulta dall’allegata ricevuta e cosi come comunicato con lettera racc.ta A/R del 20/5/99 allegata, il M. ha versato al Sig. L. la somma di Lire ….a saldo annate agrarie dal i 990/91 al 1998/99. Pur non sussistendo alcuna morosità chiede in via preliminare la concessione del termine di grazia L. n. 203 del 1982, ex art. 46”.

A fronte di una tale, precisa e non equivoca, negazione, in concreto, della morosità invocata da controparte, con la indicazione – all’estremo – delle modalità e dell’epoca in cui i canoni non pagati per circa un decennio sarebbero stati versati al creditore, è palese che è irrilevante che il convenuto abbia affermato “chiede in via preliminare la concessione del termine di grazia L. n. 203 del 1982, ex art. 46”, certo essendo che sussiste nella specie una inconciliabile contraddizione tra le varie difese spiegate dal M., contraddizione che – alla luce della giurisprudenza ricordata sopra – esclude potesse essere concesso il termine di cui al più volte ricordato della L. 3 maggio 1982, n. 203, art. 46, comma 6 (tra le tantissime, nel senso che nelle controversie aventi ad oggetto la risoluzione per inadempimento del conduttore di un contratto di affitto di fondo rustico, l’affittuario può beneficiare del termine di grazia previsto dalla L. 3 maggio 1982, n. 203, art. 46, comma 6, alla duplice condizione che formuli in modo espresso la relativa istanza, e che le sue difese non risultino incompatibili con l’affermazione dell’esistenza del contratto e della mora contestata, Cass. 28 maggio 2009, n. 12567; Cass. 7 marzo 2000, n. 3340; Cass. 22 aprile 1995, n. 4585; Cass. 2 febbraio 1995, n. 1241).

6. Con il secondo motivo parte ricorrente censura la sentenza impugnata denunziando “violazione di legge omessa insufficiente e contraddittoria motivazione art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, in riferimento alla L. n. 11 del 1971, art. 7 e L. n. 203 del 1992, art. 5, artt. 1220 e 1209 c.c.”.

Come evidenziato nel primo motivo – si osserva – L’affittuario ha chiesto la concessione del termine di grazia L. n. 203 del 1982, ex art. 46, pur non sussistendo alcuna inadempienza contrattuale e in virtù della disposizione di legge di cui al ricordato art. 46 l’affittuario doveva semplicemente eseguire l’ordinanza con la quale gli era stato concesso il termine per sanare la mora e nella predetta ordinanza non era stata specificata alcuna modalità di pagamento.

7. Il motivo è inammissibile, per carenza di interesse .

Come pacifico, presso una giurisprudenza più che consolidata di questa Corte regolatrice, ove una sentenza (o un capo di questa) si fondi su più ragioni, tutte autonomamente idonee a sorreggerla, è necessario – per giungere alla cassazione della pronunzia – non solo che ciascuna di esse abbia formato oggetto di specifica censura, ma anche che il ricorso abbia esito positivo nella sua interezza con l’accoglimento di tutte le censure, affinchè si realizzi lo scopo stesso dell’impugnazione.

Questa, infatti, è intesa alla cassazione della sentenza in toto, o in un suo singolo capo, id est di tutte le ragioni che autonomamente l’una o l’altro sorreggano.

E’ sufficiente, pertanto, che anche una sola delle dette ragioni non formi oggetto di censura, ovvero che sia respinta la censura relativa anche ad una sola delle dette ragioni, perchè il motivo di impugnazione debba essere respinto nella sua interezza, divenendo inammissibili, per difetto di interesse, le censure avverso le altre ragioni (In tale senso, ad esempio, tra le tantissime, Cass. 11 gennaio 2007, n. 389; Cass. 24 maggio 2006, n. 12372; Cass. 12 aprile 2001, n. 5493).

Non controverso quanto precede si osserva che i giudici del merito hanno:

– da un lato, affermato che il primo giudice, a fronte dell’assunto del conduttore ulteriormente ribadito in questa sede dal suo difensore che non sussisteva alcun inadempimento contrattuale neppure in ordine al pagamento del canone si sarebbe dovuto astenere dall’assegnare il termine di grazia di cui alla L. 3 maggio 1982, n. 203, art. 46 e che, di conseguenza, nessun effetto può attribuirsi al deposito di danaro su un libretto bancario prima ratio decidendi;

– dall’altro evidenziato che comunque il conduttore non aveva puntualmente adempiuto alla ordinanza emessa dal primo giudice ai sensi della L. 3 maggio 1982, n. 203, art. 46 e non aveva, di conseguenza, sanato la propria mora seconda ratio decidendi.

Accertata, a seguito del rigetto del primo motivo, la correttezza della prima delle sopra trascritte rationes decidendi è palese che il secondo motivo è divenuto inammissibile per carenza di interesse (art. 100 c.p.c.).

Anche nella eventualità, infatti, le argomentazioni sviluppate con il secondo motivo dovessero risultare fondate, non per questo potrebbe mai giungersi alla cassazione della sentenza impugnata, che rimane ferma in base alla ratio decidendi di cui si è dimostrato, sopra, la correttezza.

8. Con il terzo motivo il ricorrente censura la sentenza impugnata denunziando “violazione e falsa applicazione di legge – Art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, in riferimento alla L. n. 203 del 1982, art. 5, art. 112 c.p.c. e L. n. 203 del 1982, art. 46”.

La corte, assume il ricorrente, senza curarsi la entità del debito, per poi valutare la proporzione tra le somme versate e il debito stesso, al fine di stabilire se la buona volontà poteva escludere la gravità ha autonomamente deciso – in assenza di specifica richiesta – sulla gravità dell’inadempimento capace di risolvere il contratto.

9. Il motivo, per più aspetti inammissibile, per altri manifestamente infondato, non può trovare accoglimento.

Alla luce delle considerazioni che seguono.

9.1. Il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di una erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e, quindi, implica necessariamente un problema interpretativo della stessa (da cui la funzione di assicurare la uniforme interpretazione della legge assegnata dalla Corte di Cassazione).

Viceversa, la allegazione – come prospettate nella specie da parte del ricorrente – di una erronea ricognizione della fattispecie concreta, a mezzo delle risultanze di causa, è esterna alla esatta interpretazione della norme di legge e impinge nella tipica valutazione del giudice del merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, sotto l’aspetto del vizio di motivazione.

Lo scrimine tra l’una e l’altra ipotesi – violazione di legge in senso proprio a causa della erronea ricognizione della astratta fattispecie normativa, ovvero erronea applicazione della legge in ragione della carente o contraddittoria ricostruzione della fattispecie concreta – è segnato, in modo evidente, che solo questa ultima censura e non anche la prima è mediata dalla contestata valutazione delle risultanze di causa (Cass. 5 giugno 2007, n. 13066, nonchè Cass. 20 novembre 2006, n. 24607, specie in motivazione;

Cass. 11 agosto 2004, n. 15499, tra le tantissime).

Pacifico quanto sopra si osserva che nella specie parte ricorrente pur invocando che i giudici del merito, in tesi, hanno malamente interpretato le disposizioni di legge indicate nella intestazione del motivo (L. 3 maggio 1982, n. 203, artt. 5 e 46), in realtà, si limita a censurare la interpretazione data, dai giudici del merito, delle risultanze di causa, interpretazione a parere del ricorrente inadeguata, sollecitando, così, contra legem e cercando di superare quelli che sono i limiti del giudizio di cassazione, un nuovo giudizio di merito su quelle stesse risultanze.

9. 2. Anche a prescindere da quanto precede la deduzione è – comunque – manifestamente infondata.

Avendo chiesto il L., sia con l’atto introduttivo del giudizio in primo grado, sia con l’atto di appello, chiesto fosse pronunziata la risoluzione del contratto di affitto inter partes per inadempimento del conduttore quanto al pagamento dei canoni è palese:

– da una parte, che non sussiste la denunziata ultrapetizione della sentenza impugnata allorchè il giudice di appello, dovendo pronunciare sulla domanda di inadempimento quanto al pagamento dei canoni, ha valutato, in puntuale applicazione del precetto di cui alla L. 3 maggio 1982, n. 203, art. 5, se l’inadempimento contestato al M. (mancato pagamento del canone per dieci annualità consecutive) fosse o meno grave;

– dall’altro che correttamente quei giudici hanno pronunziato la risoluzione del contratto atteso, da una parte, che a norma del ricordato della L. n. 203 del 1982, art. 5, la morosità del conduttore costituisce grave inadempimento ai fini della pronunzia di risoluzione del contratto … quando si concreti nel mancato pagamento del canone per almeno una annualità, dall’altra, che il conduttore, pur gravato del relativo onere, non solo non ha dimostrato di avere corrisposto, negli ultimi dieci anni cioè per un periodo ben superiore a quello indicato dalla legge il canone di legge, ma neppure ha invocato e dimostrato, adeguatamente, di vantare crediti, nei confronti del concedente, di importo pari o superiore al canone non pagato;

– da ultimo che è irrilevante che in corso di causa il conduttore abbia versato alcuni importi, in tesi idonei a sanare la pacifica mora dello stesso.

Non solo, infatti, come accertato sopra tale pagamento è avvenuto in forza di una ordinanza del primo giudice, erroneamente emessa, come sopra dimostrato, sì che in forza di tale offerta non può invocarsi la sanatoria della mora a norma della L. 3 maggio 1982, n. 203, art. 46, ma a norma dell’art. 1453 c.c., comma 3, è irrilevante il pagamento dei canoni che si assume eseguito dal costruttore successivamente alla domanda di risoluzione.

10. Con il quarto motivo il ricorrente censura la sentenza impugnata denunziando “violazione di legge. Art. 2702 c.c. e L. n. 203 del 1982, art. 46, L. n. 203 del 1982, art. 5”, per non avere controparte disconosciuto alla prima udienza la causale del versamento e in particolare la lettera dell’avv. Concetta Papa inviata il 22 maggio 1999 (puntualmente trascritta nel motivo).

11. La deduzione è inammissibile.

Come osservato sopra in margine al terzo motivo il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di una erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e, quindi, implica necessariamente un problema interpretativo della stessa.

Quindi, quando nel ricorso per cassazione, pur denunciandosi violazione e falsa applicazione della legge, con richiamo di specifiche disposizioni normative, non siano indicate le affermazioni in diritto contenute nella sentenza gravata che si assumono in contrasto con le disposizioni indicate – o con l’interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimità o dalla prevalente dottrina – il motivo è inammissibile, poichè non consente alla Corte di cassazione di adempiere il compito istituzionale di verificare il fondamento della denunziata violazione (Cass. 20 gennaio 2006, n. 1108; Cass. 29 novembre 2005, n. 26048;

Cass. 8 novembre 2005, n. 21659; Cass. 18 ottobre 2005, n. 20145;

Cass. 2 agosto 2005, n. 16132).

Poichè nella specie il ricorrente pur assumendo che i giudici di secondo grado hanno violato, cioè erroneamente interpretato, vuoi l’art. 2702 c.c. (relativo alla efficacia della scrittura privata), vuoi gli art. 46 (in tema di disposizioni processuali quanto alle controversie relative a contratti agrari) e art. 5 (in tema di inadempimento dei contratti di affitto a conduttore coltivatore diretto), si astiene dal trascrivere le affermazioni, in diritto, contenute nella sentenza impugnata in contrasto con la interpretazione delle ricordate disposizioni datane dalla giurisprudenza di questa Corte o dalla dottrina, ma si limita a opporre la idoneità dei documenti in atti a sorreggere le proprie eccezioni, quanto all’avvenuto pagamento del canone per gli ultimi dieci anni, è palese la inammissibilità della deduzione.

Anche a prescindere da quanto precede – per completezza di esposizione – si osserva che a fronte della contestazione del concedente, che si doleva del mancato pagamento del canone per circa dieci anni, era onere dell’affittuario dare – o almeno offrire – la prova di tale pagamento.

Prova che, correttamente, il giudice ha ritenuto non potersi ricavare dalla lettera, anteriore al giudizio, proveniente dallo stesso difensore del conduttore, secondo la quale in realtà la morosità non sussisteva perchè il mio assistito è in regola con il pagamento degli estagli versati anno per anno a mani e presso il domicilio del concedente, Pertanto alcuna inadempienza è imputabile all’affittuario.

12. Con il quinto motivo il ricorrente denunzia, ancora “violazione di legge. Omessa insufficiente e contraddittoria motivazione. Art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, in riferimento alla L. n. 11 del 1971, art 7.

Art. 112 c.p.c., artt. 437 e 345 c.p.c.” per essersi pronunciata su domande e eccezioni formulate solo con l’atto di appello quanto alla circostanza che in primo grado il convenuto era stato ammesso alla purgazione della mora.

13. A prescindere da ogni altra considerazione la deduzione è manifestamente infondata, atteso, da un lato, che trattandosi della violazione, da parte del giudice di primo grado di una norma del processo, bene tale violazione poteva essere invocata, per la prima volta in grado di appello, dall’altro – comunque – che è pacifico che già nel primo grado del giudizio e, in particolare, nel corso dell’udienza del 12 marzo 2003, il L. aveva chiesto la revoca dell’ordinanza della L. 3 maggio 1982, n. 203, ex art. 46, tra l’altro perchè la volontà di purgare la mora era incompatibile con gli altri assunti del M. contenuti nella comparsa di risposta.

14. Con il sesto, e ultimo, motivo, il ricorrente lamentando “violazione di legge. Art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, in riferimento agli artt. 91 e 92 c.p.c.” censura la sentenza impugnata nella parte in cui la stessa ha condannato esso M. al pagamento delle spese del doppio grado, laddove già lo stesso era stato condannato in primo grado in violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5.

15. Il motivo è manifestamente infondato.

Come pacifico, in materia di procedimento civile, il potere del giudice d’appello di procedere d’ufficio ad un nuovo regolamento delle spese processuali, quale conseguenza della pronunzia di merito adottata, sussiste in caso di riforma in tutto o in parte della sentenza impugnata, in quanto il relativo onere deve essere attribuito e ripartito in relazione all’esito complessivo della lite mentre, in caso di conferma della sentenza impugnata, la decisione sulle spese può essere dal giudice del gravame modificata soltanto se il relativo capo della sentenza abbia costituito oggetto di specifico motivo d’impugnazione (Cass. 11 giugno 2008, n. 15483;

Cass. 4 aprile 2006, n. 7846; Cass. 7 gennaio 2004, n. 58; Cass. 18 marzo 2003, n. 3964).

Pacifico quanto precede, pacifico che nella specie il giudice di appello ha totalmente riformato la sentenza del primo giudice, è palese che del tutto correttamente lo stesso ha provveduto a una nuova liquidazione anche delle spese del giudizio di primo grado nonchè di quello di appello, ponendo le stesse a carico della parte risultata, all’esito della lite, totalmente soccombente (cioè del conduttore) senza che rilevi che il primo giudice, dichiarata cessata tra le parti la materia del contendere, avesse con statuizione poi posta nel nulla del giudice di appello già posto a carico della parte convenuta le spese di lite, in base al principio della c.d.

soccombente virtuale.

16. Risultato infondato in ogni sua parte il proposto ricorso principale, in conclusione, deve rigettarsi, con assorbimento di quello incidentale, espressamente condizionato all’eventuale accoglimento del ricorso principale e condanna del ricorrente principale al pagamento delle spese di lite di questo giudizio di cassazione, liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

LA CORTE riunisce i ricorsi; rigetta il ricorso principale; dichiara assorbito quello incidentale; condanna il ricorrente principale al pagamento delle spese di questo giudizio di legittimità, liquidate in Euro 200,00 oltre Euro 1.300,00 per onorari e oltre spese generali e accessori come per legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte di Cassazione, il 14 dicembre 2009.

Depositato in Cancelleria il 19 gennaio 2010

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