Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 714 del 18/01/2021

Cassazione civile sez. VI, 18/01/2021, (ud. 14/10/2020, dep. 18/01/2021), n.714

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. COSENTINO Antonello – Presidente –

Dott. PICARONI Elisa – Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – rel. Consigliere –

Dott. CASADONTE Annamaria – Consigliere –

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 16733 – 2019 R.G. proposto da:

D.C.C., – c.f. (OMISSIS), – DE.CR.RI., – c.f.

(OMISSIS), – R.C., – c.f. (OMISSIS), – elettivamente

domiciliati, con indicazione dell’indirizzo p.e.c., in Napoli, al

Centro Direzionale, Ed. Gl, via G. Porzio, presso lo studio

dell’avvocato Maria Ferrante che li rappresenta e difende in virtù

di procura speciale in calce al ricorso.

– ricorrenti –

contro

MINISTERO della GIUSTIZIA, – c.f. (OMISSIS), – in persona del

Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura

Generale dello Stato, presso i cui uffici in Roma, alla via dei

Portoghesi, n. 12, domicilia per legge.

– controricorrente –

avverso il decreto dei 9.7/22.11.2018 della Corte d’Appello di

Perugia;

udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 14 ottobre

2020 dal consigliere Dott. Luigi Abete,

 

Fatto

MOTIVI IN FATTO ED IN DIRITTO

1. Con ricorso ex L. n. 89 del 2001, alla Corte d’Appello di Perugia D.C.C., De.Cr.Ri. e R.C. si dolevano per l’eccessiva durata dei giudizi, del pari ex lege “Pinto”, da essi intrapresi, rispettivamente, in data 25.7.2012, in data 17.7.2012 ed in data 17.7.2012 dinanzi alla Corte d’Appello di Perugia e definiti, previa riunione, dalla corte umbra con decreto di accoglimento parziale del 13.4.2017.

Chiedevano che il Ministero della Giustizia fosse condannato a corrisponder loro un equo indennizzo.

2. Con decreto dei 20/30.4.2018 il consigliere designato ingiungeva al Ministero della Giustizia di pagare a ciascun ricorrente la somma di Euro 1.333,00; ingiungeva altresì al Ministero della Giustizia di pagare all’avvocato anticipatario dei ricorrenti le spese di lite, liquidate in Euro 250,00, oltre rimborso forfetario, i.v.a. e cassa ed oltre Euro 27,00 per spese vive.

3. D.C.C., De.Cr.Ri. e R.C. proponevano opposizione. Resisteva il Ministero della Giustizia.

4. Con decreto dei 9.7/22.11.2018 la Corte d’Appello di Perugia rigettava l’opposizione e compensava integralmente le spese del giudizio.

Esplicitava la corte, in ordine al motivo di opposizione concernente la liquidazione delle spese della fase monitoria, che doveva reputarsi corretta la determinazione del compenso sulla scorta delle indicazioni riguardanti i procedimenti per decreto ingiuntivo; che pur la quantificazione del compenso doveva reputarsi corretta, siccome la ridottissima complessità della controversia appieno giustificava la decurtazione operata dal giudice della fase monitoria.

5. Avverso tale decreto hanno proposto ricorso D.C.C., De.Cr.Ri. e R.C.; ne hanno chiesto sulla scorta di cinque motivi, variamente articolati, la cassazione con ogni susseguente statuizione.

Il Ministero della Giustizia ha depositato controricorso; ha chiesto dichiararsi inammissibile o rigettarsi l’avverso ricorso con il favore delle spese del giudizio di legittimità.

6. Il relatore ha formulato ex art. 375 c.p.c., n. 5), proposta di parziale manifesta fondatezza del ricorso; il presidente ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., comma 1, ha fissato l’adunanza in camera di consiglio.

7. I ricorrenti hanno depositato memoria.

8. Con il primo motivo i ricorrenti denunciano ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c.; la violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato.

Deducono che la Corte di Perugia, in merito alla liquidazione delle spese della fase monitoria, ha statuito unicamente in ordine al secondo motivo di opposizione, con cui era stata censurata l’applicazione della tabella relativa ai procedimenti monitori e prefigurata viceversa l’applicabilità della tabella relativa ai procedimenti in camera di consiglio.

9. Il primo motivo di ricorso è destituito di fondamento.

10. Non sussiste il vizio di omessa pronuncia.

Invero la Corte di Perugia ha sostanzialmente opinato per l’applicabilità della tabella n. 8 – “procedimenti monitori” – allegata al D.M. n. 55 del 2014, ed ha altresì ritenuto corretta, ovvero non inferiore ai “minimi”, la quantificazione del compenso operata dal consigliere designato per la fase “monocratica”.

In tal guisa la corte di merito ha implicitamente respinto ogni ulteriore motivo di opposizione della L. n. 89 del 2001, ex art. 5 ter, in particolare e il motivo veicolante la pretesa applicabilità nel caso di specie della tabella n. 12 – “giudizi innanzi alla corte di appello” – allegata al D.M. n. 55 del 2014, e il motivo veicolante la pretesa violazione dei minimi tariffari.

Ovviamente soccorre l’insegnamento di questa Corte secondo cui non ricorre il vizio di omessa pronuncia quando la decisione adottata comporti una statuizione implicita di rigetto della domanda o eccezione formulata dalla parte (cfr. Cass. (ord.) 13.8.2018, n. 20718; Cass. (ord.) 6.12.2017, n. 29191).

11. Con il secondo motivo i ricorrenti denunciano ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’omesso esame circa fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti; la motivazione apparente, tautologica ed apodittica.

Deducono che la corte distrettuale nè ha dato conto delle ragioni per cui ha reputato applicabile la tabella relativa ai procedimenti monitori nè ha esplicitato i criteri sulla cui scorta si giustifica la quantificazione del compenso in Euro 250,00.

Deducono che, alla stregua della tabella per i procedimenti ordinari dinanzi alla corte d’appello ed in rapporto allo scaglione di riferimento (Euro 5.200,01 – Euro 26.000,00), il compenso minimo, comprensivo del rimborso forfetario, per la fase monitoria sarebbe stato pari ad Euro 3.585,70, da moltiplicare per il numero – dieci – dei ricorrenti.

12. Con il terzo motivo i ricorrenti denunciano la violazione e falsa applicazione di legge; invocano l’applicabilità della tabella relativa ai procedimenti ordinari innanzi alla corte d’appello ai fini della liquidazione delle spese della fase monitoria.

Deducono che il giudizio ex lege “Pinto” è un procedimento contenzioso azionato con le forme del rito camerale.

Deducono quindi che il giudizio ex lege “Pinto” a vario titolo non è equiparabile ad un procedimento monitorio, sicchè non è applicabile la tabella allegata al D.M. n. 55 del 2014, per i procedimenti monitori.

13. Con il quarto motivo i ricorrenti denunciano la violazione e falsa applicazione dell’art. 92 c.p.c., e del D.M. n. 55 del 2014, art. 4; la violazione dei minimi tariffari.

Deducono che la corte territoriale, alla luce della tabella allegata al D.M. n. 55 del 2014, per i procedimenti ordinari dinanzi alla corte d’appello ed in rapporto allo scaglione di riferimento (Euro 5.200,01 – Euro 26.000,00), ha liquidato i compensi della fase monitoria in misura inferiore ai minimi.

14. Con il quinto motivo – esperito in via subordinata – i ricorrenti denunciano la violazione e falsa applicazione dell’art. 92 c.p.c., e del D.M. n. 55 del 2014, art. 4; la violazione dei minimi tariffari pur in ipotesi di applicazione della tabella relativa ai procedimenti monitori.

Deducono che, pur a tener conto della tabella relativa ai procedimenti monitori, alla stregua dello scaglione di riferimento (Euro 5.200,01 – Euro 26.000,00), applicabile in considerazione della pluralità di parti, il compenso minimo, comprensivo del rimborso forfetario, per la fase monitoria sarebbe stato pari ad Euro 310,50, da moltiplicare per il numero – dieci – dei ricorrenti.

15. La sostanziale identità o quanto meno la pregnante correlazione delle argomentazioni e dei rilievi che la delibazione del secondo, del terzo, del quarto e del quinto motivo di ricorso postula e sollecita, ne giustifica senz’altro la disamina contestuale.

I medesimi motivi comunque sono destituiti di fondamento.

16. L’affermata applicabilità delle indicazioni riguardanti i procedimenti per decreto ingiuntivo ed, in sostanza, l’applicazione della tabella n. 8 – “procedimenti monitori” – allegata al D.M. n. 55 del 2014, limitatamente alla fase monitoria innanzi al consigliere designato, sono ineccepibili.

Tanto, ben vero, alla luce dell’insegnamento più recente di questa Corte, che, ai sensi dell’art. 118 disp. att. c.p.c., è sufficiente reiterare in questa sede, insegnamento che, evidentemente, corrobora il sintetico rilievo motivazionale in ogni caso espresso sul punto dalla Corte d’Appello di Perugia.

Difatti questa Corte ha di recente esplicitato che, in tema di giudizio di equa riparazione per irragionevole durata del processo, la liquidazione delle spese della fase destinata a svolgersi dinanzi al consigliere designato deve avvenire sulla base della tabella n. 8, rubricata “procedimenti monitori”, allegata al D.M. n. 55 del 2014, per quanto si sia al cospetto di un procedimento monitorio destinato a celebrarsi dinanzi alla corte d’appello, con caratteri di “atipicità” rispetto a quello di cui agli artt. 633 e ss. c.p.c., rilevando, ai fini dell’applicazione di tale tabella, oltre che l’identica veste formale – decreto – del provvedimento conclusivo della prima fase di entrambi i procedimenti, anche l’iniziale assenza di contraddittorio e la differita operatività della regola cardine “audiatur et altera pars”, che appieno accomunano il primo sviluppo del procedimento ex lege “Pinto” e l’ordinario procedimento d’ingiunzione (cfr. Cass. 31.7.2020, n. 16512).

17. Ai fini della determinazione del valore della fase “monocratica” definita con decreto dei 20/30.4.2018 del consigliere designato della Corte di Perugia e dunque ai fini dell’individuazione dello scaglione tariffario di riferimento va ribadito l’insegnamento di questa Corte.

Ovvero l’insegnamento a tenor del quale in ipotesi di litisconsorzio facoltativo (art. 103 c.p.c.), caratterizzato da domande di più soggetti contro uno stesso convenuto in base a titoli autonomi anche se della stessa natura – è esattamente il caso di specie – non è applicabile l’art. 10 c.p.c., comma 2, (che è richiamato soltanto dall’art. 104 cit. codice, relativo al cumulo oggettivo) (cfr. Cass. sez. la v. 7.1.2009, n. 50; Cass. (ord.) 3.7.2009, n. 15638).

Cosicchè non possono ricevere seguito gli assunti dei ricorrenti – specificamente veicolati dal quarto e dal quinto motivo di ricorso – secondo cui si è al cospetto “di posizioni soggettive diverse ed autonome” (così ricorso, pagg. 14 e 15), di guisa che il compenso “va moltiplicato per il numero di ricorrenti” (così ricorso, pagg. 14 e 15).

18. Negli enunciati termini, in considerazione del quantum (Euro 1.333,00) dell’indennizzo accordato dal consigliere designato della corte perugina a ciascuno dei ricorrenti in questa sede, il valore della fase “monocratica” rimane ricompreso nello scaglione tariffario da Euro 0,01 ad Euro 5.200,00 della tabella n. 8 allegata al D.M. n. 55 del 2014, contemplante l’unica voce “fase di studio, istruttoria, conclusiva”.

Cosicchè il compenso medio tabellare è pari ad Euro 450,00 ed il compenso minimo, ai sensi del D.M. n. 55 del 2014, art. 4, comma 1, e del D.M. n. 37 del 2018, applicabile ratione temporis, è pari ad Euro 225,00.

Evidentemente il compenso liquidato dal consigliere designato della Corte di Perugia – Euro 250,00 – è superiore al minimo – Euro 225,00 – tariffario.

19. Ovviamente soccorre l’insegnamento a tenor del quale, in tema di liquidazione delle spese processuali che la parte soccombente deve rimborsare a quella vittoriosa, la determinazione degli onorari di avvocato e degli onorari e diritti di procuratore costituisce esercizio di un potere discrezionale del giudice che, qualora sia contenuto tra il minimo ed il massimo della tariffa, non richiede una specifica motivazione e non può formare oggetto di sindacato in sede di legittimità (cfr. Cass. 9.10.2015, n. 20289; Cass. 4.7.2011, n. 14542, secondo cui la liquidazione delle spese processuali rientra nei poteri discrezionali del giudice del merito, potendo essere denunziate in sede di legittimità solo violazioni del criterio della soccombenza o liquidazioni che non rispettino le tariffe professionali, con obbligo, in tal caso, di indicare le singole voci contestate, in modo da consentire il controllo di legittimità senza necessità di ulteriori indagini).

20. Una finale notazione si impone. Il riconoscimento della maggiorazione (cui è fugace riferimento a pag. 13 del ricorso) di cui al D.M. n. 55 del 2014, art. 4, comma 2, come modificato dal D.M. n. 37 del 2018, art. 1, comma 1, lett. c), (“quando in una causa l’avvocato assiste più soggetti aventi la stessa posizione processuale, il compenso unico può di regola essere aumentato per ogni soggetto oltre il primo nella misura del (…)”) è rimesso alla valutazione discrezionale del giudice della lite (per l’affermazione che il D.M. n. 55 del 2014, art. 4, comma 2, prevede come possibile, ma non necessario, l’aumento per la pluralità di soggetti, vedi Cass. 15.12.2017, n. 3590).

21. In dipendenza del rigetto del ricorso i ricorrenti vanno condannati in solido a rimborsare al Ministero della Giustizia le spese del presente giudizio.

La liquidazione segue come da dispositivo (si tenga conto che, in sede di condanna del soccombente al rimborso delle spese del giudizio a favore di un’amministrazione dello Stato – nei confronti del quale vige il sistema della prenotazione a debito dell’imposta di bollo dovuta sugli atti giudiziari e dei diritti di cancelleria e di ufficiale giudiziario – riguardo alle spese vive la condanna deve essere limitata al rimborso delle spese prenotate a debito: cfr. Cass. 18.4.2000, n. 5028; Cass. 22.4.2002, n. 5859).

22. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 10, non è soggetto a contributo unificato il giudizio di equa riparazione ex L. n. 89 del 2001. Il che rende inapplicabile il D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, (cfr. Cass. sez. un. 28.5.2014, n. 11915).

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; condanna in solido i ricorrenti, D.C.C., De.Cr.Ri. e R.C., a rimborsare al Ministero della Giustizia le spese del presente giudizio di legittimità, che si liquidano in Euro 1.200,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito.

Depositato in Cancelleria il 18 gennaio 2021

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