Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7138 del 13/03/2020

Cassazione civile sez. VI, 13/03/2020, (ud. 29/01/2020, dep. 13/03/2020), n.7138

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SAMBITO Maria Giovanna C. – Presidente –

Dott. MELONI Marina – Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – Consigliere –

Dott. CAIAZZO Rosario – rel. Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 1776-2019 proposto da:

C.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA ASIAGO, 9,

presso lo studio dell’avvocato EDOARDO SPIGHETTI, rappresentato e

difeso dall’avvocato SILVANA GUGLIELMO, con procura speciale in

calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA’ DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso il decreto n. R.G. 1159/2018 del TRIBUNALE di CATANZARO,

depositato il 13/11/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 29/01/2020 dal Consigliere relatore, Dott. CAIAZZO

ROSARIO.

Fatto

RILEVATO

CHE:

Con decreto del 13.11.18, il Tribunale di Catanzaro rigettò l’opposizione proposta da C.A.- cittadino della Guinea- avverso il provvedimento della Commissione territoriale di diniego della domanda di riconoscimento della protezione internazionale ed umanitaria, osservando che: era da escludere lo status di rifugiato in quanto il racconto del ricorrente era inattendibile poichè caratterizzato da gravi lacune ed incongruenze; non ricorrevano i presupposti della protezione sussidiaria, anche sulla base dell’esame di vari report; era da escludere la protezione umanitaria non avendo il ricorrente allegato alcun indice di vulnerabilità o d’integrazione sociale.

Ricorre in cassazione il C. con sei motivi.

Resiste il Ministero con controricorso.

Diritto

RITENUTO

CHE:

Con il primo motivo si denunzia violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 2, e 5, non avendo il Tribunale verificato l’attendibilità del racconto del ricorrente, omettendo l’applicazione dei criteri di cui al predetto art. 3 in ordine alla protezione internazionale.

Con il secondo motivo si denunzia violazione e mancata applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 2, non avendo il Tribunale indagato le questioni riguardanti il Paese di provenienza e la concreta possibilità per il ricorrente di essere tutelato nel suo Paese.

Con il terzo motivo si denunzia violazione della L. n. 46 del 2017, art. 6 per non aver il Tribunale citato le fonti informative richiamate nel decreto.

Con il quarto motivo si denunzia violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35-bis, comma 11, lett. a) e b), della direttiva 12013/32 UE e della Carta dei diritti fondamentali dell’UE (art. 47), per non aver il Tribunale disposto l’audizione del ricorrente in mancanza della videoregistrazione.

Con il quinto motivo si denunzia violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a), b) e c), non avendo il Tribunale riconosciuto la protezione sussidiaria, considerando i conflitti politici in Guinea, ovvero il rischio del ricorrente di essere ucciso in caso di rimpatrio o anche condannato per aver avuto rapporti con una minorenne, come dichiarato.

Con il sesto motivo si denunzia violazione del D.Lgs., n. 25 del 2008, art. 32, del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, art. 2 Cost., artt. 3 e 8 Cedu, non avendo il Tribunale tenuto conto della vulnerabilità del ricorrente attraverso la comparazione con la situazione della Guinea.

Il primo motivo è inammissibile, in quanto diretto al riesame dei fatti circa la ritenuta inattendibilità del racconto reso dal ricorrente innanzi alla Commissione territoriale. Al riguardo, la doglianza è anche generica e non attinge l’approfondita motivazione adottata dal Tribunale circa l’inverosimiglianza del racconto del ricorrente in ordine alla vicenda della morte della fidanzata per parto e alle minacce che avrebbe subito dal fratello della stessa fidanzata.

Il secondo, terzo e quinto motivo- esaminabili congiuntamente poichè tra loro connessi- sono inammissibili, in ordine alla protezione sussidiaria, in quanto tendenti al riesame dei fatti. In particolare, il Tribunale ne ha escluso i presupposti, relativi alle fattispecie di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b), non avendo il ricorrente allegato alcuna circostanza astrattamente rientrante nell’ambito della norme suddette. Quanto alla fattispecie di cui alla lett. c), parimenti il Tribunale ha ritenuto insussistenti i presupposti della protezione sussidiaria sulla base dell’esame di report aggiornati. Pertanto, la censura riguardante l’omesso utilizzo dei poteri istruttori ufficiosi non coglie con pienezza la ratio decidendi.

Il quarto motivo è inammissibile in quanto, nel giudizio d’impugnazione innanzi all’autorità giudiziaria della decisione della Commissione territoriale, ove manchi la videoregistrazione del colloquio, all’obbligo del giudice di fissare l’udienza, non consegue automaticamente quello di procedere all’audizione del richiedente, purchè sia garantita a costui la facoltà di rendere le proprie dichiarazioni, o davanti alla Commissione territoriale o, se necessario, innanzi al Tribunale (Cass., n. 5973/19; n. 17076/19).

Il sesto motivo è inammissibile, non avendo il ricorrente allegato situazioni specifiche e personali di vulnerabilità legittimanti il permesso umanitario, limitandosi a richiamare la situazione generale del Paese di provenienza.

Le spese seguono la soccombenza.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso, condannando il ricorrente al pagamento, in favore del Ministero dell’Interno, delle spese del giudizio di legittimità che liquida nella somma di Euro 2100,00 oltre alle spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, ove dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 29 gennaio 2020.

Depositato in cancelleria il 13 marzo 2020

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