Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7134 del 20/03/2017


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Cassazione civile, sez. lav., 20/03/2017, (ud. 24/01/2017, dep.20/03/2017),  n. 7134

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MACIOCE Luigi – Presidente –

Dott. TORRICE Amelia – Consigliere –

Dott. TRIA Lucia – rel. Consigliere –

Dott. BLASUTTO Daniela – Consigliere –

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 29189-2015 proposto da:

I.N.P.S. ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE C.F. (OMISSIS)

in persona del suo Presidente e legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso

l’Avvocatura Centrale dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli

avvocati SAMUELA PISCHEDDA, ELISABETTA LANZETTA, PAOLA MASSAFRA,

giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

C.M. C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA,

VIA COSSERIA 2, presso lo studio dell’avvocato RICCARDO FARANDA, che

lo rappresenta e difende, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 6738/2015 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 09/10/2015 R.G.N. 2357/15;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

24/01/2017 dal Consigliere Dott. TRIA LUCIA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CELESTE ALBERTO che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito l’Avvocato PISCEDDA SAMUELA;

udito l’Avvocato RICCARDO FARANDA per delega Avvocato PASQUALE MARIA

CRUPI.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. La sentenza attualmente impugnata (depositata il 9 ottobre 2015), in un giudizio riguardante il licenziamento per giusta causa del dipendente dell’INPS C.M., riformando la sentenza del Tribunale di Napoli n. 4972/2015, dichiara ammissibile l’opposizione proposta dall’INPS avverso l’ordinanza pronunciata dal suddetto Tribunale il 5 giugno 2014, nella fase sommaria del rito Fornero, ritenuta tardiva dal primo giudice e la respinge.

La Corte d’appello di Napoli, per quel che qui interessa, precisa che:

a) il 4 ottobre 2013 l’INPS era già stato informato dell’arresto in flagranza del C. per il reato di concussione, inoltre la richiesta di convalida dell’arresto del P.M. ricevuta il 6 ottobre 2013 conteneva il capo di imputazione;

b) pertanto, il D.Lgs. n. 165 del 2001, ex art. 55 – bis, comma 4, il 6 ottobre 2013 deve considerarsi senza alcun dubbio il momento di “prima acquisizione della notizia”, che non va confuso con il momento in cui il datore di lavoro è in grado di formulare una contestazione disciplinare, come invece fa l’Istituto ricorrente richiamando la diversità del procedimento disciplinare rispetto al procedimento penale, elemento che, nella specie, non è conferente, al pari di quello della incensuratezza del C.;

c) il suddetto il D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 55 – bis, introdotto dal D.Lgs. n. 150 del 2009, art. 69, laddove stabilisce la decadenza dall’azione disciplinare in caso di mancato rispetto del termine di 120 giorni di cui si discute si configura come una norma non suscettibile di una interpretazione “elastica”, come è invece previsto per il principio della immediatezza della contestazione disciplinare;

d) ne consegue che, nella specie, la suddetta decadenza deve considerarsi verificata perchè il termine per la conclusione del procedimento disciplinare, la cui decorrenza va fissata al 6 ottobre 2013, non è stato rispettato, in quanto la sanzione del licenziamento è stata emessa dopo 124 giorni dalla suddetta data, cioè il 7 febbraio 2014.

2. Il ricorso dell’INPS domanda la cassazione della sentenza per due motivi; resiste, con controricorso, C.M..

Entrambe le parti depositano anche memorie ex art. 378 c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1 – Profili preliminari.

1. Innanzi tutto vanno esaminate le eccezioni preliminari proposte dal controricorrente, che sono tutte da respingere.

1.1. Quanto all’eccezione di asserita improcedibilità del ricorso per mancata produzione in giudizio del CCNL sul quale l’INPS ha fondato il primo motivo, si ricorda che, a partire da Cass. SU 4 novembre 2009 n. 23329, si è affermato nella giurisprudenza di questa Corte l’orientamento secondo cui: “l’improcedibilità del ricorso per cassazione a norma dell’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, non può conseguire al mancato deposito del contratto collettivo di diritto pubblico, ancorchè la decisione della controversia dipenda direttamente dall’esame e dall’interpretazione delle relative clausole, atteso che, in considerazione del peculiare procedimento formativo, del regime di pubblicità, della sottoposizione a controllo contabile della compatibilità economica dei costi previsti, l’esigenza di certezza e di conoscenza da parte del giudice era già assolta, in maniera autonoma, mediante la pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale, ai sensi del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 47, comma 8”.

Tale indirizzo è assurto al rango di “diritto vivente” (vedi, per tutte: Cass. 11 aprile 2011, n. 8231; Cass. 11 ottobre 2013, n. 23177) e viene qui ribadito e condiviso.

1.2. Lo stesso orientamento porta al rigetto anche dell’eccezione di inammissibilità del ricorso per violazione del principio di specificità dei motivi di ricorso per cassazione, derivante dalla omessa riproduzione, nel corpo del ricorso, della norma collettiva asseritamente violata.

Al riguardo va, in particolare, ricordato che la denuncia di mancato rispetto di una norma della contrattazione collettiva nazionale ex art. 360 c.p.c., n. 3, – quale è quella contenuta nel presente ricorso – risulta, di per sè, conforme all’indirizzo interpretativo inaugurato da Cass. 19 marzo 2014 n. 6335, che si è consolidato nella successiva giurisprudenza, sicchè è assurto al rango di “diritto vivente” (vedi, fra le tante: Cass. 9 settembre 2014, n. 18946; Cass. 16 settembre 2014, n. 19507; Cass. 17 maggio 2016, n. 10060; Cass. 12 ottobre 2016, n. 20554) e viene qui condiviso e ribadito.

Pertanto, anche da questo punto di vista, la contestata omessa trascrizione non risulta nella specie rilevante, visto che quelle richiamate nel ricorso sono norme di contratti collettivi nazionali del settore pubblico.

Per completezza, deve anche sottolineata l’ultroneità del riferimento a Cass. 22 luglio 2016, n. 15146 – contenuto nella memoria depositata dl contro ricorrente ex art. 378 c.p.c. – perchè nel caso esaminato dalla suindicata decisione non erano stati correttamente riportati una deliberazione adottata da una Giunta Regionale e un decreto Dirigenziale, che sono atti per i quali vale l’ordinario regime prevedente l’assolvimento del duplice onere di cui all’art. 366 c.p.c., n. 6, e all’art. 369 c.p.c., n. 4, diversamente da quanto accade per i CCNL del settore pubblico, per quel che si è detto.

1.3. Quanto, infine, alla denunciata prolissità del ricorso va osservato che, pur essendovi alcune ripetizioni e pur potendo essere sicuramente più sintetica la complessiva esposizione dei fatti e delle censure, tuttavia nel rispetto dei principi del giusto processo di cui all’art. 111 Cost., comma 2, e in coerenza con l’art. 6 CEDU – portano ad attribuire una maggiore rilevanza allo scopo del processo, costituito dalla tendente finalizzazione ad una decisione di merito (vedi, per tutte: Cass. 1 agosto 2013, n. 18410) – nella specie si tratta di vizi superabili perchè non impediscono la piena comprensione dei motivi e quindi non comportano l’inammissibilità del ricorso per inosservanza del requisito di cui all’art. 366 c.p.c., n. 3, (arg. ex: Cass. SU 11 aprile 2012, n. 5698; Cass. 22 ottobre 2012, n. 18137; Cass. 29 luglio 2014, n. 17178; Cass. 18 settembre 2015, n. 18363).

2 – Sintesi dei motivi di ricorso.

2. Il ricorso dell’INPS è articolato in due motivi.

2.1. – Con il primo motivo si denuncia, ex art. 360 c.p.c., n. 3, violazione e falsa applicazione delle seguenti disposizioni: a) D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 55 – bis, introdotto dall’art. 69 del D.Lgs. n. 150 del 2009; 2) art. 16, comma 8, del CCNL per il Personale degli Enti pubblici non economici 2002/2005, come modificato dall’art. 29 del successivo CCNL del medesimo Comparto 2006/2009; c) D.P.R. 16 aprile 2013, n. 62, artt. 3 e 4, il tutto in relazione alla violazione dei principi di cui all’art. 111 Cost. (e, in particolare, al comma settimo di tale articolo), in una lettura integrata con l’art. 6 CEDU.

Si contesta la statuizione della Corte d’appello secondo cui l’Istituto sarebbe decaduto dal potere disciplinare perchè ha adottato il licenziamento in oggetto il 7 febbraio 2014, cioè 124 giorni dopo la data di “prima acquisizione della notizia dell’infrazione”, che la Corte partenopea identifica nel 6 ottobre 2013, data di ricezione da parte dell’INPS della richiesta del P.M. di convalida dell’arresto del C., con contestuale richiesta di applicazione della misura cautelare ex art. 291 c.p.p., nonchè dell’ordinanza di convalida di arresto del GIP con applicazione degli arresti domiciliari.

Si precisa che gli atti ricevuti in quella data dall’Istituto, con un fax composto di 3 pagine, erano solo gli “stralci” rispettivamente: a) della richiesta in data 5 ottobre 2013 del P.M. di convalida dell’arresto, con contestuale richiesta di applicazione della misura cautelare ex art. 291 c.p.p. (che, nel testo completo, è di 17 pagine); b) dell’ordinanza in data 6 ottobre 2013 di convalida di arresto del GIP con applicazione degli arresti domiciliari (che nel testo integrale ha una lunghezza pari a 8 pagine).

I due suddetti documenti sono stati acquisiti dall’INPS in copia integrale soltanto in data 8 novembre 2013 e solo dalla copia integrale dell’ordinanza del GIP è emerso “un quadro probatorio granitico a carico dell’indagato” che ha posto l’INPS in condizione di predisporre una precisa contestazione disciplinare, diversamente dagli stralci di atti trasmessi via fax il 6 ottobre 2013.

Pertanto, diversamente da quel che afferma la Corte territoriale, il termine di 120 giorni di cui all’art. 55 – bis cit. non poteva che decorrere dall’8 novembre 2013, giorno in cui gli Ispettori dell’INPS hanno consegnato all’Ufficio dei Provvedimenti Disciplinari una relazione contenente l’esito delle verifiche effettuate su incarico avuto dal Direttore Centrale delle Risorse Umane il 9 ottobre 2013, dopo la ricezione del suddetto fax con allegata copia integrale dei provvedimenti emessi nel giudizio penale dal GIP e dal P.M..

Di conseguenza è da escludere che si sia verificata la decadenza rilevata dalla Corte d’appello e questa interpretazione dell’art. 55 – bis cit. risulta conforme all’art. 97 Cost., come sottolineato anche dalla giurisprudenza di legittimità (Cass. 14 ottobre 2015, n. 14733).

2.2. Con il secondo motivo si denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4, violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., in riferimento alla violazione dei principi di cui all’art. 111 Cost. (e, in particolare al comma secondo di tale articolo), in una lettura integrata con l’art. 6 CEDU.

Si deduce che la Corte partenopea non avrebbe valutato che il giudice di primo grado nel reputare la ricezione da parte dell’INPS del fax in data 6 ottobre 2013 idonea a far decorrere il termine di durata del procedimento disciplinare cui di discute – ha commesso un travisamento delle prove, per non aver valutato che il contenuto delle tre pagine degli atti del procedimento penale ricevuto nella suddetta data era talmente scarno da escludere che tale ricezione potesse essere configurata, di per sè, come “acquisizione della notizia di infrazione” ai sensi dell’art. 55 – bis cit., data oltretutto l’autonomia del procedimento disciplinare da quello penale, riconosciuta anche nella sentenza impugnata.

3 – Esame delle censure

3. Il primo motivo del ricorso è fondato, per le ragioni di seguito esposte.

3.1. In base al D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 55 – bis, commi 1, 3 e 4:

– “1. Per le infrazioni di minore gravità, per le quali è prevista l’irrogazione di sanzioni superiori al rimprovero verbale ed inferiori alla sospensione dal servizio con privazione della retribuzione per più di dieci giorni, il procedimento disciplinare, se il responsabile della struttura ha qualifica dirigenziale, si svolge secondo le disposizioni del comma 2. Quando il responsabile della struttura non ha qualifica dirigenziale o comunque per le infrazioni punibili con sanzioni più gravi di quelle indicate nel primo periodo, il procedimento disciplinare si svolge secondo le disposizioni del comma 4. Alle infrazioni per le quali è previsto il rimprovero verbale si applica la disciplina stabilita dal contratto collettivo”.

“3. Il responsabile della struttura, se non ha qualifica dirigenziale ovvero se la sanzione da applicare è più grave di quelle di cui al comma 1, primo periodo, trasmette gli atti, entro cinque giorni dalla notizia del fatto, all’ufficio individuato ai sensi del comma 4, dandone contestuale comunicazione all’interessato”.

“4. Ciascuna amministrazione, secondo il proprio ordinamento, individua l’ufficio competente per i procedimenti disciplinari ai sensi del comma 1, secondo periodo. Il predetto ufficio contesta l’addebito al dipendente, lo convoca per il contraddittorio a sua difesa, istruisce e conclude il procedimento secondo quanto previsto nel comma 2, ma, se la sanzione da applicare è più grave di quelle di cui al comma 1, primo periodo, con applicazione di termini pari al doppio di quelli ivi stabiliti (“entro sessanta giorni dalla contestazione dell’addebito” n.d.r.) e salva l’eventuale sospensione ai sensi dell’art. 55 – ter. Il termine per la contestazione dell’addebito decorre dalla data di ricezione degli atti trasmessi ai sensi del comma 3 ovvero dalla data nella quale l’ufficio ha altrimenti acquisito notizia dell’infrazione, mentre la decorrenza del termine per la conclusione del procedimento resta comunque fissata alla data di prima acquisizione della notizia dell’infrazione, anche se avvenuta da parte del responsabile della struttura in cui il dipendente lavora. La violazione dei termini di cui al presente comma comporta, per l’amministrazione, la decadenza dall’azione disciplinare ovvero, per il dipendente, dall’esercizio del diritto di difesa”.

3.2. In prossimità dell’entrata in vigore del D.Lgs. 27 ottobre 2009, n. 150, – il cui art. 69 ha inserito nel D.Lgs. n. 165 del 2001, gli artt. da 55 – bis a 55 – novies, con decorrenza dal 15.11.2009 – il Ministro la Pubblica Amministrazione e l’Innovazione, con Circolare n. 14/2010 ha chiarito alcuni problemi interpretativi e applicativi sorti con riguardo alla suindicata nuova disciplina in tema di infrazioni e sanzioni disciplinari e procedimento disciplinare.

In tale Circolare – consultabile d’ufficio dal Giudice per desumerne elementi volti a chiarire la posizione espressa dall’Amministrazione su un dato oggetto, il che è particolarmente utile in caso di legislazione delegata quale è quella che viene qui in considerazione (Cass. 12 gennaio 2016, n. 280; Cass. 14 dicembre 2012, n. 23042; Cass. 27 gennaio 2014, n. 1577; Cass. 6 aprile 2011, n. 7889) – veniva, fra l’altro, precisato che con la riforma – che ha eliminato la previsione espressa secondo cui l’ufficio competente deve dare avvio al procedimento disciplinare a seguito della “segnalazione del capo della struttura in cui il dipendente lavora” – “risulta chiaro che l’ufficio si attiva non solo nei casi in cui pervenga tale segnalazione, ma anche nelle ipotesi in cui lo stesso abbia altrimenti acquisito notizia dell’infrazione. Ciò si evince dalla seconda parte del medesimo comma, in cui si ancora la decorrenza del termine per la contestazione dell’addebito alla ricezione degli atti o dall’acquisizione aliunde della notizia dell’infrazione”, ma era anche specificato che l’obbligo dell’UPD di iniziare il procedimento sulla base dell’istruttoria – e, quindi, la decorrenza del relativo termine finale – presuppone che tale Ufficio sia stato “investito correttamente della procedura da parte del dirigente”.

Nella stessa Circolare si poneva l’accento anche sulla modificazione del rapporto tra procedimento disciplinare e procedimento penale prevista dal D.Lgs. n. 150 del 2009, avendo l’art. 55 – ter cit. stabilito, come regola generale, che il procedimento disciplinare che abbia ad oggetto, in tutto o in parte, fatti in relazione ai quali procede l’autorità giudiziaria, è proseguito e concluso anche in pendenza di procedimento penale. “Questa regola è inderogabile nel caso di esercizio dell’azione disciplinare per infrazioni di minor gravità e, pertanto, in tali ipotesi non è ammessa la sospensione del procedimento. La sospensione è invece ammessa per le infrazioni di maggior gravità, nei casi di particolare complessità dell’accertamento del fatto addebitato al dipendente e quando, all’esito dell’istruttoria, non si disponga di elementi sufficienti a motivare l’irrogazione della sanzione. Secondo quanto previsto al comma 4 del medesimo articolo, il procedimento è ripreso entro 60 giorni dalla comunicazione della sentenza all’Amministrazione di appartenenza del lavoratore ed è concluso entro 180 giorni dalla ripresa”.

3.3. Già dai suddetti brani della Circolare n. 14/2010 risulta evidente come solo l’acquisizione corretta della “notizia dell’infrazione” da parte della P.A. datrice di lavoro sia, per il legislatore, idonea a far decorrere il termine perentorio per la conclusione del procedimento disciplinare.

Tale correttezza va riferita non solo alle modalità con le quali viene effettuata l’acquisizione medesima – nel senso che, per la decorrenza del termine in oggetto, rileva la data di ricezione degli atti da parte dell’Ufficio competente investito del procedimento da parte del relativo dirigente – ma anche al fatto che deve trattarsi di una “notizia di infrazione” di contenuto tale da consentire all’Ufficio di dare, in modo corretto, l’avvio al procedimento disciplinare, nelle sue tre fasi fondamentali della contestazione dell’addebito, dell’istruttoria e dell’adozione della sanzione.

La contestazione degli addebiti – con la quale si instaura il contraddittorio con l’incolpato – deve essere fatta in tempi ravvicinati, sulla base di un’attenta valutazione sia della gravità dei fatti addebitati al dipendente – in relazione alla portata oggettiva e soggettiva dei medesimi, alle circostanze nelle quali sono stati commessi ed all’intensità dell’elemento intenzionale – sia dell’assenza o meno di precedenti illeciti commessi dal dipendente nonchè della sua posizione nell’ambito dell’ambiente di lavoro. Si deve quindi trattare di un atto che abbia i requisiti dell’immediatezza, della specificità e dell’immutabilità, pur non dovendo obbedire ai rigidi canoni che presiedono alla formulazione dell’accusa nel processo penale, data la diversità sostanziale e formale dei principi che governano la responsabilità disciplinare (nella specie: dei pubblici dipendenti) rispetto a quelli propri della responsabilità penale.

3.4. In merito a questa disciplina, nella giurisprudenza di questa Corte si è da tempo affermato l’orientamento secondo cui la scansione del procedimento disciplinare – e la decadenza dall’azione disciplinare, prevista come sanzione per il mancato rispetto del termine entro il quale l’iter deve concludersi – richiede necessariamente un’individuazione certa ed oggettiva del “dies a quo”, che presuppone che tale termine non sia agganciato ad una qualsiasi notizia pervenuta a qualunque ufficio o persona dell’Amministrazione, magari anche privi di veste formale e di protocollazione (vedi, per tutte: Cass. 14 ottobre 2015, n. 20733; Cass. 10 agosto 2016, n. 16900).

Diversamente verrebbe contraddetta la “ratio” della fissazione di un termine finale entro cui concludere il procedimento che risponde a molteplici esigenze: quella di far sì che il dipendente non vi resti assoggettato per un tempo indefinito, ma anche quella di consentire all’Amministrazione datrice di lavoro una reazione congrua ed esemplare, anche per gli altri lavoratori. Il che significa che le stesse esigenze di certezza che sono alla base della tutela del dipendente, vanno rispettate, per irrinunciabile simmetria, anche con riguardo alla posizione dell’Amministrazione.

Ciò non può avvenire se non individuando in modo certo ed oggettivamente verificabile il “dies a quo” da cui far decorrere il termine in discorso, tanto più che il valore costituzionale di regole che assicurino il buon andamento della pubblica amministrazione (art. 97 Cost.) risulterebbe vulnerato da un’interpretazione che lasciasse nel vago il “dies a quo” del procedimento, rimettendolo, in ipotesi, anche a notizie informali o comunque pervenute ad uffici periferici di amministrazioni di grandi dimensioni.

3.5. Al richiamato indirizzo il Collegio ritiene di dare continuità, aggiungendo la considerazione che quella indicata è l’unica interpretazione della normativa in oggetto ad essere conforme al principio del giusto procedimento – cui deve conformarsi l’azione della P:A. anche in sede di procedimento disciplinare a carico dei dipendenti – che è posto a garanzia dei principi di pubblicità e di trasparenza dell’azione della P.A. ai quali “va riconosciuto il valore di principi generali, diretti ad attuare sia i canoni costituzionali di imparzialità e buon andamento dell’amministrazione (art. 97 Cost., comma 1), sia la tutela di altri interessi costituzionalmente protetti, come il diritto di difesa nei confronti della stessa amministrazione (artt. 24 e 113 Cost.)”, nonchè la tendenza ad indirizzare la suddetta azione al rispetto dei principi di economicità ed efficacia, grazie anche al conseguente deflazionamento del contenzioso derivante dall’emanazione del provvedimento finale (nella specie: di irrogazione della sanzione) sulla base di una corretta e partecipata acquisizione dei fatti rilevanti (vedi, per tutte: Corte costituzionale, sentenza n. 310 del 2010).

Va anche soggiunto che il rispetto dei suindicati principi comporta altresì, per quel che qui rileva, che il momento della conoscenza della notizia dei fatti disciplinarmente rilevanti per potere essere considerato come valido “dies a quo” del termine previsto per la conclusione del procedimento disciplinare ai sensi dell’art. 55 – bis cit., debba essere correlato ad una notizia di infrazione che sia di contenuto tale da consentire di pervenire in tempi contenuti ad una formulazione dell’atto di contestazione adeguata al comportamento addebitato al dipendente, soprattutto nell’ipotesi in cui il procedimento disciplinare abbia ad oggetto, in tutto o in parte, fatti in relazione ai quali sta procedendo l’autorità giudiziaria penale, per i quali sarebbe anche ammessa la sospensione del procedimento disciplinare e che, comunque, ai fini disciplinari, vanno valutati in modo autonomo (vedi anche: il D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 55 – ter, nonchè la L. 27 marzo 2001, n. 97, entrambi in materia di rapporti fra procedimento disciplinare e procedimento penale dei pubblici dipendenti).

3.6. Nella specie ci troviamo in presenza proprio di tale ultima evenienza in quanto all’instaurazione del procedimento disciplinare di cui si discute si è giunti dopo l’arresto in flagranza per il reato di concussione del C., all’epoca geometra in servizio presso l’INPDAP con l’incarico di effettuare perizie immobiliari per la concessione di mutui ipotecari.

Di tale arresto è stata data immediata informazione all’Amministrazione datrice di lavoro che è stata anche informata, con un fax del 6 ottobre 2013 composto in tutto di 3 pagine, della richiesta del P.M. di convalida dell’arresto del dipendente, con contestuale richiesta di applicazione della misura cautelare ex art. 291 c.p.p., nonchè dell’ordinanza del GIP di convalida di arresto, con applicazione degli arresti domiciliari.

3.7. Ne consegue che, in applicazione dei suindicati principi, nel caso di specie – in cui la ricostruzione dei fatti è pacifica – il “dies a quo” del termine perentorio stabilito (120 gg.) per la conclusione del procedimento disciplinare non poteva certamente decorrere dal 6 ottobre 2013, in quanto con il fax trasmesso in tale data è stata soltanto data notizia della pendenza del procedimento penale, ma non sono stati forniti gli elementi adeguati per dare inizio al procedimento disciplinare, visto che gli atti trasmessi rappresentavano meri stralci – di poche pagine – sia della richiesta del P.M. di convalida dell’arresto del dipendente sia dell’ordinanza del GIP di convalida di arresto, con applicazione degli arresti domiciliari.

I suddetti provvedimenti in testo integrale, rispettivamente pari a 17 pagine per il primo e ad 8 pagine per l’ordinanza del GIP – entrambi regolarmente riprodotti in ricorso – sono stati acquisiti dall’INPS solo in data 8 novembre 2013.

E’ evidente che soltanto la data di tale ultima acquisizione può assumere rilievo ai fini della decorrenza del termine di cui si tratta, senza che possa avere una qualche influenza in contrario la circostanza – sottolineata dalla Corte territoriale – secondo cui la richiesta di convalida dell’arresto del P.M. ricevuta dalla P.A. il 6 ottobre 2013 conteneva il capo di imputazione.

Infatti, la profonda diversità, formale e sostanziale, del procedimento disciplinare rispetto al procedimento penale comporta che, in sede disciplinare, potesse, ad esempio, avere rilevo, in bonis, l’assenza di precedenti addebiti disciplinari a carico del C. e che, reciprocamente, dovesse essere necessario verificare il comportamento del dipendente con riguardo non soltanto alla perizia per la quale vi era stato l’arresto in flagranza per concussione, ma con riferimento a tutte le numerose (più di quaranta) perizie del valore di immobili che il geometra C. aveva curato per pratiche di concessione di mutui ipotecari presso varie sedi provinciali dell’Istituto.

3.8. In altri termini, è da escludere che sulla sola base degli stralci di documenti ricevut via fax l’Amministrazione – pure così informata dell’arresto e del capo di imputazione – potesse essere in grado di dare l’avvio al procedimento disciplinare in modo corretto – e, quindi, in conformità con il principio del giusto procedimento come inteso dalla Corte costituzionale – e cioè che fosse stata posta in condizione di avviare la formulazione di una contestazione specifica degli addebiti, tale da consentire una valida instaurazione del contraddittorio, la quale presuppone il pieno ed effettivo esercizio del diritto di difesa dell’incolpato, esercizio che, a sua volta, comporta l’immodificabilità dei fatti contestati, nel senso che essi non possono essere mutati o integrati successivamente all’atto di contestazione, tanto che, per eventuali fatti ulteriori e diversi emersi nel corso dell’istruttoria disciplinare, è necessaria una nuova e distinta contestazione, a meno che si tratti di circostanze confermative dei fatti già contestati. Ma tale nuova contestazione deve, a sua volta, essere comunque tempestiva.

Ne consegue che – in accoglimento del primo motivo di ricorso – la conclusione dell’iter disciplinare, avutasi con il licenziamento del 7 febbraio 2014 è da considerare tempestiva, in quanto la decorrenza del termine di centoventi giorni in argomento va fissata all’8 novembre 2013 e non al 6 ottobre 2013, come affermato dalla Corte partenopea.

3.9. All’accoglimento del primo motivo consegue l’assorbimento del secondo motivo.

4. – Conclusioni.

4. – In sintesi, il primo motivo del ricorso deve essere accolto, per le ragioni dianzi esposte, e il secondo motivo va dichiarato assorbito.

La sentenza impugnata deve essere, quindi, cassata, in relazione al motivo accolto, con rinvio, anche per le spese del presente giudizio di cassazione, alla Corte d’appello di Napoli, in diversa composizione, la quale si atterrà, nell’ulteriore esame del merito della controversia, a tutti i principi su affermati e, quindi, al seguente:

“in tema di procedimento disciplinare nel rapporto di pubblico impiego contrattualizzato, ai fini della decorrenza del termine perentorio previsto per la conclusione del procedimento disciplinare dalla acquisizione della notizia dell’infrazione disciplinare (D.Lgs. n. 165 del 2001, ex art. 55 – bis, comma 4), in conformità con il principio del giusto procedimento, come inteso dalla Corte costituzionale (sentenza n. 310 del 2010), assume rilievo esclusivamente il momento in cui tale acquisizione – effettuata da parte dell’Ufficio competente regolarmente investito del procedimento – riguardi una “notizia di infrazione” di contenuto tale da consentire all’Ufficio di dare, in modo corretto, l’avvio al procedimento disciplinare, nelle sue tre fasi fondamentali della contestazione dell’addebito, dell’istruttoria e dell’adozione della sanzione. Ciò vale anche nell’ipotesi in cui il procedimento disciplinare abbia ad oggetto, in tutto o in parte, fatti in relazione ai quali sta procedendo l’autorità giudiziaria penale, per i quali sarebbe anche ammessa la sospensione del procedimento disciplinare e che, comunque, ai fini disciplinari, vanno valutati in modo autonomo e possono portare anche al licenziamento del dipendente”.

PQM

La Corte accoglie il primo motivo del ricorso e dichiara assorbito il secondo. Cassa la sentenza impugnata, in relazione al motivo accolto, e rinvia, anche per le spese del presente giudizio di cassazione alla Corte d’appello di Napoli, in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione lavoro, il 24 gennaio 2017.

Depositato in Cancelleria il 20 marzo 2017

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