Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7134 del 04/03/2022

Cassazione civile sez. I, 04/03/2022, (ud. 21/01/2022, dep. 04/03/2022), n.7134

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ACIERNO Maria – rel. Presidente –

Dott. VANNUCCI Marco – Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

Dott. CAMPESE Eduardo – Consigliere –

Dott. AMATORE Roberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 10317/2020 proposto da:

V.E., rappresentata e difesa dall’Avv. Andrea Maestri, del

foro di Ravenna;

– ricorrente –

contro

Ministero Dell’interno, rappresentato e difeso dall’Avvocatura

generale dello Stato, elettivamente domiciliata in via dei

portoghesi, 12 Roma;

– resistente –

avverso il decreto del TRIBUNALE di MILANO, depositata il 14/02/2020;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

21/01/2022 da Dott. ACIERNO MARIA;

udito l’Avvocato della parte ricorrente e l’Avvocato dello Stato;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

MUCCI.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Il Tribunale di Milano, con decreto depositato in data 14/02/2020, ha respinto la richiesta della cittadina straniera V.E., originaria della (OMISSIS), a seguito di diniego da parte della Commissione territoriale competente del riconoscimento in via principale del riconoscimento dello status di rifugiato D.Lgs. n. 251 del 2007, ex artt. 7 e 8, nonché, in subordine, della protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, ex artt. 14 e segg., e, in ulteriore subordine, di quella umanitaria D.Lgs. n. 286 del 1998, ex art. 5, comma 6. A sostegno della decisione ha affermato: l’insussistenza delle condizioni previste per il riconoscimento del diritto al rifugio, essendo stata esclusa l’attendibilità del racconto della richiedente in ordine all’esistenza dei presupposti di persecuzione ovvero di gravi timori, in caso di rientro nel Paese d’origine; l’insussistenza delle condizioni previste per la concessione della protezione sussidiaria, non emergendo che il richiedente potesse essere sottoposto a pena capitale o a trattamenti inumani o degradanti né che potesse subire un grave danno alla propria integrità personale; infine, la carenza delle condizioni per il rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari, non sussistendo da un lato situazioni di significativo inserimento sociale e culturale nel territorio italiano e, dall’altro situazioni di peculiare vulnerabilità all’esito di un eventuale rimpatrio.

2. Avverso il suddetto decreto il cittadino straniero ha proposto ricorso per Cassazione nei confronti del Ministero dell’Interno che, rimasto intimato, ha tuttavia richiesto e partecipato alla discussione orale.

3. Con ordinanza interlocutoria 2319/2021 la Sesta Sezione civile ha disposto la trattazione della causa in pubblica udienza dinanzi alla Prima Sezione civile al fine di chiarire questioni di rilievo nomofilattico inerenti al presente giudizio. In particolare il Collegio, condividendo gli orientamenti di costante giurisprudenza secondo cui, nell’ambito di una domanda di protezione internazionale promossa da una cittadina straniera presunta vittima di tratta a scopo sessuale, la mancanza di una esplicita ammissione da parte della stessa non sia circostanza idonea a sminuire la portata dimostrativa degli indici sintomatici previsti dalle Linee Guida dell’UNHCR eventualmente sussistenti al riguardo, ha ritenuto necessario verificare come siffatti principi possano coniugarsi da un lato con il principio dispositivo e dall’altro con il giudizio di non credibilità espresso dal giudice di merito.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

4. Con due motivi di ricorso la cittadina straniera lamenta la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, avendo il Tribunale negato la protezione sussidiaria pur in presenza di una situazione di violenza generalizzata in tutto il Paese d’origine, nonché la violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, in ragione della sussistenza dei presupposti richiesti ex lege per il rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari.

5. Occorre prioritariamente rilevare l’inammissibilità del ricorso in esame, in quanto risulta viziata la procura all’uopo conferita. Il D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis, comma 13, nella parte in cui prevede che “la procura alla liti per la proposizione del ricorso per Cassazione deve essere conferita, a pena di inammissibilità del ricorso, in data successiva alla comunicazione del decreto impugnato; a tal fine il difensore certifica la data di rilascio in suo favore della procura medesima” richiede, quale elemento di specialità rispetto alle ordinarie ipotesi di rilascio della procura speciale ex artt. 83 e 365 c.p.c., la posteriorità della data di rilascio rispetto alla comunicazione del provvedimento impugnato, che deve essere opportunamente certificata e la cui carenza determina l’inammissibilità del ricorso. Il difensore, tuttavia, potrà anche certificare con un’unica sottoscrizione sia la data successiva alla comunicazione sia l’autenticità della firma del conferente (Sent. Cass. S.U. n. 15177/2021). Nel caso di specie, la procura speciale rilasciata al difensore in calce al ricorso su foglio congiunto indica solo la data di rilascio (16 marzo 2020) successiva alla comunicazione del decreto del Tribunale di Milano, ma non contiene alcuna certificazione, recando soltanto l’autenticazione della firma con la formula “per autentica”. Va aggiunto altresì che la Corte costituzionale, da ultimo, con Sent. n. 13/2022, ha dichiarato non fondate le questioni di legittimità costituzionale del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis, comma 13, sesto periodo, sollevate con riferimento agli artt. 3,10,24,111 Cost. e art. 117 Cost., comma 1, agli artt. 46,18 e art. 19 par. 2, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea (CDFUE), nonché agli artt. 6, 13 e 14 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), sollevate dalla Corte di Cassazione, Terza Sezione civile, con l’ordinanza del 23/06/2021.

Il dedotto rilievo ha carattere assorbente e pertanto rende superfluo l’esame delle doglianze presentate.

Le spese processuali seguono il principio della soccombenza e si liquidano in favore dell’Avvocatura dello Stato limitatamente a quelle alla partecipazione alla discussione orale.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese processuali in favore del Ministero dell’Interno, che liquida in Euro 1.500 per compensi oltre accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13 comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 21 gennaio 2022.

Depositato in Cancelleria il 4 marzo 2022

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