Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7132 del 24/03/2010

Cassazione civile sez. I, 24/03/2010, (ud. 17/12/2009, dep. 24/03/2010), n.7132

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SALME’ Giuseppe – Presidente –

Dott. ZANICHELLI Vittorio – rel. Consigliere –

Dott. SCHIRO’ Stefano – Consigliere –

Dott. SALVATO Luigi – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso proposto da:

T.I., rappresentato e difeso dall’Avv. FERRANTE Mariano,

domiciliato per legge presso la cancelleria della Corte di cassazione

in Roma;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA;

– intimato –

per la cassazione del decreto della Corte d’appello di Roma

depositato il 16 gennaio 2007;

Udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

giorno 17 dicembre 2009 dal Consigliere relatore Dott. Zanichelli

Vittorio.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

T.I. ricorre per Cassazione nei confronti del decreto in epigrafe della Corte d’appello che ha accolto in parte il suo ricorso con il quale e’ stata proposta domanda di riconoscimento dell’equa riparazione per violazione dei termini di ragionevole durata del processo svoltosi in primo grado avanti al Tribunale di Nola con ricorso depositato il 18 dicembre 1998 e deciso con sentenza depositata in data 8 marzo 2001, impugnata con ricorso depositato il 12 aprile 2001 definito con sentenza depositata il 13 aprile 2004.

L’intimata Amministrazione non ha proposto difese.

La causa e’ stata assegnata alla Camera di consiglio in esito al deposito della relazione redatta dal Consigliere Dott. Vittorio Zanichelli con la quale sono stati ravvisati i presupposti di cui all’art. 375 c.p.c..

Il P.M. ha depositato conclusioni scritte.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Il primo motivo di ricorso con cui si deduce la violazione dell’art. 6, par. 1, della Convenzione Europea dei diritti dell’uomo e della L. n. 89 del 2001 e’ inammissibile per inidoneita’ del quesito. Posto invero che “in quesito di diritto costituisce il punto di congiunzione tra la risoluzione del caso specifico e l’enunciazione del principio giuridico generale, risultando altrimenti inadeguata e quindi non ammissibile l’investitura stessa del giudice di legittimita’: ne deriva che la parte deve evidenziare sia il nesso tra la fattispecie ed il principio di diritto che si chiede venga affermato, sia, per ciascun motivo di ricorso il principio, diverso da quello posto alla base del provvedimento impugnato, la cui auspicata applicazione potrebbe condurre ad una decisione di segno diverso (Cassazione civile, sez. 3^, 09 maggio 2008, n. 11535) al richiamato canone non risponde il quesito proposto che si limita ad enunciare un principio generale relativo ai rapporti tra normativa nazionale e Convenzione senza che risulti l’attinenza con la concreta fattispecie.

Il secondo e il terzo motivo, che possono essere trattati congiuntamente, con i quali si denuncia violazione di legge e difetto di motivazione deducendosi che la Corte d’Appello non avrebbe correttamente determinato la durata del processo sulla quale parametrare il danno in quanto ha ritenuto di dover considerare solo il tempo eccedente la ragionevole durata mentre, una volta constato che quest’ultima era stata superata, avrebbe dovuto rapportare l’indennizzo all’intera durata del processo in ossequio alla giurisprudenza della Corte Europea sono manifestamente infondati alla luce del diverso principio enunciato dalla Corte secondo cui “in tema di diritto ad un’equa riparazione in caso di violazione del termine di durata ragionevole del processo, ai sensi della L. 24 marzo 2001, n. 89, l’indennizzo non deve essere correlato alla durata dell’intero processo, bensi’ solo al segmento temporale eccedente la durata ragionevole della vicenda processuale presupposta, che risulti in punto di fatto ingiustificato o irragionevole, in base a quanto stabilito dalla L. 24 marzo 2001, n. 89, art. 2, comma 3, conformemente al principio enunciato dall’ari. 111 Cost., che prevede che il giusto processo abbia comunque una durata connaturata alle sue caratteristiche concrete e peculiari, seppure contenuta entro il limite della ragionevolezza. Questo parametro di calcolo, che non tiene conto del periodo di durata “ordinario” e “ragionevole”, non esclude la complessiva attitudine della L. n. 89 del 2001 a garantire un serio ristoro per la lesione del diritto in questione, come riconosciuto dalla stessa Corte Europea nella sentenza 27 marzo 2003, resa sui ricorso n. 36813/97, e non si pone, quindi, in contrasto con l’art. 6, par. 1, della Convezione Europea dei diritti dell’uomo (Sez. 1, Ordinanza n. 3716 del 14/02/2008).

Poiche’, nella fattispecie, il giudice a quo ha ritenuto ragionevole per il primo grado una durata di due anni e mezzo e di due anni per l’appello, la statuizione sul punto non merita censura, posto che “Secondo i parametri indicati dalla Corte Europea dei diritti dell’uomo, ai quali il giudice nazionale e’ tenuto a conformarsi nell’applicazione della L. 24 marzo 2001, n. 89, art. 2, la durata ragionevole del processo (nella specie: dinanzi alla Corte dei conti in materia di pensione) e’ di tre anni in primo grado e di due anni in secondo grado (Cassazione civile, sez. 1^, 3 gennaio 2008, n. 14), non essendo di per se’ sola, in difetto di altri elementi attinenti alla situazione patrimoniale della parte, la natura della controversia (nella specie: controversia di lavoro) elemento idoneo a giustificare lo scostamento dalla media.

Il quarto, il quinto, il sesto e il decimo motivo con i quali si deducono violazione della L. n. 89 del 2001 e della Convenzione nonche’ difetto di motivazione in relazione alla quantificazione del danno non patrimoniale che il giudice del merito ha liquidato in Euro 500,00 per l’anno eccedente il periodo di due anni ritenuto ragionevole per il giudizio di appello, e che per la loro connessione possono essere trattati congiuntamente, sono manifestamente fondati.

Le Sezioni Unite di questa Corte hanno chiarito come la valutazione dell’indennizzo per danno non patrimoniale resti soggetta – a fronte dello specifico rinvio contenuto nella L. n. 89 del 2001, art. 2 – all’art. 6 della Convenzione, nell’interpretazione giurisprudenziale resa dalla Corte di Strasburgo, e, dunque, debba conformarsi, per quanto possibile, alle liquidazioni effettuate in casi similari dal Giudice Europeo, sia pure in senso sostanziale e non meramente formalistico, con la facolta’ di apportare le deroghe che siano suggerite dalla singola vicenda, purche’ in misura ragionevole (Cass., Sez. Un., 26 gennaio 2004, n. 1340); in particolare, detta Corte, con decisioni adottate a carico dell’Italia il 10 novembre 2004 (v., in particolare, le pronunce sul ricorso n. 62361/01 proposto da Riccardi Pizzati e sul ricorso n. 64897/01 Zullo), ha individuato nell’importo compreso fra Euro 1.000,00 ed Euro 1.500,00 per anno la base di partenza per la quantificazione dell’indennizzo, ferma restando la possibilita’ di discostarsi da tali limiti, minimo e massimo, in relazione alla particolarita’ della fattispecie, quali l’entita’ della posta in gioco e il comportamento della parte istante (cfr., ex multis, Cass., Sez. 1^, 26 gennaio 2006, n. 1630).

Di tali principi non ha fatto corretto utilizzo il giudice del merito che ha fissato una cifra apprezzabilmente inferiore richiamandosi ad un generico criterio di equita’.

Con il settimo, l’ottavo e il nono motivo, che per la loro connessione possono essere trattati congiuntamente, si deduce violazione della Convenzione e della L. n. 89 del 2001 e difetto di motivazione, in relazione al mancato riconoscimento del bonus di Euro 2.000,00 per la particolare natura della controversia (lavoro e previdenza).

I motivi sono manifestamente infondati. Premesso che e’ principio gia’ affermato quello secondo cui “ai fini della liquidazione dell’indennizzo del danno non patrimoniale conseguente alla violazione del diritto alla ragionevole durata del processo, ai sensi della L. 24 marzo 2001, n. 89, non puo’ ravvisarsi un obbligo di diretta applicazione dell’orientamento della giurisprudenza della Corte Europea dei diritti dell’uomo, secondo cui va riconosciuta una somma forfetaria nel caso di violazione del termine nei giudizi aventi particolare importanza, fra cui anche la materia previdenziale; da tale principio, infatti, non puo’ derivare automaticamente che tutte le controversie di tal genere debbano considerarsi di particolare importanza, spettando al giudice del merito valutare se, in concreto, la causa previdenziale abbia avuto una particolare incidenza sulla componente non patrimoniale del danno, con una valutazione discrezionale che non implica un obbligo di motivazione specifica, essendo sufficiente, nel caso di diniego di tale attribuzione, una motivazione implicita” (Cassazione civile, sez. 1^, 14 marzo 2008, n. 6898), a tale enunciato si e’ attenuto il giudice del merito che, nel negare l’attribuzione della somma aggiuntiva richiesta, ha dato rilievo all’infondatezza della domanda, rigettata anche in primo grado, quale elemento indicatore dello scarso patema d’animo cha ha presumibilmente cagionato la pendenza del giudizio.

I motivi dall’undicesimo al quindicesimo con i quali si contesta la liquidazione delle spese del giudizio effettuata dalla Corte d’Appello sono assorbiti, dovendosi procedere ad una nuova statuizione sul punto.

Il sedicesimo motivo, che riproduce censure oggetto di altri motivi e’ assorbito.

I ricorso deve dunque essere accolto nei limiti di cui in motivazione. Non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto la causa puo’ essere decisa nel merito e pertanto, in applicazione della giurisprudenza della Corte (Sez. 1^, 14 ottobre 2009, n. 21840) a mente della quale l’importo dell’indennizzo puo’ essere ridotto ad una misura inferiore (Euro 750,00 per anno) a quella del parametro minimo indicato nella giurisprudenza della Corte Europea (che e’ pari a Euro 1.000,00 in ragione d’anno) per i primi tre anni di durata eccedente quella ritenuta ragionevole in considerazione del limitato patema d’animo che consegue all’iniziale modesto sforamento mentre per l’ulteriore periodo deve essere applicato il richiamato parametro, il Ministero della Giustizia deve essere condannata al pagamento di Euro 750,00 a titolo di equo indennizzo per il periodo di un anno di irragionevole ritardo.

Tenuto conto dell’accoglimento solo parziale del ricorso, le spese del giudizio di legittimita’ possono essere compensata per un mezzo e poste a carico per la differenza dell’Amministrazione resistente che deve essere condannata altresi’ al rimborso di quelle del giudizio di merito.

P.Q.M.

LA CORTE Accoglie il ricorso nei limiti di cui in motivazione; cassa in parte qua il decreto impugnato e, decidendo nel merito, condanna il Ministero della Giustizia al pagamento in favore del ricorrente della somma di Euro 750,00, oltre interessi nella misura legale dalla data della domanda, nonche’ alla rifusione delle spese del giudizio di merito che liquida in complessivi Euro 825,00, di cui Euro 280,00 per diritti, Euro 445,00 per onorari e Euro 100,00 per spese, oltre spese generali e accessori di legge; compensa per un mezzo le spese del giudizio di legittimita’ e condanna l’Amministrazione alla rifusione in favore del ricorrente del 50% delle spese che, per l’intero, liquida in complessivi Euro 550,00, di cui Euro 450,00 per onorari, oltre spese generali e accessori di legge; spese distratte in favore del difensore antistatario.

Così deciso in Roma, il 17 dicembre 2009.

Depositato in Cancelleria il 24 marzo 2010

 

 

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