Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 713 del 15/01/2014


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Civile Sent. Sez. 2 Num. 713 Anno 2014
Presidente: GOLDONI UMBERTO
Relatore: BIANCHINI BRUNO

SENTENZA
Sui ricorsi iscritti ai nn. r.g. 7697/08 e 11448/08 proposti da:

-S.r.l. ARCHINGEO – società di ingegneria e geologia – (p. IVA: 00902250729)
in persona del legale rappresentante pro tempore arch. Benedetto Brattoli; rappresentata e
difesa dall’avv. Giuseppe de Benedictis ed elettivamente domiciliata presso lo studio
dell’avv. Nicola Adragna in Roma, via Lucullo n.3 , giusta procura a margine del ricorso
Ricorrente nel proc n. 7697108 e controricorrente nel proc n. 11448108

Contro
– S.p.a. SEPI — Studi e Progetti di Informatica — ( p.IVA: 03459520726)
in persona dell’amministratore unico e legale rappresentante pro tempore dr. Tommaso
Ardillo; rappresentata e difesa dall’avv. Mauro Gadaleta, come da procura in calce al
controricorso contenente ricorso incidentale; elettivamente domiciliata in Roma, via
Nizza n. 92, Palazzo Tettamanti, presso lo studio dell’avv. Cosimo Damiano Fabio
Mastrorosa
– Controricorrente e ricorrente incidentale ( proc 11448108)

contro la sentenza n. 324/2007 della Corte di Appello di Bari, pubblicata il 23

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Data pubblicazione: 15/01/2014

marzo 2007 e notificata il 21 getmain 2008

Udita la relazione della causa svolta nell’udienza pubblica del 5 dicembre 2013 dal
Consigliere Dott. Bruno Bianchini;
)1c. Ctl-~2,L.cAr.

Udito l’avv. De-B. e ;e4.&.., con delega dell’avv. Adr-agga , per la ricorrente, che ha

avversario;

Udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.
Sergio Del Core, che ha concluso: rigetto del ricorso principale ed accoglimento del
primo motivo del ricorso incidentale, assorbito il secondo; in subordine, rimettersi gli
atti al Primo Presidente per l’assegnazione alle Sezioni Unite , in caso di ritenuta non
proponibilità in grado di appello della domanda di ingiustificato arricchimento.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1

La srl Archingeo , con atto notificato il 6 ottobre 1993, citò innanzi al Tribunale di

Trani la spa Sepi chiedendone la condanna al pagamento di lire 120.395.493, oltre
accessori e spese, esponendo : che essa attrice, società di ingegneria e geologia, aveva
stipulato il 7 dicembre 1987 con la convenuta un protocollo d’intesa a seguito del quale,
con successiva scrittura privata del 20 ottobre 1988, le era dalla medesima stata affidata
l’esecuzione di una serie di prestazioni aventi ad oggetto lo studio del sottosuolo del
Comune di Canosa di Puglia; che tale incarico era analogo a quello intercorso tra la Sepi
— quale appaltatrice — e la spa Società Italiana Condotte D’Acqua per il quale la predetta
appaltante aveva riconosciuto un corrispettivo pattuito di lire 1.125.000.000, mentre tra
l’esponente e la Sepi era stato convenuto un corrispettivo di lire 650 milioni; che
l’originario oggetto del contratto tra Sepi e la Società Italiana Condotte d’Acqua era
stato ridotto, così da comportare una corrispondente riduzione del corrispettivo anche
tra essa Archingeo e la Sepi, venendo così accettato un minor compenso di lire
505.500.000; che l’accettazione di tale riduzione sarebbe però stata frutto di un errore di
calcolo perché su essa attrice si sarebbe riversata l’intera riduzione dell’originario
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2

concluso per l’accoglimento del proprio ricorso ed il rigetto di quello incidentale

compenso tra le altre parti , così che la posizione della Sepi ne sarebbe emersa
pressoché analoga a quella di partenza. Su tali presupposti la Archingeo chiese che le
venisse corrisposta la somma che riteneva originariamente dovuta, detratti gli acconti
già ricevuti.

riduzione del compenso era stata liberamente accettata dall’attrice; riconobbe di non
aver corrisposto , per l’intero, il corrispettivo concordato, adducendo una serie di
inadempimenti da parte della società attrice; in via riconvenzionale chiese che le venisse
restituito tutto il materiale ( archivi, elaborati finali; data-base ; diapositive, filmati)
elaborato in esecuzione del contratto, nonché la condanna della Archingeo al
risarcimento dei danni liquidati in lire 500 milioni; in sede di precisazione delle
conclusioni venne eccepita la nullità del contratto — qualificato come sub-appalto — per
violazione della disciplina antimafia che, appunto, vietava tale subcontratto nell’ambito
di opere commesse da un ente pubblico — nella fattispecie: il Comune di Canosa di
Puglia che aveva affidato alla società Condotte d’Acqua un incarico di più vaste
proporzioni ma in cui rientrava anche l’oggetto del contratto tra detta società e la Sepi e
tra questa e la Archingeo-

3 — L’adito Tribunale, disattesa la eccezione di nullità del contratto, accolse in parte le
domande della Archingeo, condannando la Sepi a pagare curo 30.818,27 oltre accessori
e spese; respinse altresì le domande riconvenzionali.

4 — Tale decisione venne impugnata dalla società Sepi e, in via incidentale, anche dalla
società Archingeo: la Corte di Appello di Bari, pronunziando sentenza n. 324/2007,
dichiarò la nullità del contratto intercorso tra dette parti e negò ingresso alla domanda
di ingiustificato arricchimento avanzata per la prima volta dalla Sepi, respingendo per il
resto i contrapposti gravami.

5 – La Corte distrettuale pervenne a tale decisione confermando innanzi tutto che tra le
due società era intervenuto un contratto di appalto di servizi e non già di opera

2 — La Sepi si costituì contrastando la fondatezza della domanda, osservando che la

professionale — come tale non rientrante nel divieto di cui all’art. 21 della legge
646/1982- stante la presenza e la prevalenza di elementi di organizzazione di persone e
mezzi rispetto alla mera elaborazione dei dati ( che riguardavano la ubicazione e la
mappatura delle cavità naturali nel sottosuolo di Canosa di Puglia); osservò poi il

personali e materiali di cui ciascuna era espressione ( la Archingeo in relazione alla
rilevazione dei dati sul territorio, alle prestazioni professionali, tecniche, ingeg-neristiche,
geologiche, speleologiche; la Sepi quanto all’attività di progettazione e realizzazione del

software applicativo, alla costruzione delle banche dati, alle elaborazioni necessarie alla
realizzazione del prodotto finale e comunque alle attività informatiche) per fornire alla
società originaria appaltatrice dal Comune di Canosa di Puglia, il risultato ultimo della
descrizione completa del sottosuolo comunale al fine di permetterne il risanamento:
concretizzatosi lo schema di subappalto, lo stesso sarebbe stato nullo per violazione di
una norma cogente di legge — l’art. 21 della legge 646/1982 citato -.

6 — Tale radicale invalidità avrebbe comportato la inidoneità del subappalto a costituire
il titolo di una domanda di adempimento — come tale da interpretarsi quella della
Archingeo , pur nella prospettiva di una rettifica del quantum debeatur,, in applicazione
dell’art. 1430 cod. civ. — come pure di quella di esecuzione di obblighi accessori ( relativi
alla restituzione di materiali elaborati in esecuzione dell’incarico) avanzata in via di
riconvenzione dalla Sepi; nuova a’ sensi dell’art. 345 cpc si sarebbe infine appalesata la
domanda di ingiustificato arricchimento della predetta società.

7 — Per la cassazione di tale decisione hanno proposto ricorso sia la società Archingeo —
sulla base di cinque motivi- sia, in via incidentale, la spa Sepi, facendo valere due motivi
di annullamento: entrambe le società hanno depositato memorie illustrative.

MOTIVI DELLA DECISIONE
I ricorsi vanno riuniti ex art. 335 cpc in quanto aventi ad oggetto una stessa sentenza.

Ricorso principale

giudice dell’appello che tra le due società si era concordato di “ottimizzare le risorse”

I — Con il primo motivo , deducendo la violazione dell’art. 2230 cod. civ., nonché
l’omessa motivazione su un fatto decisivo per il giudizio, parte ricorrente denunzia la
interpretazione del negozio intervenuto con la società Sepi, ribadendo trattarsi di un
contratto d’opera professionale; in particolare la società ricorrente censura l’omessa

della prova testimoniale che avrebbero messo in evidenza che anche la progettazione e
la messa in opera delle banche dati dei rilievi fatti “sul campo” avrebbero formato
oggetto dei compiti affidati ad essa ricorrente; ribadisce altresì quest’ultima che la
differenza tra contratto d’opera professionale ed appalto — in disparte il diverso rilievo
dell’organizzazione materiale — risiederebbe nel fatto che solo il primo potrebbe
configurarsi come obbligazione di mezzi

I.a — Viene formulato — ai sensi dell’art. 366 cpc, all’epoca ancora in vigore – il
seguente quesito di diritto: ” Se le prestazioni d’opera intellettuale ( quali sono stati, nello
specifico, lo studio del sottosuolo del Comune di Canosa di Puglia, comprendente rilevazioni, indagini
georadar, geofisiche, geoelettriche e quant’altro finalizzato alla formazione della mappa dei vuoti
soterranei del precitato Comune) possano configurarsi oggetto di cotnratto di appalto e regolate dalla
normativa relativa ovvvero, e più propriamente, se non abbiano invece una propria autonoma
configurazione giuridica, prevista e regolata dall’ad 2230 cod. civ”

I.b — Il mezzo presenta profili di inammissibilità e di infondatezza: è inammissibile
laddove propone una interpretazione delle emergenze istruttorie, divergente da quella
motivatamente adottata dalla Corte del merito e dove enuncia un quesito di diritto del
tutto inidoneo a far formulare alla Corte la regula juris da valere per casi analoghi; è poi
infondato in merito alla interpretazione dei confini applicativi dell’art. 2230 cod civ.
allorquando li identifica nella natura della obbligazione nascente dal contratto d’opera
intellettuale, non tenendo conto, da un lato, che la risalente dicotomia tra obbligazioni
di mezzi e di risultato è stata da tempo abbandonata dall’interpretazione della Corte
come sicuro criterio identificativo del contratto d’opera — ben potendo la semplicità

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considerazione del protocollo d’intesa intercorso tra la Sepi e l’Archingeo — nonché

delle prestazioni oggetto dell’accordo negoziale, determinare la sicurezza del risultato
dedotto in obligatione, le volte in cui l’esecuzione dell’incarico fosse stata corretta- e,
dall’altro, che proprio la narrativa di fatto svolta dal ricorrente avrebbe condotto a
negare quella caratteristica che si riteneva scriminante a livello interpretativo.

all’art. 2230 cod. civ. e si denunzia una omessa valutazione di un fatto decisivo per la
soluzione della controversia, laddove la Corte del merito, nell’interpretare la portata
applicativa dell’art. 21 della legge 646/1982 lo aveva esteso anche al sub appaltatore dal
sub-appaltatore , non considerando dunque che la sanzione di nullità ivi comminata si
riferiva solo al sub-appalto tra la stazione appaltante originaria — il Comune di Canosa di
Puglia — e la Società Italiana per le Condotte d’Acqua — vincitrice della gara di appalto ;
dal momento poi che l’ente territoriale aveva utilizzato la relazione tecnica e le
cartografie redatte da essa ricorrente, vi sarebbe stata la prova che esso non aveva inteso
far valere un eventuale inadempimento della diretta appaltatrice, così confermando,
all’esito di diverso percorso argomentativo, la natura di contratto d’opera professionale,

Il motivo è infondato sia perché la interpretazione della natura del contratto non

può essere influenzata dalla futura utilizzazione della prestazione dedotta in obligatione
sia perché il ragionamento della ricorrente parte da un non condivisibile assunto: che
cioè la sanzione di nullità riguardi solo i rapporti diretti tra appaltante ed appaltatrici
originarie: in contrario va ribadito che la norma di riferimento , identificando un reato
di pericolo nel subappalto di opere pubbliche non preventivamente assentito, estende
la sanzione di nullità per contrarietà ad un divieto espresso di legge a tutti gli eventuali
e successivi sub-appalti, pena la agevole elusione del dettato normativo le volte, come
nel caso di specie, ( come emerge dalla lettura del fol 7 dell’impugnata decisione) in cui
il primo sub-appalto fosse stato autorizzato.
III — Con il terzo motivo parte ricorrente denunzia la violazione delle norme di
ermeneutica contrattuale per non aver verificato, il giudice dell’impugnazione, quale

6

— Con il secondo mezzo si deduce la violazione dell’art. 1665 cod. civ. in relazione

fosse la reale intenzione delle parti emergente dal protocollo d’intesa e dal contratto di
conferimento di incarico: il motivo è inammissibile perché privo di qualunque apporto
argomentativo critico diretto a contrastare il risultato interpretativo cui pervenne la
Corte di Appello — oggetto di ampia ed argomentata analisi — ; del pari inammissibile —

360, I comma n.5 cpc
IV — Con il quarto motivo si assume che la Corte di Appello avrebbe derogato all’art.
132 cpc laddove non avrebbe preso in esame atti determinanti ai fini della corretta
interpretazione della volontà contrattuale: il mezzo è inammissibile per genericità dei
riferimenti testuali — derogandosi al canone di specificità del ricorso in cassazione nella
sua affermazione del principio di autosufficienza – e per assenza di una compiuta
argomentazione del rapporto tra violazione- che si suppone compiuta- dell’obbligo di
motivazione ed il risultato che sarebbe dovuto invece scaturire dalla considerazione
degli elementi pretermessi.
V — Con il quinto motivo si denunzia la violazione dell’art. 1988 cod. civ. laddove la
Corte del merito non avrebbe dato risalto al riconoscimento del debito da parte della
Sepi pari a lire 59.672.493 ( in disparte la differenza, oggetto dell’originaria domanda):
anche questo mezzo è inammissibile perché non appare aver formato oggetto di motivi
di appello, non trascurandosi di rilevare che, se pure fosse stato posto a base del
gravame, sicuramente non fu esaminato dalla Corte di Appello così che la relativa
censura avrebbe dovuto essere strutturata come vizio di omessa pronunzia; in disparte
la considerazione che se pure esistente, il riconoscimento, avendo ad oggetto un debito
nascente da un contratto nullo per violazione di un espresso divieto di legge, non
avrebbe potuto far conseguire effetti diversi da quelli nascenti dal negozio invalido,
pena la elusione del divieto di legge stabilito dall’art. 21 legge 646/1982 sopra citata (cfr.
Cass. Sez. III n. 9412/2011; Cass. Sez. III n. 27406/2008; Cass. Sez.I n. 11021/2005
sulla analoga fattispecie della inidoneità del riconoscimento dei debiti fuori bilancio a

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– 7 –

perché non sviluppato in una coerente deduzione difensiva— è il mero richiamo all’art.

costituire valido titolo nei confronti della P.A. nel caso in cui il credito nasca da
contratto nullo per difetto di forma scritta)

Ricorso incidentale
VI — Con il primo motivo la società Sepi denuncia la violazione degli arti. 345 e 189

cpc, laddove la Corte distrettuale , dopo aver rigettato l’appello incidentale diretto ad
ottenere la restituzione degli elaborati, in quanto essi avrebbero pur sempre formato
oggetto di prestazioni nascenti da contratto nullo, ritenne tardivamente posta la
domanda di ingiustificato arricchimento mentre, al contrario, essa era stata proposta sin
dal primo grado dal nuovo difensore di essa contro ricorrente e sulla stessa sarebbe
stato accettato il contraddittorio, di tal chè essa era stata presa in esame dal Tribunale
(per esser poi respinta)

VI.a — Il motivo è inammissibile.
VI.a.1 — Va innanzi tutto dato atto che nel corpo del mezzo in esame, la critica alla
decisione della Corte di Appello si sviluppa anche in relazione alla declaratoria di rigetto
derivato delle domande: di restituzione degli archivi; di pagamento degli specifici
macchinari che la Sepi assume aver dovuto comprare per l’esecuzione dell’incarico (non
altrimenti utilizzabili una volta esaurita l’esecuzione dell’appalto); della ripetizione degli
esborsi per l’addestramento di personale idoneo all’utilizzo degli stessi, nonché della
domanda di risarcimento del danno extracontrattuale che sarebbe derivato dalla
mancata restituzione delle banche dati : non vi è però una critica (se non genericamente
inserita nella formulazione del quesito di diritto relativo alla asserita indipendenza del
diritto al risarcimento del danno extracontrattuale, dalla nullità del contratto: v fol 37
del ricorso incidentale) alla decisione di ritenere le domande suddette come connesse
agli adempimenti di un contratto dichiarato nullo e quindi non esigibili

VI.a.2 — Quanto alla domanda di ingiustificato arricchimento è mancata l’esposizione
precisa: delle conclusioni rassegnate in primo grado; del iocus processuale e del
contenuto delle difese avversarie ove si sarebbe inverata l’accettazione del

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-154-

contraddittorio; delle motivazioni addotte dal Tribunale per respingere tale domanda ;
dei motivi di appello sul punto: solo attraverso l’esame diretto di tali contenuti
processuali sarebbe stato possibile scrutinare se vi fosse effettivamente stata la
pretermissione di una domanda effettivamente proposta e sulla quale vi fosse stata

conclusioni di primo grado, recisamente nega: v fol. 4 del controricorso al ricorso
incidentale) e se soprattutto detta domanda fosse stata fondata sugli stessi elementi di
fatto posti a sostegno della domanda di adempimento ( circostanza quest’ultima che
condiziona la possibilità di proporre la richiesta di ristoro dell’ingiustificato
arricchimento di controparte in appello, quale eccezione al divieto di introdurre dei nova
nel giudizio di gravame: cfr. Cass. Sez. III n. 9042/2010; Cass. Sez. II n. 7033/2005).
VII — Con il secondo motivo la parte controricorrente deduce la violazione dell’art. 91
cpc in cui sarebbe incorsa la Corte del merito nel compensare le spese del doppio grado
di giudizio: sia per l’ammissibilità delle proprie domande riconvenzionali sia perché la
motivazione adottata — facente leva sulla partecipazione di entrambi i contraenti a porre
in essere un contratto nullo- non avrebbe fatto riferimento all’intera pronunzia alla
quale la compensazione accedeva.

VII.a — Il motivo è infondato quanto al primo profilo, stante il rigetto del precedente
mezzo di ricorso incidentale; è poi inammissibile per difetto di chiarezza quanto al
secondo profilo , non essendosi specificato quale passo argomentativo della denunciata
decisione avrebbe consentito, se correttamente valutato, di pervenire ad una decisione
di condanna della parte oggi ricorrente al pagamento delle spese, non essendosi svolta
alcuna critica avverso la sopra esposta ragione giustificatrice della disposta
compensazione.
VIII — L’esito del giudizio di legittimità consente di compensare anche per questa fase
le spese di lite

P.Q.M.

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l’accettazione del contraddittorio (circostanza questa che la ricorrente, riportando le

La Corte
Riunisce i ricorsi e li rigetta entrambi, compensando le spese di lite.
Così deciso in Roma il 5 dicembre 2013 , nella camera di consiglio della 2^ Sezione

Civile della Corte di Cassazione.

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