Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7129 del 20/03/2017


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Cassazione civile, sez. lav., 20/03/2017, (ud. 10/01/2017, dep.20/03/2017),  n. 7129

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MACIOCE Luigi – Presidente –

Dott. TORRICE Amelia – Consigliere –

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – rel. Consigliere –

Dott. TRICOMI Irene – Consigliere –

Dott. BOGHETICH Elena – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 23454/2015 proposto da:

B.F., C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliata in ROMA,

VIA MONTE ZEBIO 37, presso lo studio dell’avvocato MARCELLO

FURITANO, rappresentata e difesa dall’avvocato SALVATORE PENSABENE

LIONTI, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

AZIENDA OSPEDALIERA OSPEDALI RIUNITI “(OMISSIS)” C.F. (OMISSIS), in

persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA BOEZIO 6, presso lo studio dell’avvocato

FRANCESCO PETRILLO, rappresentata e difesa dall’avvocato GIUSEPPE

GIAMBRONE, giusta delega in atti;

– controricorrente –

e contro

P.M.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 1097/2015 della CORTE D’APPELLO di PALERMO,

depositata il 03/08/2015 r.g.n. 369/2015;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

10/01/2017 dal Consigliere Dott. ANNALISA DI PAOLANTONIO;

udito l’Avvocato SALVATORE PENSABENE LIONTI;

udito l’Avvocato GIUSEPPE GIAMBRONE;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SANLORENZO Rita, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. La Corte di Appello di Palermo ha accolto il reclamo della L. n. 92 del 2012, ex art. 1, comma 58, proposto dalla Azienda Ospedaliera Ospedali Riuniti (OMISSIS) avverso la sentenza del locale Tribunale che aveva dichiarato l’illegittimità del licenziamento intimato a B.F. e condannato l’Azienda alla reintegrazione nel posto di lavoro in precedenza occupato e al risarcimento del danno, quantificato in misura pari alle retribuzioni maturate dalla data del recesso.

2. La Corte territoriale ha premesso che la B. aveva partecipato ad una procedura di selezione riservata al personale proveniente dal bacino dei lavoratori socialmente utili e si era utilmente collocata al settimo posto della graduatoria. Successivamente, peraltro, l’Azienda, con Delib. n. 1120 del 2013, aveva invitato i candidati a dichiarare se l’anzianità di utilizzo quale LSU coincidesse con l’effettivo periodo di impiego, tenendo conto di eventuali sospensioni nella corresponsione del sussidio.

3. Dopo la stipula del contratto di lavoro, avvenuta sulla base di quanto autocertificato dalla B., l’Azienda aveva accertato che quest’ultima era rimasta assente per motivi di studio dal 2 aprile al 27 aprile e dal 7 maggio all’8 giugno 2001 ed aveva conseguentemente decurtato i suddetti periodi dall’anzianità di servizio, riformulando la graduatoria, nella quale la ricorrente veniva collocata al ventinovesimo posto, e risolvendo, pertanto, il rapporto di lavoro.

4. Il giudice del reclamo ha ritenuto legittimi gli atti adottati dall’Azienda perchè il bando, seppure non chiaro nella sua formulazione, doveva essere interpretato innanzitutto alla luce del tenore letterale dello stesso che, nel prevedere quale titolo preferenziale la “anzianità complessiva di utilizzo” si riferiva, evidentemente, alla effettiva durata del servizio prestato e non al mero possesso dello status giuridico di lavoratore socialmente utile.

Ha aggiunto che l’interpretazione doveva tener conto del quadro normativo vigente ed in particolare del disposto della L. n. 53 del 2000, art. 5, dal quale poteva ricavarsi il principio generale della non computabilità ai fini del calcolo della anzianità di servizio dei periodi di sospensione del rapporto finalizzati a consentire la formazione del dipendente.

Analoga disciplina era stata dettata per i lavoratori socialmente utili dall’art. 11 della Carta dei diritti dei soggetti utilizzati in attività socialmente utili elaborata dalla Regione Sicilia.

La Delib. 29 agosto 2013, n. 1120, non aveva, pertanto, modificato il bando della selezione, ma aveva solo specificato un requisito già richiesto, richiedendo che i partecipanti comunicassero i periodi di servizio effettivo e non solo quello di permanenza nel bacino degli LSU.

5. Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso B.F. sulla base di sette motivi, illustrati da memoria ex art. 378 c.p.c.. La Azienda Ospedaliera ha resistito con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.1. Con il primo motivo la ricorrente lamenta, ex art. 360 c.p.c., nn. 3, 4 e 5, “violazione dell’art. 111 Cost; violazione dell’art. 132 c.p.c., n. 4”. Richiamati i principi affermati dalle Sezioni Unite di questa Corte con la sentenza n. 8053 del 7 aprile 2014, denuncia la insanabile contraddizione nella quale sarebbe incorso il giudice del reclamo nell’avere da un lato affermato che la prima formulazione della modulistica del bando di gara non chiedeva che venissero specificati periodi di allontanamento dal posto di lavoro o di sospensione nell’erogazione del sussidio; dall’altro ritenuto che i candidati avrebbero dovuto dichiarare nella domanda di partecipazione alla selezione quale fosse la effettiva durata del servizio prestato.

1.2. La seconda censura, formulata sempre ai sensi dell’art. 360 c.p.c., nn. 3, 4 e 5, addebita alla sentenza impugnata “violazione dell’art. 111 Cost.; violazione dell’art. 132 c.p.c., n. 4; violazione e/o falsa applicazione dell’art. 12 preleggi, comma 1; violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 468 del 1997, del D.Lgs. n. 81 del 2000, della Carta dei diritti dei soggetti utilizzati in attività socialmente utili”. Sostiene, in sintesi, la ricorrente che la Corte territoriale avrebbe errato nel ritenere che il tenore letterale del bando dovesse indurre ad affermare che l’espressione “anzianità complessiva di utilizzo” si riferisse all’effettiva durata del servizio e non alla permanenza del lavoratore nel bacino degli LSU. Detta interpretazione era stata solo enunciata dal giudice di appello, senza approfondirne la portata. Aggiunge che i periodi di legittima sospensione non costituiscono causa di decadenza dallo status di lavoratore socialmente utile, sicchè gli stessi non incidono sulla anzianità, che resta legata al possesso della qualifica e non alla erogazione dell’assegno. Richiama al riguardo la Carta dei diritti dei soggetti utilizzati in attività socialmente utili, approvata dall’Assessorato Regionale del Lavoro, della Previdenza, della Formazione Professionale e dell’Emigrazione che, appunto, prevede la possibilità di una legittima sospensione per motivi di studio, che consente il mantenimento dello status, e commina la sanzione della decadenza dagli elenchi delle attività socialmente utili solo nelle ipotesi di assistenza ingiustificata dal servizio. In via conclusiva la ricorrente, sul presupposto che la anzianità richiamata nel bando fosse quella di permanenza del lavoratore nel bacino degli LSU, sostiene la illegittimità della Delib. n. 1120 del 2013, con la quale, a selezione ormai conclusa, era stato richiesto un requisito diverso da quello previsto dalla lex specialis della procedura.

1.3. Con il terzo motivo, egualmente ricondotto dell’art. 360 c.p.c., nn. 3, 4 e 5, la B. lamenta la “violazione dell’art. 111 Cost.; violazione dell’art. 132 c.p.c., n. 4; violazione e/o falsa applicazione dell’art. 12 preleggi, comma 2; violazione e/o falsa applicazione della L. 8 marzo 2000, n. 53, art. 5”. Evidenzia la erroneità del richiamo, contenuto nella motivazione della sentenza impugnata, alla normativa dettata per il lavoro subordinato, non applicabile alla fattispecie in quanto il rapporto che si instaura con i lavoratori socialmente utili è disciplinato da norme speciali. In particolare agli LSU non spetta il congedo parentale e la sospensione dell’assegno risponde a principi che non tengono conto della distinzione, valida solo per il lavoro subordinato, fra permessi retribuiti e non retribuiti. Aggiunge che la Corte territoriale ha erroneamente interpretato il richiamato art. 5 che fa riferimento alla anzianità di servizio ai soli differenti fini previdenziali.

1.4. La quarta censura, nella cui rubrica si insiste nel denunciare, sempre ai sensi dell’art. 360 c.p.c., nn. 3, 4 e 5, la violazione dell’art. 111 Cost., dell’art. 132 c.p.c., n. 4, nonchè della Carta dei diritti dei soggetti utilizzati in attività socialmente utili, addebita alla Corte territoriale di avere erroneamente applicato alla fattispecie l’art. 11 della Carta, che si riferisce alla sola frequenza di corsi finalizzati al conseguimento di titoli di studio, quando, in realtà, l’autorizzazione era stata richiesta dalla B. ai sensi dell’art. 12 che consente la sospensione per “motivi di studio”. In ogni caso dalla disposizione richiamata non si evince che la anzianità complessiva di servizio sia legata alla presenza del lavoratore nel posto di lavoro.

1.5. Il quinto motivo denuncia ” omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti (art. 360 c.p.c., n. 5)” perchè la Corte palermitana, nell’affermare che la specificazione di eventuali sospensioni costituiva un “requisito immanente all’originario bando di gara” non aveva considerato che la seconda dichiarazione era stata richiesta a procedura ormai conclusa e che la Azienda, pur avendo a disposizione gli atti necessari per quantificare il servizio effettivo, aveva collocato la B. al settimo posto della graduatoria, evidentemente perchè il bando si riferiva alla titolarità dello status di LSU.

1.6. La medesima rubrica è anteposta al sesto motivo con il quale, sostanzialmente, si addebita alla sentenza impugnata di non avere tenuto conto del contenuto degli atti della procedura selettiva e del comportamento della amministrazione la quale, dopo avere predisposto uno schema di dichiarazione che non richiedeva nessuna indicazione su eventuali sospensioni del sussidio e dopo avere formulato la graduatoria sulla base della sola durata del possesso dello status di LSU, aveva attribuito rilievo, con la Delib. n. 1120 del 2013, ad un requisito inizialmente non richiesto, violando il principio della immutabilità del bando, lex specialis del concorso. La ricorrente richiama giurisprudenza di questa Corte per sostenere che la approvazione della graduatoria fa sorgere il diritto soggettivo alla assunzione sicchè non è consentito alla Amministrazione fornire ex post una diversa e restrittiva interpretazione dei requisiti stabiliti dal bando, la cui sussistenza deve essere verificata prima della procedura e non dopo la conclusione della stessa.

1.7. Infine la settima doglianza, formulata sempre ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, addebita alla sentenza impugnata di non avere considerato che la specificazione dei requisiti stabiliti dal bando non può avvenire a procedura selettiva ormai conclusa, perchè i criteri di valutazione dei titoli devono essere predeterminati con esattezza ex ante e non dopo avere conosciuto i nomi dei candidati e i titoli dagli stessi posseduti. Aggiunge che se la amministrazione avesse voluto attribuire rilevanza alla percezione del sussidio avrebbe dovuto indicarlo nel bando in modo espresso ed univoco.

2. Non sussiste la violazione di legge denunciata nel primo motivo di ricorso.

Le Sezioni Unite di questa Corte (Cass. S.U. 22.9.2014 n. 19881 e Cass. S.U. 7.4.2014 n. 8053) nell’interpretare l’art. 360 c.p.c., n. 5, come riformulato dalla L. 7 agosto 2012, n. 134 (pubblicata sulla G.U. n. 187 dell’11.8.2012), di conversione del D.L. 22 giugno 2012, n. 83, hanno osservato che la ratio del recente intervento normativo è ben espressa dai lavori parlamentari lì dove si afferma che la riformulazione ha la finalità di evitare l’abuso dei ricorsi per cassazione basati sul vizio di motivazione, non strettamente necessitati dai precetti costituzionali, e, quindi, di supportare la funzione nomofilattica propria della Corte di cassazione, quale giudice dello ius constitutionis e non dello ius litigatoris, se non nei limiti della violazione di legge. Il vizio di motivazione, quindi, rileva solo allorquando l’anomalia si tramuta in violazione della legge costituzionale, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione”.

La ricorrente, nel denunciare l’insanabile contraddizione nella quale sarebbe incorsa la Corte territoriale, pone a confronto solo due affermazioni che si leggono nella sentenza impugnata, senza valutare il contenuto complessivo della pronuncia, che, invece, deve essere necessariamente apprezzato nei casi in cui dalla contraddittorietà si pretenda di far discendere la violazione dell’art. 132 c.p.c. e dell’art. 111 Cost.. A detti fini, infatti, rileva solo il contrasto fra affermazioni che si elidono a vicenda in modo da non consentire di individuare la ratio decidendi, ossia il procedimento logico giuridico posto alla base della decisione adottata.

Così non è nel caso di specie perchè la Corte territoriale, dopo aver dato atto di quale fosse il contenuto della “modulistica” allegata al bando di gara, sottolineando che la stessa non prescriveva di precisare se ci fossero stati periodi di sospensione, ha proceduto alla interpretazione della clausola del bando, nella parte in cui attribuiva rilievo all’anzianità “complessiva di utilizzo quale lavoratore socialmente utile nel S.S.N.”, e, valorizzandone in via prioritaria il tenore letterale, è pervenuta alla conclusione che, nel rispetto di un principio generale desumibile dalla legislazione vigente (individuata dalla Corte nella L. 8 marzo 2000, n. 53, art. 5), il bando intendesse attribuire rilievo non allo status di LSU bensì alla effettiva permanenza nelle attività socialmente utili. Muovendo da detta interpretazione del bando, il giudice di appello ha, quindi, sottolineato che la Delib. 29 agosto 2013 n. 1120, con la quale era stato imposto di precisare un dato non richiesto dalla originaria modulistica, si era limitata a “esplicitare un requisito immanente all’originario bando di gara” che, come tale, avrebbe dovuto essere comunicato già al momento della domanda di partecipazione alla procedura.

La ratio decidendi della pronuncia è, quindi, chiara e si sostanzia nel riconoscimento della prevalenza del bando, così come interpretato, rispetto alla modulistica allo stesso allegata, prevalenza dalla quale fa discendere l’obbligo della comunicazione della durata dell’effettivo servizio sin dal momento della presentazione della domanda di partecipazione alla procedura.

3. Gli altri motivi di ricorso tendono tutti a censurare la interpretazione data dalla Corte territoriale alla clausola sopra richiamata e a sostenere che la espressione “anzianità complessiva di utilizzo” doveva essere riferita non all’effettiva durata del servizio prestato bensì al periodo di conservazione dello status di LSU, con conseguente irrilevanza delle sospensioni non idonee a determinare la perdita di detto status.

I motivi sono inammissibili perchè non individuano la regola di ermeneutica contrattuale violata dal giudice del merito e conseguentemente non indicano le ragioni per le quali da detta regola quest’ultimo si sarebbe discostato.

Questa Corte ha da tempo affermato che nell’impiego pubblico contrattualizzato al bando di concorso deve essere riconosciuta una duplice natura giuridica: quella di provvedimento amministrativo, nella parte in cui concreta un atto del procedimento di evidenza pubblica di cui regola il successivo svolgimento, e quella di atto negoziale per gli aspetti sostanziali, in ragione della proposta di assunzione condizionata negli effetti all’espletamento della procedura concorsuale ed all’approvazione della graduatoria (Cass. S.U. 4.11.2009 n. 23327 e Cass. S.U. 2.10.2012 n. 16728).

La interpretazione del bando, quindi, qualunque sia il profilo che viene in rilievo, costituisce un apprezzamento di fatto istituzionalmente riservato al giudice di merito, censurabile in sede di legittimità solo per violazione delle norme legali di ermeneutica contrattuale, applicabili sia agli atti unilaterali che ai provvedimenti amministrativi, rispetto ai quali la esegesi sostanzialmente tende a ricostruire la volontà della Pubblica Amministrazione (Cass. 2.4.2013 n. 7982; Cass. 23.10.2010 n. 17367; Cass. 24.1.2007 n. 1602).

Ne discende che la parte, qualora intenda dolersi della interpretazione data all’atto dal giudice del merito, è tenuta non solo a fare puntuale riferimento alle regole legali di ermeneutica, mediante specifica indicazione dei canoni asseritamente violati, ma anche ad indicare le ragioni per le quali la decisione impugnata da dette regole si sarebbe discostata. Ciò perchè il sindacato di legittimità non può investire il risultato interpretativo, che appartiene all’ambito del giudizio di fatto, ma afferisce solo alla verifica del rispetto degli artt. 1362 c.c. e segg. (in tal senso fra le più recenti Cass. 10.2.2015 n. 2465).

3.1. La Corte territoriale, pur sottolineando nella prima parte della decisione che la clausola del bando “si presta ad una lettura ambivalente rispetto alla esigenza di premiare la continuità del servizio prestato nell’interesse della P.A.”, per giungere a disattendere la tesi prospettata dalla B. ha innanzitutto valorizzato l’elemento letterale e, cioè, il termine “utilizzo” contenuto nel bando, e ha poi tratto dalla disciplina normativa, individuata nella L. 8 marzo 2000, n. 53, art. 5, solo elementi a conforto della interpretazione testuale.

Il ricorso non denuncia la violazione degli artt. 1362 c.c. e segg. e non individua il canone che il giudice di appello avrebbe violato nell’attribuire rilievo al dato testuale, perchè le censure si incentrano principalmente sulla inapplicabilità della richiamata L. n. 53 del 2000 e sulle disposizioni dettate dalla Regione Sicilia per disciplinare il rapporto con i lavoratori socialmente utili, ossia su un argomento utilizzato solo in via secondaria dalla Corte territoriale, per avvalorare la conclusione già formulata sulla base del significato letterale dei termini inseriti nel bando.

3.2. Se quindi sono inammissibili le censure mosse al capo della decisione che ha riferito il termine “utilizzo” al servizio effettivo anzichè al mantenimento dello status, divengono irrilevanti tutti gli argomenti spesi dalla ricorrente per sostenere che la sospensione non fa venire meno la qualità di lavoratore socialmente utile. Parimenti si rivelano infondati i motivi che denunciano la violazione della lex specialis della procedura, posto che gli stessi assumono tutti a presupposto una interpretazione del bando diversa da quella data dalla Corte territoriale, incensurabile per le ragioni sopra dette.

4. Il ricorso va, pertanto, rigettato con condanna della ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo risultante dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, deve darsi atto della ricorrenza delle condizioni previste dalla legge per il raddoppio del contributo unificato.

PQM

La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità liquidate in Euro 200,00 per esborsi ed Euro 2.500,00 per competenze professionali, oltre rimborso spese generali del 15% e accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 10 gennaio 2017.

Depositato in Cancelleria il 20 marzo 2017

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