Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7124 del 04/03/2022

Cassazione civile sez. I, 04/03/2022, (ud. 09/11/2021, dep. 04/03/2022), n.7124

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente –

Dott. STALLA Giacomo Maria – Consigliere –

Dott. FIDANZIA Andrea – Consigliere –

Dott. VANNUCCI Marco – Consigliere –

Dott. ROCCHI Giacomo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 4690/2021 proposto da:

M.A., elettivamente domiciliato in Roma Via Barnaba

Tortolini, 30, presso lo studio dell’avvocato Ferrara Alessandro,

che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

Prefettura Di Roma;

– intimato –

avverso l’ordinanza del GIUDICE DI PACE di ROMA, depositata il

08/02/2021;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

09/11/2021 da Dott. ROCCHI GIACOMO.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con l’ordinanza del 2 – 4 febbraio 2021, il Giudice di Pace di Roma rigettava il ricorso proposto da M.A. avverso il decreto di espulsione emesso nei suoi confronti dal Prefetto di Roma.

L’opponente aveva dedotto di essere giunto in Italia all’età di 17 anni per ricongiungersi con il proprio padre e di essere in possesso di un permesso di soggiorno per motivi familiari; deduceva, inoltre, la violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 13, comma 5, che permette al Prefetto di autorizzare la permanenza sul territorio nazionale dello straniero per un periodo congruo commisurato alle esigenze del caso singolo, nonché la violazione della Direttiva 2008/115/CE e degli artt. 47 e 48 della Carta dei Diritti fondamentali dell’Unione Europea.

Il Giudice di Pace dava atto che il ricorrente era stato titolare di un permesso di soggiorno per motivi familiari rilasciato il 12/11/2013, successivamente rinnovato fino al 5/12/2016; dava atto che non risultava che lo stesso avesse avanzato domanda per l’ulteriore rinnovo del permesso di soggiorno, peraltro essendosi trattenuto sul territorio nazionale.

In conseguenza di tale posizione, il Prefetto aveva legittimamente emanato il decreto di espulsione, anche in considerazione del fatto dell’insussistenza dei presupposti per la concessione di un termine per lasciare volontariamente l’Italia, avendo egli manifestato la volontà di non rientrare nel suo Paese di origine e non avendo chiesto la fissazione del termine.

In definitiva, il provvedimento di espulsione era fondato, valido ed efficace.

2. Ricorre per cassazione M.A. sottolineando che, davanti al Giudice di Pace, aveva dedotto l’illegittimità del decreto di espulsione, che dava atto dell’ingresso irregolare del ricorrente nel territorio dello Stato, mentre egli era giunto, ancora minorenne, insieme al padre con regolare visto di soggiorno; aveva altresì, censurato il decreto di espulsione in quanto privo di una valutazione relativa alla vita privata e familiare del soggetto; aveva inoltre chiesto la disapplicazione per illegittimità comunitaria del decreto di espulsione, contestando la palese violazione del diritto di difesa, non essendo stato riconosciuto il suo diritto di essere posto nelle condizioni di analizzare tutti gli elementi a suo carico sulla base dei quali l’Autorità aveva basato la decisione. M. era assistito da un’associazione per il suo stato di acuta depressione che ne aveva causato i plurimi atti autolesionistici; nell’opposizione si indicava la possibilità di optare per una partenza volontaria.

All’udienza del 21/10/2019 la difesa aveva dimostrato la estrema vulnerabilità e fragilità del ricorrente e il percorso terapeutico iniziato; veniva quindi invocato il principio del non refoulement ai sensi del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 19 e dell’art. 33 della Convenzione di Ginevra, censurando l’autorità amministrativa per non avere svolto alcuna istruttoria in relazione alle sue condizioni.

Alla luce di tali argomentazioni, il ricorrente, in un primo motivo, deduce violazione di legge.

Il Giudice di Pace, dando atto della pregressa titolarità del permesso di soggiorno valido fino al dicembre 2016 e non più rinnovato, aveva implicitamente modificato il titolo espulsivo, indicato dalla Prefettura di Roma nella mancata ottemperanza all’obbligo di dichiarazione di presenza nel termine di otto giorni per i soggiorni di breve durata.

Poiché il D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 13, enuncia tre distinte e separate ipotesi di espulsione, è illegittima l’equiparazione delle diverse fattispecie espulsive afferenti a ipotesi differenti. Il Giudice di Pace, quindi, aveva convalidato un decreto di espulsione palesemente nullo, in quanto basato su un erroneo presupposto in fatto e un evidente errore di diritto.

Il provvedimento di espulsione, quindi, violava la L. n. 241 del 1990, art. 3, che impone un’idonea motivazione della decisione dell’Amministrazione. Il vizio non poteva essere sanato successivamente, atteso che il provvedimento si fondava sulla mancata comunicazione ai sensi della L. n. 68 del 2007, art. 1, riguardante gli ingressi per soggiorni di breve periodo, né il giudice di pace poteva sostituirsi all’Amministrazione individuando altra e diversa fattispecie espulsiva.

In un secondo motivo il ricorrente, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, deduce violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 13, comma 2 bis, 4 e 5 e art. 8 CEDU.

La rilevanza dei legami affettivi e familiari, unitamente al periodo di valida permanenza sul territorio nazionale a seguito di ricongiungimento con il padre nonché l’assoluta mancanza di legami con il Paese di provenienza costituivano elementi obiettivi, da valutare adeguatamente ai sensi dell’art. 13, comma 2 bis cit.. Il ricorrente ricorda il dettato della Corte Costituzionale, che aveva esteso la tutela rafforzata di cui all’art. 5, comma 5 T.U. imm. a tutti gli stranieri che hanno un effettivo legame familiare in Italia. La Prefettura di Roma non aveva menzionato il pregresso diritto al ricongiungimento familiare riconosciuto a M.: al contrario, i legami familiari avrebbero dovuto essere presi in considerazione.

La decisione del Giudice di Pace era viziata per omessa pronuncia sul motivo di ricorso.

In un terzo motivo il ricorrente deduce violazione del D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 18 e D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 19, nonché dell’art. 3 CEDU.

Il Giudice avrebbe dovuto considerare la drammatica situazione medico-psicologica di M.A., atteso che l’espulsione di un cittadino non comunitario in preda a forti disturbi psicologici integra un trattamento inumano e/o degradante. Al contrario, aveva del tutto tralasciato la documentazione prodotta, interpretando il ruolo della giurisdizione come mera attività certificatoria dell’attività amministrativa: ma l’Amministrazione deve rispondere ai principi di legalità, efficacia e buon andamento dell’azione amministrativa e la sua azione è pienamente sindacabile dal Giudice; l’Autorità Amministrativa deve astenersi dal comminare espulsioni a soggetti che potrebbero essere esposti a trattamenti inumani e degradanti nel Paese di origine in conseguenza delle proprie condizioni di salute.

In un quarto motivo il ricorrente chiede la disapplicazione per illegittimità comunitaria del decreto di espulsione.

Il ricorrente aveva dedotto che, con il nuovo sistema delle espulsioni, il Prefetto deve valutare caso per caso e stabilire se sussistono le condizioni per concedere il termine per la partenza volontaria, nonché dettare le condizioni per la permanenza sul territorio. La legge prevede che il cittadino straniero sia posto in condizione di esercitare la propria opzione in ordine al rimpatrio mediante un’adeguata informazione della sua facoltà di richiedere un termine per la partenza volontaria mediante schede informative plurilingue.

La Prefettura di Roma aveva omesso di fornire al ricorrente le dovute informazioni, non essendo stato presente un mediatore culturale che permettesse di rappresentare le condizioni di precarietà, anche in merito alle condizioni di salute, e di manifestare l’intenzione di allontanarsi volontariamente dal territorio dello Stato. Tale carenza risultava dall’intervista prodotta in giudizio, da cui emergeva l’assenza di un interprete e la mancata informazione allo straniero della possibilità di chiedere il termine per la partenza volontaria: l’atto si limitava a riportare il relativo rifiuto da parte di M..

Si trattava di procedura che violava la cd. Direttiva rimpatri nonché la Direttiva 2008/115/CE, in base alla quale l’adozione di misure coercitive, con l’allontanamento coattivo dello straniero, è permessa solo nel caso di impraticabilità del rimpatrio volontario. Il ricorrente evidenzia, altresì, che la normativa nazionale in punto di pericolo di fuga, che consente l’accompagnamento coattivo alla frontiera, contrasta con la Direttiva Europea e risulta irragionevole.

Il ricorrente aveva, comunque, eccepito che l’accertamento effettuato dalla Prefettura di Roma era superficiale e grossolano e che la Prefettura aveva omesso di ottemperare a quanto previsto dal D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 13, comma 5, n. 1, con compressione del diritto di difesa e del principio del contraddittorio. Del resto, il D.Lgs. n. 286 cit., art. 13, comma 2, prevede la necessità di una previa informativa per permettere allo straniero di fornire quante più idonee informazioni in merito alla sua situazione personale.

La motivazione del provvedimento impugnato su tale punto era decisamente deficitaria, essendo stata omessa qualsiasi garanzia partecipativa di M..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il primo motivo di ricorso è inammissibile.

Esso si basa, invero, sull’assunto che il decreto di espulsione fosse stato emesso per violazione della L. n. 68 del 2007, art. 1, comma 3, vale a dire sull’omissione della dichiarazione di soggiorno. Sennonché tale circostanza – che è circostanza di fatto attinente al merito della causa e non al processo – non risulta dall’ordinanza impugnata, né può essere accertata da questa Corte. Il ricorrente avrebbe dovuto articolare, al riguardo, una idonea censura di omesso esame di fatto decisivo, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, della quale però non vi è traccia nel ricorso.

2. Il secondo motivo di ricorso è fondato.

L’ordinanza impugnata non fa alcun cenno alle deduzioni mosse con il motivo con riferimento ai legami familiari di M. in Italia – essendo egli giunto da minore con il padre, con il quale aveva convissuto fino al 2014 – e alla mancanza di legami nel Paese di origine, lasciato da minorenne.

La giurisprudenza di questa Corte (Cass. 22/7/2015 n. 15362), alla quale il collegio intende dare continuità, ha già avuto modo di chiarire che: 1) il D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 13, comma 2-bis, dando attuazione a uno dei principi cardine della Direttiva 2003/86/CE, ha introdotto un rilevante temperamento nell’applicazione automatica delle cause espulsive previste dall’art. 13, comma 2, lett. a) e b), imponendo di tenere conto, nei confronti dello straniero che abbia esercitato il diritto al ricongiungimento familiare, sia per l’ipotesi dell’ingresso irregolare che per quella della mancanza del permesso di soggiorno originaria o sopravvenuta, anche della natura e dell’effettività dei vincoli familiari, della durata del soggiorno nonché dell’esistenza di legami familiari, culturali o sociali con il paese di origine; 2) il D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 13, comma 2-bis, recepisce un sedimentato orientamento giurisprudenziale della Corte Europea dei diritti umani secondo la quale non può aversi interferenza di un’autorità pubblica nell’esercizio del diritto alla vita privata e familiare a meno che questa ingerenza non sia prevista dalla legge e costituisca una misura necessaria per la sicurezza nazionale, la sicurezza pubblica, la prevenzione dei reati e la protezione della salute e della morale; 3) esiste un immanente generale obbligo, introdotto dalla Direttiva 2008/115/CE (attuata con il D.L. n. 89 del 2011, convertito con L. n. 129 del 2011), di valutare caso per caso, come è stato espressamente indicato nell’incipit dell’art. 13, comma 2, citato, l’esistenza delle condizioni per l’adozione della misura espulsiva, senza procedere mediante l’applicazione automatica e standardizzata dei parametri normativi; 4) la decisione relativa al rimpatrio secondo i principi stabiliti dalla Direttiva appena citata non può essere assunta sulla base della “semplice considerazione del soggiorno irregolare” ma deve fondarsi su “criteri obiettivi” e “caso per caso” (sesto Considerando della Direttiva 2008/115/CE), dovendo procedersi a un’attenta valutazione della situazione personale al fine di tenere nella debita considerazione la vita familiare, le condizioni di salute del cittadino di un paese terzo interessato e il rispetto del principio di non refoulement; 5) in sede di adozione della misura espulsiva e della sua esecuzione l’organo pubblico cui è demandata la decisione amministrativa e/o giurisdizionale deve operare – alla stregua del principio di proporzionalità tra il sacrificio del diritto individuale e la salvaguardia dell’ordine pubblico statuale – un corretto bilanciamento tra il diritto dello Stato membro alla conservazione di un regime di sicurezza e di controllo del fenomeno migratorio e il nucleo dei diritti della persona connessi all’applicazione del principio di non refoulement, ai divieti di cui all’art. 3 CEDU e al diritto alla salute e alla vita familiare; 6) la sentenza della Corte Costituzionale n. 202/2013, nel dichiarare l’illegittimità costituzionale parziale del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 5, nella parte in cui non prevede che la valutazione in concreto della pericolosità sociale da eseguire in sede di rilascio, revoca o rinnovo del permesso di soggiorno possa essere svolta tanto nei confronti dello straniero che abbia esercitato il diritto al ricongiungimento familiare o del familiare ricongiunto quanto nei confronti di chi abbia legami familiari nel territorio dello Stato, ha chiarito che anche in quest’ultima ipotesi deve tenersi conto della durata del soggiorno e del quadro dei legami non solo familiari ma anche sociali, prospettando espressamente l’adozione dell’interpretazione della giurisprudenza EDU relativa all’art. 8 come parametro interposto di costituzionalità della norma impugnata. I principi in precedenza illustrati comportano da un lato l’estensione dell’ambito di applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 13, comma 2-bis, alla valutazione anche della posizione del cittadino straniero che abbia legami familiari nel nostro paese ancorché questi non si trovi nelle condizioni di richiedere formalmente il ricongiungimento familiare, secondo un ampliamento del diritto all’unità familiare formatosi in sede di giurisprudenza EDU sull’art. 8, dall’altro l’integrale equiparazione, nell’esame della situazione soggettiva del cittadino straniero, fra vita privata e vita familiare, in conformità al paradigma interpretativo dell’art. 8 Convenzione EDU che non prevede gradazioni o gerarchie tra le due estrinsecazioni del diritto fondamentale contenuto nella norma. Nel caso di specie il titolo espulsivo è costituito dal mero mancato possesso di un valido ed efficace permesso di soggiorno, secondo il disposto dell’art. 13, comma 2, lett. a) e b), T.U.I..

Il provvedimento impugnato ha però del tutto omesso di esaminare l’esistenza di un legame familiare dell’interessato, la durata del suo soggiorno e la sussistenza di un rapporto con il paese d’origine: si verte in un caso di difetto assoluto di motivazione sul motivo di impugnazione del decreto di espulsione con cui era stata dedotta la violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 13, comma 2 bis.

Così qualificato il motivo di ricorso, lo stesso risulta fondato e impone l’annullamento del provvedimento impugnato.

3. Il terzo motivo di ricorso è inammissibile.

Il ricorrente lamenta che il Giudice di Pace abbia sorvolato sulle ragioni di salute documentate all’udienza e sulla violazione del principio di non refoulement dedotta con le note di trattazione scritta.

Tuttavia, tali questioni avrebbero costituire specifici motivi di impugnazione del decreto di espulsione, da inserire nel ricorso al Giudice di Pace.

Si deve ricordare che la proposizione del ricorso principale per cassazione determina la consumazione del diritto di impugnazione, con la conseguenza che il ricorrente non può introdurre nuovi e diversi motivi di censura con i motivi aggiunti (Sez. U., Sentenza n. 2568 del 22/02/2012, Rv. 621555 – 01).

3. Il quarto motivo di ricorso è inammissibile.

La giurisprudenza di legittimità insegna costantemente che le questioni attinenti alla partenza volontaria non attengono alla legittimità dell’espulsione, bensì alla sua esecuzione, e vanno fatte valere, eventualmente, nel giudizio di convalida del trattenimento, o delle misure alternative allo stesso.

In effetti, le regole sull’esecuzione dell’espulsione amministrativa dello straniero, dettate dal D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 13, comma 5, nel testo modificato dal D.L. n. 89 del 2011, conv. in L. n. 129 del 2011, non hanno alcuna incidenza sulla legittimità del decreto prefettizio di espulsione atteso che eventuali difformità attinenti all’esecuzione rilevano in sede di sindacato della convalida dell’accompagnamento o del trattenimento non legittimi, ma non in ordine al parametro alla stregua del quale deve essere valutata la legittimità del decreto di espulsione, desumibile unicamente dal medesimo D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 13, comma 2 (Sez. 1, Ordinanza n. 33171 del 16/12/2019, Rv. 656560 – 01).

P.Q.M.

La Corte accoglie il secondo motivo di ricorso e dichiara inammissibili il primo, il terzo e il quarto. Cassa l’ordinanza impugnata e rinvia, anche per le spese del giudizio di legittimità, al Giudice di Pace di Roma in persona di altro magistrato, per nuovo esame.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 9 novembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 4 marzo 2022

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