Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7120 del 12/03/2021

Cassazione civile sez. VI, 12/03/2021, (ud. 21/01/2021, dep. 12/03/2021), n.7120

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MOCCI Mauro – Presidente –

Dott. CAPRIOLI Maura – Consigliere –

Dott. LA TORRE Maria Enza – Consigliere –

Dott. DELLI PRISCOLI Lorenzo – Consigliere –

Dott. RAGONESI Vittorio – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 31302-2018 proposto da:

AZIENDA AGRICOLA F.LLI B. DI B.G. & C, in persona

del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in

ROMA, VIA F. DENZA 15, presso lo studio dell’avvocato NICOLA

PAGNOTTA, rappresentata e difesa dall’avvocato STEFANIA MARTIN;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE (OMISSIS), in persona del Direttore pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e

difende, ope legis;

– Controricorrente –

avverso la sentenza n. 334/2018 della COMMISSIONE TRIBUTARIA

REGIONALE DEL VENETO, depositata il 21/03/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 21/01/2021 dal Consigliere Relatore Dott. RAGONESI

VITTORIO.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La Commissione tributaria provinciale di Padova, con sentenza n. 37/06, sez. 11, rigettava i ricorsi riuniti proposti dalla Azienda Agricola f.lli B. di B.G. & C avverso gli avvisi di accertamento (OMISSIS) per Iva 1996 e (OMISSIS) per Iva 1997.

Avverso detta decisione l’Agenzia delle entrate proponeva appello innanzi alla CTR Veneto che, con sentenza 77/09, rigettava l’impugnazione.

L’Amministrazione proponeva ricorso per Cassazione.

Questa Corte, con sentenza 18374/15, accoglieva il primo, il secondo, il quarto ed il quinto motivo del ricorso e rigettava il terzo cassando la sentenza impugnata con rinvio alla Commissione regionale del Veneto per nuovo giudizio.

A seguito di riassunzione da parte della contribuente, la predetta Commissione, con sentenza 334/18, accoglieva parzialmente l’appello dell’Agenzia delle entrate relativamente alla indetraibilità Iva per operazioni soggettivamente inesistenti di cui al rilievo 2 dell’avviso (OMISSIS) e 1 dell’avviso (OMISSIS).

Avverso la detta decisione ha proposto ricorso per cassazione la società contribuente sulla base di un unico motivo, illustrato con memoria, cui ha resistito con controricorso l’Agenzia delle Entrate.

La causa è stata discussa in camera di consiglio ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con l’unico motivo di ricorso la società ricorrente deduce la nullità della sentenza per violazione dell’art. 384 c.p.c., comma 2, per non essersi il giudice del rinvio conformato al principio di diritto stabilito da questa Corte.

Il motivo appare manifestamente infondato.

Questa Corte con la sentenza di rinvio aveva stabilito quanto segue:

La CTR, come visto, muove dall’erroneo assunto che, in caso di operazioni soggettivamente inesistenti, l’IVA è indetraibile solo nel caso di collusione con le “cartiere”, cioè solo nel caso di partecipatio fraudis.

Dopo aver escluso che la s.n.c. sia stata parte dell’accordo criminoso, il giudice di appello non ha preso mai in considerazione l’ipotesi di indetraibilità dovuta alla negligenza della cessionaria nell’accertare la frode. Gli elementi addotti in sentenza, pertanto, sono diretti non ad escludere un profilo di colpa della s.n.c., ma solo ad argomentare la sua mancata partecipazione alla frode fiscale (frode ritenuta esistente dalla stessa CTR). L’impostazione seguita dalla CTR è, però, erronea per le stesse ragioni espresse supra, ai punti 2.1.1. e 2.1.2.: a) in caso di operazioni soggettivamente inesistenti, solo l’affidamento incolpevole del cessionario sulla coincidenza del fatturante con l’effettivo cedente consente la detraibilità dell’IVA fatturata; b) l’onere probatorio della negligenza del cessionario per non avere rilevato la frode è a carico dell’amministrazione finanziaria, la quale può avvalersi di presunzioni semplici (gravi precise e concordanti), che possono derivare dalle stesse risultanze di fatto evidenzianti il ruolo di “cartiera” del cedente, conoscibili del cessionario secondo diligenza professionale; c) in presenza di detta prova (anche in forza delle indicate presunzioni), l’onere della prova contraria (cioè della dimostrazione dell’incolpevole affidamento sulla realtà soggettiva delle operazioni quale appariva dallo fatture) si trasferisce sul contribuente “.

Con tale decisione sono stati stabiliti nei punti di cui alle lettere a), b) e c) i principi cui il giudice del rinvio si sarebbe dovuto attenere.

Nella specie ritiene il Collegio che il giudice a quo si è adeguato ai principi dianzi indicati in quanto, con una motivazione sufficiente e scevra da vizi logici-giuridici, ha correttamente verificato l’assolvimento, da parte dell’Amministrazione finanziaria, dell’onere probatorio in ordine alla conoscibilità da parte del contribuente che l’operazione si inseriva in una evasione Iva.

La Commissione regionale ha, in particolare, rilevato che il B., titolare della Azienda Agricola conosceva da circa 25 anni G.F. che era il gestore del sistema fraudolento, ed anche il di lui coadiutore V.G. per cui doveva essere a conoscenza dei loro precedenti fiscali.

A tale circostanza di conoscenza personale degli operatori, la CTR ha aggiunto che il B. non poteva non essere consapevole del carattere fraudolento delle operazioni in ragione del fatto che i prezzi riservatigli erano notevolmente inferiori a quelli di mercato.

Tali argomenti appaiono del tutto sufficienti ad integrare idonee presunzioni circa la conoscenza da parte del rappresentante della società contribuente, in quanto, tra l’altro, operatore sul mercato e quindi conoscitore delle dinamiche e dei prezzi in base ai quali desumere il carattere fraudolento delle operazioni.

A tale proposito va ricordato questa Corte ha già avuto occasione di precisare che “escluso ogni automatismo e l’utilizzo di criteri generali predeterminati, l’onere dell’Amministrazione finanziaria sulla consapevolezza del cessionario va dunque ancorato al fatto che questi, in base ad elementi obbiettivi e specifici, che spetta all’Amministrazione individuare e contestare, conosceva o avrebbe dovuto conoscere che l’operazione si inseriva in una evasione all’Iva e che tale conoscibilità era esigibile, secondo i criteri dell’ordinaria diligenza ed alla luce della qualificata posizione professionale ricoperta, tenuto conto delle circostanze esistenti al momento della conclusione dell’affare ed afferenti alla sua sfera di azione. Come già sottolineato da Cass. n. 24490 del 2015, se al destinatario non compete, di norma, conoscere la struttura e le condizioni di operatività del proprio fornitore, sorge, tuttavia, un obbligo di verifica, nei limiti dell’esigibile, in presenza di indici personali od operativi anomali dell’operazione commerciale ovvero delle scelte dallo stesso effettuate ovvero tali da evidenziare irregolarità e ingenerare dubbi di una potenziale evasione, la cui rilevanza è tanto più significativa atteso il carattere strutturale e professionale della presenza dell’imprenditore nel settore di mercato in cui opera e l’aspettativa, fisiologica ed ordinaria, che i rapporti commerciali con gli altri operatori siano proficui e suscettibili di reiterazione nel tempo. (Cass. 21104/18)

A completamento della motivazione, posta la prova fornita dall’Amministrazione finanziaria degli elementi costitutivi delle contestate operazioni “soggettivamente inesistenti”, la CTR ha poi negato – con una valutazione in fatto non sindacabile in sede di legittimità – che gli elementi probatori offerti dalla ditta contribuente fossero idonei a superare gli elementi presuntivi esposti dall’Ufficio, considerato che la regolarità della documentazione contabile, la effettiva consegna della merce ed il loro pagamento non erano circostanza idonee di per sè a dimostrare la regolarità delle operazioni.

Il ricorso va dunque respinto.

Segue alla soccombenza la condanna al pagamento delle spese del presente giudizio liquidate come da dispositivo. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente principale, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

PQM

Rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento delle spese di giudizio liquidate in Euro 7290,00 oltre spese prenotate a debito. Si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale.

Così deciso in Roma, il 21 gennaio 2021.

Depositato in Cancelleria il 12 marzo 2021

 

 

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