Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7119 del 20/03/2017


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Cassazione civile, sez. lav., 20/03/2017, (ud. 06/12/2016, dep.20/03/2017),  n. 7119

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ANTONIO Enrica – Presidente –

Dott. BERRINO Umberto – rel. Consigliere –

Dott. DORONZO Adriana – Consigliere –

Dott. RIVERSO Roberto – Consigliere –

Dott. SPENA Francesca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 4325-2011 proposto da:

B.S. C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, PIAZZA CAPRANICA 78, presso lo studio dell’avvocato MICHELA

PASSARO, rappresentato e difeso dall’avvocato ITALO GAMBITTA, giusta

delega in atti;

– ricorrente –

contro

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE PREVIDENZA SOCIALE C.F. (OMISSIS), in

persona del Presidente e legale rappresentante pro tempore, in

proprio e quale mandatario della CARTOLARIZZAZIONE CREDITI INPS

S.C.C.I. S.P.A. C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA,

VIA CESARE BECCARIA 29, presso l’Avvocatura Centrale dell’Istituto,

rappresentato e difeso dagli Avvocati ANTONINO SGROI, LUIGI CALIULO,

LELIO MARITATO, CARLA D’ALOISIO, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 389/2010 della CORTE D’APPELLO di ANCONA,

depositata il 06/09/2010 R.G.N. 383/2007;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

06/12/2016 dal Consigliere Dott. BERRINO UMBERTO;

udito l’Avvocato D’ALOISIO CARLA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

MATERA MARCELLO che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Si controverte dell’opposizione, da parte di B.S., al verbale ispettivo dell’Inps del 12.2.2004 col quale gli ispettori di tale ente, una volta rilevata l’insussistenza del rapporto di associazione in partecipazione dell’opponente con S.S., considerato, invece, lavoratore dipendente, avevano accertato l’omesso versamento dei contributi e delle relative sanzioni.

Con sentenza del 9.7. – 6.9.2010, la Corte d’appello di Ancona, nel confermare la decisione del primo giudice di rigetto dell’opposizione al predetto verbale ispettivo, ha rilevato che quest’ultimo aveva correttamente desunto il vincolo della subordinazione da una serie di elementi sintomatici coerenti e convergenti, in essi compresa la soggezione dello S. al potere direttivo ed organizzativo del B., per cui la concreta attuazione del rapporto non era risultata corrispondente all’assetto contrattuale di associazione in partecipazione indicato dalle parti.

Per la cassazione della sentenza ricorre B.S. con un solo motivo.

Resiste con controricorso l’Inps.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con un solo motivo, formulato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, il ricorrente lamenta che la Corte d’appello è incorsa in errore nel ritenere che potesse sussistere una valida obbligazione contributiva, come quella oggetto di causa, quando era, invece, pacifico che le parti avevano sancito contrattualmente l’esclusione della subordinazione, atteso che il rapporto concluso era quello di associazione in partecipazione. Quindi, secondo il ricorrente, la Corte di merito aveva errato nell’attribuirgli, quale associante, un onere contributivo proprio del datore di lavoro e per una subordinazione che non era esistita, nè nei fatti, nè nella volontà dei contraenti. In definitiva, in base all’attuale assunto difensivo, i giudici d’appello avevano tratto erroneamente dagli atti di causa, male interpretati, il convincimento dell’esistenza di un rapporto di subordinazione che tale non era, essendo quello stipulato un contratto di associazione in partecipazione.

Il ricorso è infondato.

Anzitutto, non può non evidenziarsi che il ricorrente non specifica quali sarebbero state a suo giudizio le norme di legge violate dalla Corte d’appello, ad onta della denunziata violazione, nell’intestazione del motivo, della norma processuale di cui all’art. 360 c.p.c., n. 3, per cui non è dato comprendere in quale errore di diritto sarebbero incorsi i giudici di secondo grado.

Al contrario la Corte d’appello ha correttamente evidenziato, per quel che qui interessa, che l’indagine da compiere, ai fini della individuazione del tipo di contribuzione realmente applicabile nella fattispecie, riguardava essenzialmente il concreto atteggiarsi del rapporto di lavoro nella fase funzionale, non essendo dirimente stabilire la natura del contratto, nè dal nomen iuris dato dalle parti, nè dalle singole clausole contrattuali, stante la natura pubblicistica degli interessi implicati che erano insensibili al principio di disponibilità tipico dell’autonomia collettiva.

Tanto premesso, la Corte di merito ha poi vagliato attentamente i singoli motivi di censura ed ha avuto modo di accertare che il primo giudice aveva individuato nella indubbia assenza – nella fattispecie in esame – dell’alea a carico dell’associato uno degli elementi sintomatici della subordinazione, per cui il fatto che lo S. ricevesse una retribuzione fissa computata in funzione delle ore lavorate (e non acconti sui prevedibili utili netti) portava ad escludere che costui risentisse in qualche misura del rischio d’impresa, così come di non poco conto era la riscontrata divergenza – con riferimento all’orario di lavoro – tra le previsioni del contratto di associazione in partecipazione e l’effettiva esecuzione del rapporto di lavoro. Infatti, era emerso che lo S., a fronte della previsione della natura integrativa dell’apporto lavorativo pattuito per alcune prestazioni tipiche dell’operaio specializzato o dell’artigiano, non solo si trovava a fare il manovale ma, quanto meno dal mese di settembre del 2000, osservava a tempo pieno l’orario di lavoro del cantiere, al pari degli altri operai e, quindi, risultava stabilmente inserito nell’impresa edile, ancorchè la previsione contrattuale fosse più contenuta sia nella quantità che nella qualità dell’apporto lavorativo, oggetto dell’obbligazione dell’associato. Infine, la Corte di merito ha individuato altri indici sintomatici della subordinazione nella rilevata percezione, da parte dello S., di una somma fissa mensile, in costanza del contratto di associazione in partecipazione, e la rilevata indifferenza all’andamento gestionale, nonchè l’assenza di qualsiasi indicazione da parte di costui, in tema di rendiconto, di percezione di utili, della loro concreta misura e di eventuali conguagli con le somme percepite.

Tali conclusioni, cui la Corte territoriale è giunta all’esito di una scrupolosa disamina dei motivi del gravame in rapporto agli accertamenti contenuti nella sentenza impugnata, si rivelano sorrette da motivazione congrua ed esente da rilievi di ordine logico – giuridico, per cui sfuggono anche alla denunzia del vizio di motivazione prospettate in maniera generica dall’odierno ricorrente, il quale non dimostra nemmeno la decisività delle argomentazioni poste a sostegno delle proprie censure.

Invero, come è stato già statuito da questa Corte (Cass. sez. lav. n. 2272 del 2/2/2007), “il difetto di motivazione, nel senso di sua insufficienza, legittimante la prospettazione con il ricorso per cassazione del motivo previsto dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), è configurabile soltanto quando dall’esame del ragionamento svolto dal giudice del merito e quale risulta dalla sentenza stessa impugnata emerga la totale obliterazione di elementi che potrebbero condurre ad una diversa decisione ovvero quando è evincibile l’obiettiva deficienza, nel complesso della sentenza medesima, del procedimento logico che ha indotto il predetto giudice, sulla scorta degli elementi acquisiti, al suo convincimento, ma non già, invece, quando vi sia difformità rispetto alle attese ed alle deduzioni della parte ricorrente sul valore e sul significato attribuiti dal giudice di merito agli elementi delibati, poichè, in quest’ultimo caso, il motivo di ricorso si risolverebbe in un’inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e dei convincimenti dello stesso giudice di merito che tenderebbe all’ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, sicuramente estranea alla natura e alle finalità del giudizio di cassazione. In ogni caso, per poter considerare la motivazione adottata dal giudice di merito adeguata e sufficiente, non è necessario che nella stessa vengano prese in esame (al fine di confutarle o condividerle) tutte le argomentazioni svolte dalle parti, ma è sufficiente che il giudice indichi (come accaduto nella specie) le ragioni del proprio convincimento, dovendosi in tal caso ritenere implicitamente disattese tutte le argomentazioni logicamente incompatibili con esse”.

Pertanto, il ricorso va rigettato.

Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza del ricorrente e vanno liquidate come da dispositivo.

PQM

La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio nella misura di Euro 4100,00, di cui Euro 4000,00 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 6 dicembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 20 marzo 2017

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