Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7118 del 04/03/2022

Cassazione civile sez. I, 04/03/2022, (ud. 21/10/2021, dep. 04/03/2022), n.7118

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VALITUTTI Antonio – Presidente –

Dott. MARULLI Marco – Consigliere –

Dott. ARIOLLI Giovanni – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – rel. Consigliere –

Dott. REGGIANI Eleonora – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 28725/2020 proposto da:

E.W.P., rappresentato e difeso dall’avv. ANGELO

RANELI, e domiciliato presso la cancelleria della Corte di

Cassazione;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro pro tempore,

domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI n. 12, presso l’AVVOCATURA

GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– resistente –

avverso il decreto del TRIBUNALE di PALERMO, depositata il

30/09/2020;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

21/10/2021 dal Consigliere Dott. STEFANO OLIVA.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con il decreto impugnato il Tribunale di Palermo rigettava il ricorso proposto da E.W.P. avverso il provvedimento della Commissione territoriale con il quale era stata respinta la sua domanda di riconoscimento della protezione, internazionale ed umanitaria.

Propone ricorso per la cassazione di detta decisione E.W.P., affidandosi a quattro motivi.

Il Ministero dell’Interno, intimato, ha depositato memoria per la partecipazione all’udienza.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo, il ricorrente lamenta la violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, artt. 8 e 27 e del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, perché il Tribunale avrebbe erroneamente ritenuto non credibile il racconto personale, senza assicurare la sua audizione nel corso del giudizio di merito.

La censura è inammissibile.

La valutazione in ordine alla credibilità del racconto del cittadino straniero costituisce un apprezzamento di fatto, censurabile solo nei limiti di cui al novellato art. 360 c.p.c., n. 5, rimesso al giudice del merito il quale deve valutare se le dichiarazioni del ricorrente siano coerenti e plausibili, del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5, lett. c), (Cass., Sez. 1, Ordinanza n. 3340 del 05/02/2019, Rv. 652549; Cass., Sez. 1, Ordinanza n. 21142 del 07/08/2019, Rv. 654674; Cass. Sez. 3, Ordinanza n. 11925 del 19/06/2020, Rv. 658017; Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 13578 del 02/07/2020, Rv. 658237). Nel caso in cui il racconto non sia ritenuto credibile, è esclusa la necessità per il giudice di merito di operare ulteriori accertamenti in relazione alla sussistenza delle ipotesi di cui del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b), (Cass. Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 16925 del 27/06/2018, Rv. 649697; Cass. Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 28862 del 12/11/2018, Rv. 651501; Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 8367 del 29/04/2020, Rv. 657595; Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 16925 del 11/08/2020, Rv. 658940). Nel caso concreto, il Tribunale ha motivato circa le ragioni che lo hanno indotto a ritenere non credibili le dichiarazioni dell’istante, evidenziando la lacunosità e genericità del racconto, nonché il fatto che esso avesse ad oggetto una lite avente carattere privato (la famiglia della fidanzata del richiedente si opponeva in modo violento alla loro relazione), come tale ritenuta, dal giudice di merito, non idonea ai fini del riconoscimento della protezione internazionale.

In aggiunta, il giudice di merito ha anche evidenziato che la vicenda riferita trae origine da una contesa ereditaria, ed è quindi inidonea ai fini del riconoscimento della protezione, internazionale o umanitaria. Il ricorrente, se da un lato censura – sia pure in modo generico – la prima ratio, relativa alla non credibilità, omette del tutto di confrontarsi con la seconda – non idoneità della storia. Donde l’inammissibilità del motivo, dovendosi ribadire il principio per cui quando la decisione di merito si fonda su una pluralità di ragioni, tra loro distinte e autonome, singolarmente idonee a sorreggerla sul piano logico e giuridico, la ritenuta infondatezza delle censure mosse ad una delle rationes decidendi, ovvero la mancata contestazione di essa, rende inammissibili, per sopravvenuto difetto di interesse, le censure relative alle altre ragioni esplicitamente fatte oggetto di doglianza, in quanto queste ultime non potrebbero comunque condurre, stante l’intervenuta definitività delle altre, alla cassazione della decisione stessa (cfr. Cass. Sez. 3, Sentenza n. 2108 del 14/02/2012, Rv. 621882; Cass. Sez. U., Sentenza n. 7931 del 29/03/2013, Rv. 625631; Cass. Sez. L, Sentenza n. 4293 del 04/03/2016, Rv. 639158).

Per quanto invece attiene all’omessa audizione del ricorrente, va evidenziato che, secondo l’ormai consolidata interpretazione di questa Corte, in materia di protezione internazionale, ove venga impugnato il provvedimento di diniego della commissione territoriale e non sia disponibile la videoregistrazione del colloquio, il giudice deve necessariamente fissare l’udienza di comparizione delle parti ma, se non sono dedotti fatti nuovi o ulteriori temi d’indagine, non ha l’obbligo di procedere anche all’audizione del richiedente, salvo che quest’ultimo non ne faccia espressa richiesta deducendo la necessità di fornire specifici chiarimenti, e delucidazioni sulle dichiarazioni rese in sede amministrativa (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 21584 del 07/10/2020, Rv. 658982; Cass. Sez. 1, Sentenza n. 22049 del 13/10/2020, Rv. 659115; Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 25439 del 11/11/2020, Rv. 659659; Cass. Sez. 1, Sentenza n. 26124 del 17/11/2020, Rv. 659737). Il ricorso per cassazione con il quale sia dedotta, in mancanza di videoregistrazione, l’omessa audizione del richiedente che ne abbia fatto espressa istanza, deve, pertanto, contenere l’indicazione puntuale dei fatti che erano stati dedotti avanti al giudice del merito a sostegno di tale richiesta, avendo il ricorrente un preciso onere di specificità della censura (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 25312 del 11/11/2020, Rv. 659577). Nella specie, risulta dal decreto impugnato che l’udienza è stata fissata e si è tenuta il 23 settembre 2020, ed il ricorso è assolutamente generico, poiché il ricorrente non si fa carico di indicare gli specifici fatti, dedotti dinanzi al giudice, che avrebbero richiesto la sua audizione.

Con il secondo motivo, il ricorrente lamenta la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, perché il giudice di merito non avrebbe valutato i trattamenti inumani e degradanti ai quali il richiedente sarebbe stato esposto, né la condizione di instabilità diffusa esistente in Nigeria, suo Paese di origine.

La censura è inammissibile.

La protezione sussidiaria di cui del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. b), è stata correttamente esclusa dal giudice di merito sulla base della ravvisata non credibilità della storia riferita dal richiedente.

Per quanto invece concerne la protezione sussidiaria ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), il Tribunale ha accertato, con ricorso a fonti informative idonee ed aggiornate, richiamate nel provvedimento, che la zona di provenienza dell’istante è immune da situazione di violenza generalizzata (cfr. pag. 7 del decreto). Il ricorrente contrappone, a tale ricostruzione in fatto, un apprezzamento alternativo, richiamando genericamente (cfr. pag. 19 del ricorso) il contenuto di alcune C.O.I. alternative, senza tuttavia specificare per quale motive dette fonti sarebbero più aggiornate, o presenterebbero un contenuto diverso, da quelle in concreto utilizzate dal giudice di merito. La censura, di conseguenza, si risolve in una mera istanza di riesame del fatto, estranea alla natura e alla finalità del giudizio di legittimità (Cass. Sez. U., Sentenza n. 24148 del 25/10/2013, Rv. 627790).

Con il terzo motivo, il ricorrente lamenta la violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, perché il Tribunale avrebbe erroneamente denegato il riconoscimento della protezione umanitaria, senza condurre una valutazione comparativa tra le condizioni di vita del richiedente in Italia e quelle in cui egli verserebbe in caso di rimpatrio.

Con il quarto ed ultimo motivo, il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32 e del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 19, come modificato dal D.L. n. 130 del 2020, convertito in L. n. 173 del 2020, con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, perché il Tribunale avrebbe erroneamente denegato il riconoscimento del diritto ad ottenere un permesso di soggiorno “per casi speciali” in applicazione della normativa introdotta dal richiamato D.L. n. 113 del 2018, convertito in L. n. 132 del 2018, così come modificata per effetto delle disposizioni contenute nel suindicato D.L. n. 130 del 2020, convertito in L. n. 173 del 2020, aventi contenuto retroattivo.

Le censure, suscettibili di esame congiunto, sono inammissibili e in parte, infondate.

Il Tribunale ha accertato l’assenza di allegazione, da parte del ricorrente, di specifiche condizioni di vulnerabilità, suscettibili di essere esaminate alla luce della normativa introdotta dal D.L. n. 113 del 2018, escludendo quindi il suo diritto ad ottenere un permesso di soggiorno “per casi speciali” (cfr. pag. 8 del decreto).

Nel contestare tale statuizione, il ricorrente non si cura di indicare in quale data egli aveva proposto domanda di protezione, né contesta in alcun modo l’applicabilità, alla sua domanda, della disciplina introdotta dal richiamato D.L. n. 113 del 2018, convertito in L. n. 132 del 2018. Si limita, piuttosto, ad allegare – peraltro, in termini del tutto generici – l’esistenza di un rischio di danno alla sua vita familiare e privata, derivante dal rimpatrio, ed una sua “perfetta integrazione nel tessuto sociale” senza tuttavia specificare da quali elementi di prova emergerebbero ambedue i profili indicate, né chiarire in quale momento del giudizio di merito essi sarebbero, in via di mera ipotesi, stati acquisiti agli atti.

Le doglianze, dunque, da un lato si risolvono, anche in questo caso, in un’inammissibile istanza di riesame del giudizio di fatto operato dal giudice di merito, estranea alla natura e alla finalità del giudizio di legittimità (Cass. Sez. U., Sentenza n. 24148 del 25/10/2013, Rv. 627790). Mentre, sotto un diverso angolo di prospettiva, presuppongono l’applicabilità, al caso di specie, delle disposizioni contenute nel già richiamato D.L. n. 130 del 2020, convertito, con modificazioni, in L. n. 173 del 2020, che precludono il respingimento del richiedente asilo, quando esistano fondati motivi di ritenere che l’allontanamento dello straniero dal territorio nazionale comporti una violazione del diritto al rispetto della sua vita privata e familiare.

Sul punto, è opportune precisare che le disposizioni da ultimo citate si applicano retroattivamente – ai sensi di quanto previsto dal D.L. n. 130 del 2020, art. 15 – ai procedimenti che, alla data della sua entrata in vigore, erano pendenti davanti alle commissioni territoriali, al questore e alle sezioni specializzate dei tribunali, ma non anche a quelli che alla stessa data, erano pendenti davanti al giudice di rinvio o alla Corte di cassazione (Cass. Sez. U., Sentenza n. 24413 del 09/09/2021, Rv. 662246). Poiché il D.L. n. 130 del 2020, è stato pubblicato in G.U., serie generale, n. 261 del 21.10.2020, mentre il decreto impugnato è stato depositato dal Tribunale il 30.9.2020, la normative sopravvenuta non è applicabile alla fattispecie, in relazione alla quale si erano già esauriti tanto la procedura di esame della domanda di protezione che il successivo giudizio di merito avente ad oggetto l’impugnazione del provvedimento reiettivo della domanda di protezione formulata dal richiedente asilo.

In definitiva, il ricorso va rigettato.

Nulla per le spese, in assenza di notificazione di controricorso da parte del Ministero intimato nel presente giudizio di legittimità.

Stante il tenore della pronuncia, va dato atto – ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater – della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento di un ulteriore importo a titolo contributo unificato, pari a quello previsto per la proposizione dell’impugnazione, se dovuto.

P.Q.M.

la Corte dichiara rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 21 ottobre 2021.

Depositato in Cancelleria il 4 marzo 2022

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