Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7117 del 20/03/2017

Cassazione civile, sez. lav., 20/03/2017, (ud. 02/12/2016, dep.20/03/2017),  n. 7117

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMOROSO Giovanni – Presidente –

Dott. CURCIO Laura – Consigliere –

Dott. DE GREGORIO Federico – Consigliere –

Dott. LORITO Matilde – Consigliere –

Dott. ESPOSITO Lucia – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 23638-2013 proposto da:

V.P. c.f. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

ROMEO ROMEI 27, presso lo studio dell’avvocato ADELINA GIGLIO,

rappresentato e difeso dall’avvocato STEFANIA PLASTINA, giusta

delega in atti;

– ricorrente –

contro

TRENITALIA S.P.A. C.F. (OMISSIS), in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA,

PIAZZA DELLA CROCE ROSSA 1, presso lo studio dell’avvocato PATRIZIA

CARINO, che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati PAOLO

TOSI, ANDREA UBERTI, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1266/2012 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 19/11/2012 R.G.N. 188/2010;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

02/12/2016 dal Consigliere Dott. ESPOSITO LUCIA;

udito l’Avvocato ISIDORO DI GIOVANNI per delega Avvocato STEFANIA

PLASTINA;

udito l’Avvocato ANDREA UBERTI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

MASTROBERARDINO PAOLA che ha concluso per l’inammissibilità del

ricorso in subordine rigetto.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. La Corte d’appello di Milano, con sentenza del 19 novembre 2012, confermò la decisione del giudice di primo grado che aveva respinto il ricorso proposto da V.P., diretto a ottenere il risarcimento del danno biologico e morale per le malattie contratte a carico dell’apparato cardiovascolare ed uditivo, che assumeva derivanti dalle modalità della prestazione lavorativa richiestagli, sul presupposto della responsabilità della datrice di lavoro Trenitalia s.p.a. per violazione delle norme concernenti la sicurezza sul luogo di lavoro. I giudici di merito, di primo e secondo grado, ritennero irrilevante la pregressa indagine giudiziaria che aveva condotto al riconoscimento dell’equo indennizzo, conclusasi con sentenza passata in giudicato, sia perchè la stessa non aveva riguardato la malattia denunciata all’apparato uditivo e il c.t.u. nominato aveva escluso il nesso causale tra l’ipoacusia riscontrata e la cronica esposizione a rumore, sia per la diversità dei presupposti tra le due azioni. Rilevavano che, sulla scorta dell’espletata istruttoria, non erano risultate provate significative mancanze nell’adozione da parte del datore di lavoro di cautele doverose per scongiurare pregiudizi alla salute dei propri dipendenti e tanto era stato confermato anche dagli esiti della consulenza tecnica.

3. Avverso la sentenza propone ricorso per cassazione il V. sulla base di due motivi, illustrato con memoria. Resiste con controricorso la società.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione art. 2909 c.c., con conseguente violazione di norme di diritto ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. La doglianza si riferisce alla circostanza che nel giudizio svoltosi innanzi alla Corte d’appello di Milano era stata considerata la diversità dei presupposti del precedente contenzioso, che aveva condotto al riconoscimento nei confronti del V. dell’equo indennizzo, rispetto ai presupposti necessari per ottenere il risarcimento dei danno biologico e morale, ricondotto ad inadempimento imputabile al datore di lavoro ai sensi dell’art. 2087 c.c.. Rileva che il giudicato si forma, oltre che sull’affermazione o negazione del bene della vita controverso, anche sugli accertamenti logicamente preliminari e indispensabili ai fini del decisum, quelli cioè che si presentano come la premessa indefettibile della pronunzia. Osserva che gli elementi che erano stati valutati in quel giudizio (che il ricorrente afferma emergenti dall’istruttoria, quali lo svolgimento di attività lavorativa su locomotori datati e carenti di dispositivi di sicurezza) avrebbero dovuto essere valutati dalla Corte territoriale. Rileva che il dictum della sentenza richiamata è preclusivo rispetto alla presente causa, poichè la pronuncia passata in giudicato, nell’accertare la sussistenza del nesso causale, si pone quale antecedente logico indefettibile ed essenziale.

1.2. Il motivo è infondato. Va rilevato in primo luogo che secondo l’orientamento espresso da questa Corte di legittimità (cfr. per tutte Cass. n. 13618 del 11/06/2007, Rv. 598136), “l’accertamento sulla sussistenza di un precedente giudicato costituisce un giudizio di fatto che è riservato al giudice di merito e che non può essere sindacato in sede di legittimità, purchè esso sia aderente alla realtà processuale e sorretto da adeguata e puntuale motivazione”.

Tanto premesso è da rilevare che la sentenza impugnata spiega esaurientemente le ragioni in forza delle quali non è stato ritenuto configurabile il giudicato. La Corte d’appello, infatti, ha evidenziato la diversità degli elementi identificativi dei due giudizi sotto i profili del petitum e della causa petendi, chiarendo che i presupposti per il riconoscimento del diritto all’equo indennizzo non sono assimilabili a quelli sui quali si fonda il riconoscimento del risarcimento dei danni ex art. 2087 c.c., specificamente con riferimento alla responsabilità del datore di lavoro il cui accertamento è imprescindibile nel giudizio risarcitorio. La statuizione è conforme ai principi enunciati in materia da questa Corte, secondo la quale (Sez. 1, Sentenza n. 6830 del 24/03/2014, Rv. 630132 – 01) l’autorità dei giudicato sostanziale opera soltanto entro i rigorosi limiti degli elementi costitutivi dell’azione e presuppone che tra la precedente causa e quella in atto vi sia identità di parti, di “petitum” e di “causa petendi”. A quanto rilevato si aggiungano i profili di inammissibilità della doglianza connessi alla mancata produzione e trascrizione insieme con il ricorso, nonchè alla mancata specifica indicazione dell’ubicazione nel fascicolo processuale, della sentenza rispetto alla quale si assume sia intervenuto il giudicato e delle risultanze istruttorie acquisite nel procedimento in cui essa è stata emessa.

2. Con il secondo motivo il ricorrente deduce omesso esame circa un punto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti. Si duole che non sia stata riconosciuta efficacia indiretta alla citata sentenza in tema dì equo indennizzo, nel senso che la stessa avrebbe pur sempre l’efficacia di prova o di elemento di prova documentale in ordine alla situazione giuridica che aveva formato oggetto dell’accertamento giudiziale.

2.2. Va premesso che, in sede di valutazione probatoria, eventuale oggetto di considerazione da parte del giudice del merito sono non già a sentenza, ma le prove raccolte nel giudizio in cui la stessa è stata emanata (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 840 del 20/01/2015, Rv. 633913 01: “Il giudice civile, in assenza di divieti di legge, può formare il proprio convincimento anche in base a prove atipiche come quelle raccolte in un altro giudizio tra le stesse o tra altre parti, delle quali la sentenza ivi pronunciata costituisce documentazione”). Al riguardo la censura difetta di adeguato supporto documentale, poichè non risultano allegati nè riprodotti gli atti del giudizio richiamato dai quali desumere la valenza dei mezzi di prova ivi espletati ai fini dell’indagine oggetto del giudizio, nè degli stessi è indicata l’ubicazione nel fascicolo processuale, in difetto delle condizioni richieste dalle disposizioni di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4. In ogni caso ai suddetti mezzi si sarebbe potuto al più attribuire efficacia di argomenti di prova, quali prove atipiche perchè assunte in altro giudizio, con prevalenza dei chiari esiti dell’indagine direttamente espletata nel processo, anche mediante consulenza tecnica.

7. In base alle svolte argomentazioni il ricorso va integralmente rigettato. Le spese di giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.

PQM

La Corte rigetta ii ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in complessivi Euro 3.100,00, di cui Euro 100,00 per esborsi, oltre spese generali nella misura del 15% e accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 2 dicembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 20 marzo 2017

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