Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7117 del 04/03/2022

Cassazione civile sez. I, 04/03/2022, (ud. 21/10/2021, dep. 04/03/2022), n.7117

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VALITUTTI Antonio – Presidente –

Dott. MARULLI Marco – Consigliere –

Dott. ARIOLLI Giovanni – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – rel. Consigliere –

Dott. REGGIANI Eleonora – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 23197/2020 proposto da:

D.G., rappresentato e difeso dall’avv. NICOLETTA

MASUELLI, e domiciliato presso la cancelleria della Corte di

Cassazione;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO;

– intimato –

avverso il decreto del TRIBUNALE di TORINO, depositata il 28/07/2020;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

21/10/2021 dal Consigliere Dott. STEFANO OLIVA.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con decreto del 15.6.2018 il Tribunale di Torino rigettava il ricorso proposto da D.G. avverso il provvedimento della Commissione territoriale con il quale era stata respinta la sua domanda di riconoscimento della protezione, internazionale ed umanitaria.

Proponeva ricorso per la cassazione di detta decisione D.G. e la Corte di Cassazione, con ordinanza n. 9835/2019, accoglieva il ricorso, cassando il decreto con rinvio allo stesso giudice, in differente composizione.

Con il decreto impugnato, il Tribunale di Torino, in funzione di giudice del rinvio, confermava il rigetto del ricorso.

Propone ricorso per la cassazione di detta decisione D.G., affidandosi a quattro motivi.

Il Ministero dell’Interno, intimato, non ha svolto attività difensiva nel presente giudizio di legittimità.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo, il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 158 e 383 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, perché il collegio che avrebbe deciso la fase di rinvio sarebbe stato composto da un membro che aveva già fatto parte del collegio che aveva emesso il primo provvedimento, poi cassato da questa Corte.

La censura è inammissibile per difetto di specificità.

Il principio dell’alterità del giudice di rinvio, sancito dall’art. 383 c.p.c., è rispettato sia quando, dopo la cassazione, la causa venga rinviata ad altro ufficio giudiziario, sia quando il rinvio avvenga allo stesso ufficio in diversa composizione, ovvero ad altro giudice monocratico dello stesso ufficio, purché non sussista identità personale tra il giudice del rinvio e quello che pronunziò la sentenza cassata. E’ onere della parte che, ricorrendo per cassazione avverso la sentenza pronunciata in sede di rinvio, ne invochi la nullità per violazione dell’art. 383 c.p.c., non soltanto allegare, ma anche provare, che la pronuncia di rinvio sia stata decisa dalle stesse persone fisiche che pronunciarono la sentenza cassata con rinvio (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 8723 del 31/05/2012, Rv. 622780; Cass. Sez. 6-3, Ordinanza n. 20345 del 28/09/2020, Rv. 659252; nonché Cass. Sez. 2, Sentenza n. 2114 del 29/01/2021, Rv. 660356, con particolare riferimento a pag. 10 della motivazione). Nella specie, il ricorrente non ha trascritto nel ricorso la composizione dei due collegi – quello che ha deciso prima del rinvio dalla cassazione, e quello che si è pronunciato in sede di rinvio – ma ha soltanto allegato che vi sarebbe un giudice in comune, in tal modo omettendo di soddisfare il requisito minimo di specificità della censura.

Con il secondo motivo, il ricorrente lamenta la violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis, artt. 12, 14, 31 e 46 della Direttiva UE 2013/32, nonché l’omesso esame di un fatto decisivo, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, perché il Tribunale avrebbe ritenuto non credibile la storia riferita dal richiedente, senza procedere alla sua audizione personale.

La censura è infondata. Secondo l’ormai consolidata interpretazione di questa Corte, in materia di protezione internazionale, ove venga impugnato il provvedimento di diniego della commissione territoriale e non sia disponibile la videoregistrazione del colloquio, il giudice deve necessariamente fissare l’udienza di comparizione delle parti ma, se non sono dedotti fatti nuovi o ulteriori temi d’indagine, non ha l’obbligo di procedere anche all’audizione del richiedente, salvo che quest’ultimo non ne faccia espressa richiesta deducendo la necessità di fornire specifici chiarimenti, e delucidazioni sulle dichiarazioni rese in sede amministrativa (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 21584 del 07/10/2020, Rv. 658982; Cass. Sez. 1, Sentenza n. 22049 del 13/10/2020, Rv. 659115; Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 25439 del 11/11/2020, Rv. 659659; Cass. Sez. 1, Sentenza n. 26124 del 17/11/2020, Rv. 659737). Il ricorso per cassazione con il quale sia dedotta, in mancanza di videoregistrazione, l’omessa audizione del richiedente che ne abbia fatto espressa istanza, deve, pertanto, contenere l’indicazione puntuale dei fatti che erano stati dedotti avanti al giudice del merito a sostegno di tale richiesta, avendo il ricorrente un preciso onere di specificità della censura (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 25312 del 11/11/2020, Rv. 659577). Nella specie, risulta dal decreto impugnato che l’udienza è stata fissata e si è tenuta il 22 gennaio 2019, ed il ricorso è assolutamente generico, poiché il ricorrente non si fa carico di indicare gli specifici fatti, dedotti dinanzi al giudice, che avrebbero richiesto la sua audizione.

Con il terzo motivo, il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 3 e 14, nonché il vizio della motivazione, con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, perché il giudice di merito avrebbe erroneamente ritenuto non credibile il racconto fornito dal richiedente, senza considerarne adeguatamente tutti gli elementi, e senza tener conto del contesto di insicurezza diffusa e di carente tutela dei diritti umani esistente in Ghana, suo Paese di origine.

La censura è inammissibile.

La valutazione in ordine alla credibilità del racconto del cittadino straniero costituisce un apprezzamento di fatto, censurabile solo nei limiti di cui al novellato art. 360 c.p.c., n. 5, rimesso al giudice del merito, il quale deve valutare se le dichiarazioni del ricorrente siano coerenti e plausibili, del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5, lett. c), (Cass., Sez. 1, Ordinanza n. 3340 del 05/02/2019, Rv. 652549; Cass., Sez. 1, Ordinanza n. 21142 del 07/08/2019, Rv. 654674; Cass. Sez. 3, Ordinanza n. 11925 del 19/06/2020, Rv. 658017; Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 13578 del 02/07/2020, Rv. 658237). Nel caso in cui il racconto non sia ritenuto credibile, è esclusa la necessità per il giudice di merito di operare ulteriori accertamenti in relazione alla sussistenza delle ipotesi di cui del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b), (Cass. Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 16925 del 27/06/2018, Rv. 649697; Cass. Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 28862 del 12/11/2018, Rv. 651501; Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 8367 del 29/04/2020, Rv. 657595; Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 16925 del 11/08/2020, Rv. 658940).

Nel caso di specie, il Tribunale ha sufficientemente motivato in ordine alla non credibilità del racconto, evidenziandone la genericità, le incoerenze relative alla collocazione temporale dei vari eventi narrati, nonché le contraddizioni riscontrabili nelle versioni fornite in diversi momenti del procedimento amministrativo finalizzato al riconoscimento della protezione internazionale ed umanitaria (cfr. pag. 5 del decreto impugnato). In aggiunta, il giudice di merito ha anche evidenziato che la vicenda riferita trae origine da una contesa ereditaria, ed è quindi inidonea ai fini del riconoscimento della protezione, internazionale o umanitaria. Il ricorrente, se da un lato censura – sia pure in modo generico – la prima ratio, relativa alla non credibilità, omette del tutto di confrontarsi con la seconda – non idoneità della storia. Donde l’inammissibilità del motivo, dovendosi ribadire il principio per cui quando la decisione di merito si fonda su una pluralità di ragioni, tra loro distinte e autonome, singolarmente idonee a sorreggerla sul piano logico e giuridico, la ritenuta infondatezza delle censure mosse ad una delle rationes decidendi, ovvero la mancata contestazione di essa, rende inammissibili, per sopravvenuto difetto di interesse, le censure relative alle altre ragioni esplicitamente fatte oggetto di doglianza, in quanto queste ultime non potrebbero comunque condurre, stante l’intervenuta definitività delle altre, alla cassazione della decisione stessa (cfr. Cass. Sez. 3, Sentenza n. 2108 del 14/02/2012, Rv. 621882; Cass. Sez. U., Sentenza n. 7931 del 29/03/2013, Rv. 625631; Cass. Sez. L, Sentenza n. 4293 del 04/03/2016, Rv. 639158).

Con il quarto motivo, il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32 e del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, perché il Tribunale avrebbe erroneamente denegato anche il riconoscimento della protezione umanitaria.

La censura è inammissibile. La tutela umanitaria è stata motivatamente esclusa dal giudice di merito a fronte della ravvisata non credibilità della storia riferita dal richiedente, nonché dell’inesistenza di un rischio da rientro derivante dalla condizione generale del Paese di origine del predetto soggetto. Il giudice di merito ha, inoltre, dato atto che il richiedente non aveva allegato alcun ulteriore profilo di vulnerabilità. Nel contestare tale statuizione di rigetto, il ricorrente non si confronta adeguatamente con la motivazione, in quanto non allega alcun elemento che il Tribunale avrebbe omesso di esaminare, o avrebbe valutato in modo non adeguato, limitandosi quindi ad invocare una nuova pronuncia di fatto, estranea alla natura e alla finalità del giudizio di legittimità (Cass. Sez. U., Sentenza n. 24148 del 25/10/2013, Rv. 627790). Ne’ rileva l’accenno, contenuto nel motivo in esame, al transito del ricorrente in Libia, dovendosi, al riguardo, ribadire che la mera allegazione, da parte del richiedente, che in un Paese di transito (nella specie, la Libia) si consumi un’ampia violazione dei diritti umani, senza evidenziare quale connessione vi sia tra il transito attraverso quel Paese ed il contenuto della domanda, costituisce circostanza irrilevante ai fini della decisione (Cass. Sez. 6-1, Ordinanza n. 2861 del 06/02/2018, Rv. 648276; Cass. Sez. 6-1, Ordinanza n. 29875 del 20/11/2018, Rv. 651868; Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 31676 del 06/12/2018, Rv. 651895; Cass. Sez. 3, Ordinanza n. 10835 del 05/06/2020, Rv. 657918; Cass. Sez. 3, Ordinanza n. 24193 del 02/11/2020, Rv. 659844). Poiché il ricorrente non indica alcunché di specifico in relazione alla sua permanenza in Libia, anche l’ultimo profilo della quarta doglianza è inammissibile.

In definitiva, il ricorso va rigettato.

Nulla per le spese, in assenza di notificazione di controricorso da parte del Ministero intimato nel presente giudizio di legittimità.

Stante il tenore della pronuncia, va dato atto – ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater – della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento di un ulteriore importo a titolo contributo unificato, pari a quello previsto per la proposizione dell’impugnazione, se dovuto.

P.Q.M.

la Corte rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 21 ottobre 2021.

Depositato in Cancelleria il 4 marzo 2022

 

 

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