Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7115 del 29/03/2011

Cassazione civile sez. I, 29/03/2011, (ud. 31/01/2011, dep. 29/03/2011), n.7115

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LUCCIOLI Maria Gabriella – Presidente –

Dott. FELICETTI Francesco – rel. Consigliere –

Dott. GIANCOLA Maria Cristina – Consigliere –

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Consigliere –

Dott. DE CHIARA Carlo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 11675/2010 proposto da:

L.V. (c.f. (OMISSIS)), L.A. (c.f.

(OMISSIS)), elettivamente domiciliati in ROMA, VIA CARNARO

14, presso MARTINA PROVENZANO, rappresentati e difesi dall’avvocato

GENCO Fabrizio, giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

F.G. (c.f. (OMISSIS)), nella qualità di

curatore speciale dei minori L.P., LE.VI., L.

D., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA GIULIA DI COLLOREDO

4 6, presso l’avvocato DE PAOLA GABRIELE, rappresentato e difeso

dall’avvocato BULLARO Nino Salvatore Giovanni, giusta procura in

calce al controricorso;

– controricorrente –

contro

PROCURATORE GENERALE DELLA CORTE DI APPELLO DI PALERMO – SEZIONE

CIVILE PER I MINORENNI;

– intimato –

avverso la sentenza n. 10/2010 della CORTE D’APPELLO di PALERMO,

depositata il 09/03/2010;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

31/01/2011 dal Consigliere Dott. FRANCESCO FELICETTI;

udito, per i ricorrenti, l’Avvocato GENCO che ha chiesto

l’accoglimento del ricorso;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CESQUI Elisabetta, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. Nel marzo 2004 il Servizio sociale del Comune di Castelvetrano aveva segnalato al tribunale per i minorenni una situazione di rischio per i minori L.P. (nato il (OMISSIS)) e Vi. (nata il (OMISSIS)), nati dalla convivenza fra i genitori, rispettivamente nipote e zio, pregiudicato e sorvegliato speciale. Nel maggio 2004 la madre con i figli veniva inserita nella Comunità (OMISSIS), stante la situazione igienica e l’incuria nelle quali si trovavano i minori. Nel (OMISSIS) nasceva D. e la madre veniva autorizzata a rientrare a casa, facendosi contestualmente un tentativo per il rientro degli altri due minori, con l’assistenza del Servizio sociale. Peraltro, a fronte dei miglioramenti raggiunti in comunità dai minori P. e Vi., il padre manteneva un comportamento oppositivo nei confronti degli ausili disposti, impedendo l’attivazione del servizio domiciliare, interrompendo il percorso di sostegno psicologico ed assumendo un comportamento aggressivo nei confronti del personale dei servizi sociali. Avendo constatato che le capacità genitoriali, dopo tre anni dall’intervento dei servizi sociali, restavano carenti e l’ambiente familiare era reso inadatto al sereno sviluppo psicofisico dei minori anche da gravi litigi che scoppiavano fra i genitori, nel corso dei quali la madre, priva di un arto, veniva picchiata dal convivente senza che – ciò non ostante – accettasse di fare ritorno con i figli in comunità, nel novembre 2007 il P.M. presso il tribunale per i minorenni di Palermo iniziava presso quel tribunale azione per la dichiarazione dello stato di adottabilità dei minori P., Vi. e L.D.. Nel novembre 2007 l’avv. F.G. veniva nominato curatore speciale dei minori ed i genitori venivano invitati a nominarsi un difensore. In seguito venivano sospesi i rientri dei minori P. e Vi. in famiglia, interrotti gl’incontri con i genitori e il piccolo D. veniva collocato nella comunità “(OMISSIS)”, con divieto di prelevamento e visite sorvegliate. I genitori, tramite il loro legale, contestavano tali provvedimenti e dichiaravano di essere disponibili a ovviare a qualsiasi situazione pregiudizievole per i figli e ad accettare misure di sostegno. Avviate tali misure la conflittualità fra i genitori dava luogo ad un altro episodio di percosse da parte del sig. L. nei confronti della sig.ra L., cosicchè ne veniva predisposto il collocamento presso una comunità- alloggio, dalla quale però essa si allontanava riprendendo la convivenza e riconciliandosi con il convivente. Veniva intrapreso trattamento psicologico della coppia, che però, dopo diversi mesi, a giudizio dello psicologo non evidenziava la possibilità di consentire un rientro dei minori con i genitori in tempi brevi, mentre gli operatori delle comunità nelle quali vivevano i minori evidenziavano l’urgenza di una deistituzionalizzazione. Opponendosi i genitori a un affidamento eterofamiliare e ascoltati i minori P. e Vi., che esprimevano il desiderio di avere una nuova famiglia, il tribunale, con sentenza del maggio 2009, dichiarava lo stato di adottabilità dei tre minori e disponeva il collocamento presso una coppia di coniugi, con interruzione di ogni rapporto con i genitori naturali. I sigg.ri V. e L.A. impugnavano la sentenza, contestando l’esistenza dello stato di abbandono. Il curatore dei minori si opponeva all’accoglimento del gravame. La Corte d’appello di Palermo, con sentenza depositata il 9 marzo 2010, notificata il 16 marzo 2010, confermò la sentenza del tribunale per i minorenni rigettando il gravame. I sigg.ri L.V. e A. hanno proposto ricorso a questa Corte con atto notificato il 15 aprile 2010 al curatore speciale dei minori ed al procuratore generale presso la Corte d’appello di Palermo, formulando due motivi.

Il curatore speciale ha depositato un “controricorso” notificato il 5 maggio 2010 con il quale formula sostanzialmente un ricorso incidentale adesivo al ricorso principale.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. I ricorsi vanno riuniti per essere decisi congiuntamente ai sensi dell’art. 335 c.p.c..

Con il primo motivo del ricorso principale si denuncia la violazione o falsa applicazione della L. n. 184 del 1993, artt. 1, 8 e 15. Si deduce al riguardo che non sussistevano i presupposti di legge per la dichiarazione dello stato di abbandono, erroneamente dichiarato dalla sentenza in relazione a presunti tratti caratteriali della madre, alla volontà dei minori di avere una nuova famiglia, a pregressi episodi di violenza del padre nei confronti della madre, ma senza la dimostrazione che i comportamenti dei genitori comportassero gravi ed irreversibili danni allo sviluppo dei minori, come è necessario perchè possa esserne dichiarato lo stato di adottabilità. Tale dimostrazione infatti, secondo i ricorrenti, non potrebbe essere ricollegata nè ai sopra menzionati fatti, nè all’autoritarismo e al comportamento violento del padre, nè alla completa soggezione a costui della madre, come avrebbe fatto la sentenza, tanto più che detti comportamenti risalirebbero al 2008( mentre il successivo comportamento dei genitori, dopo otto mesi di terapia psicologica, secondo lo psicologo udito nell’istruttoria dinanzi al tribunale il 17 febbraio 2009 sarebbe mutato. Nè, in particolare, il desiderio di un’altra famiglia, manifestato dai minori in sede di audizione, avrebbe alcuna valenza in relazione alla declaratoria dello stato di abbandono. La Corte d’appello, inoltre, avrebbe trascurato specifici elementi emergenti dalle relazioni dei Servizi sociali che dimostravano l’affettuosità della madre verso i figli, la sua disponibilità ad accettare gl’interventi dei Servizi sociali a suo supporto, i progressi rilevati nel suo comportamento.

Con il secondo motivo si denunciano vizi motivazionali in relazione all’accertamento dello stato di abbandono, non essendo gli elementi addotti a prova di tale stato adatti a dimostrarlo, nè sotto il profilo dell’inidoneità dei genitori a svolgere il loro ruolo, nè sotto quello della idoneità del loro comportamento a provocare danni irreversibili allo sviluppo psicofisico dei minori. Si censura, inoltre, sotto il profilo del difetto di motivazione la mancata nomina di un CTU per valutare la capacità genitoriale dei ricorrenti.

2. Con il proprio ricorso il curatore speciale dei minori lamenta vizi motivazionali in ordine all’accertamento dello stato di abbandono, in relazione al mancato esperimento di una CTU sui minori ed alla incertezza delle emergenze processuali circa l’irreversibilità dell’incapacità genitoriale.

3.1. Il ricorso principale è infondato.

La L. n. 184 del 1983, art. 1, nel testo novellato dalla L. n. 149 del 2001, attribuisce al diritto del minore di crescere ed essere educato nella propria famiglia naturale carattere prioritario considerando questa l’ambiente preferenziale per il suo sviluppo psicofisico – e mira a garantire tale diritto attraverso la predisposizione d’interventi diretti a rimuovere, ove possibile, l’insorgere di situazioni di difficoltà e di disagio che possano compromettere la crescita in essa del minore. (Cass. 28 giugno 2006, n. 15011; 14 aprile 2006, n. 8877). Ne deriva che, in tale ottica, per un verso compito dei servizi sociali non è solo quello di rilevare le insufficienze in atto nella famiglia naturale del minore, ma soprattutto quello di concorrere, con interventi di sostegno, a rimuoverle ove possibile. Per altro verso ne deriva che la situazione di abbandono, che ai sensi della L. n. 184 del 1983, art. 8, è presupposto necessario per la dichiarazione dello stato di adottabilità, comportando il sacrificio dell’esigenza primaria di crescita in seno alla famiglia biologica, è configurabile solo quando si accerti che la vita offerta al minore dai genitori naturali sia inadeguata al normale sviluppo psico-fisico così da fare considerare la rescissione del legame familiare come strumento necessario per evitare un più grave pregiudizio e ad assicurargli assistenza e stabilità affettiva, dovendosi considerare “situazione di abbandono”, oltre al rifiuto intenzionale e irrevocabile dell’adempimento dei doveri genitoriali, anche una situazione di fatto obiettiva del minore,, che a prescindere dagli intendimenti dei genitori, impedisca o ponga in pericolo il suo corretto sviluppo psicofisico, per il non transitorio difetto di quell’assistenza materiale e morale necessaria a tal fine (Cass. 31 marzo 2010, n. 7959; 1 febbraio 2005, n. 1996; 7 febbraio 2002, n. 1674). Situazione da accertarsi in base a riscontri obbiettivi e a valutazioni prognostiche che siano basate su fatti aventi carattere indiziario di sicura valenza probatoria (Cass. 28 giugno 2006, n. 15011; 12 maggio 2006, n. 11019), con valutazione di merito che, se adeguatamente motivata, non è censurabile in sede di giudizio di cassazione (Cass. 7 febbraio 2002, n. 1674). E’ infatti del tutto estraneo al giudizio di questa Corte il riesame delle prove e delle valutazioni di merito compiute dalla Corte d’appello, alla quale (come al giudice di primo grado) compete l’individuazione, nell’ambito del materiale probatorio acquisito, degli elementi rilevanti al fine di accertare o negare lo stato di abbandono nel senso sopra indicato e la necessità di fare luogo, nell’interesse esclusivo del corretto sviluppo psicofisico del minore, alla dichiarazione dello stato di adottabilità.

3.2. Nel caso di specie la dichiarazione dello stato di adottabilità ha avuto luogo attraverso due decisioni conformi del giudice di primo grado e della Corte d’appello. Quest’ultima, motivando la decisione impugnata, ha ripercorso dettagliatamente la vicenda che ha portato alla declaratoria dello stato di adottabilità, dando atto dell’intervento dei servizi sociali a sostegno della madre e dei minori P. e Vi. – nati da una relazione fra zio e nipote – inseriti insieme alla madre in una comunità già nel 2004, a causa dello stato d’incuria in cui erano tenuti i minori. La Corte ha rilevato che dopo la successiva nascita del terzo figlio della coppia, D., la madre era stata autorizzata al rientro a casa con il neonato, dove aveva ripreso la convivenza con il padre dei minori, ed era stata disposta l’attivazione del sostegno domiciliare dei servizi sociali, ma il padre, che aveva subito un periodo di carcerazione, al rientro a casa aveva impedito il servizio domiciliare. Si era successivamente constatato che i minori in comunità avevano ottenuto una evoluzione positiva, mentre i genitori, a tre anni dall’intervento dei servizi sociali, non avevano acquisito consapevolezza del comportamento necessario al fine di un adeguato svolgimento delle funzioni genitoriali, perdurando l’atteggiamento aggressivo e violento del padre nei confronti della convivente e l’incapacità di quest’ultima di rendersi autonoma da lui nell’interesse dei figli; i quali, al rientro in comunità dopo essere stati con i genitori, evidenziavano regressi nel comportamento, con atteggiamenti aggressivi e autolesionistici.

Nonostante dopo l’inizio del procedimento di adozione le assistenti sociali avessero dichiarato di essere state oggetto di pesanti minacce da parte del padre dei minori; le e condizioni dei bambini, dopo l’interruzione delle visite ai genitori, apparissero migliorate;

il piccolo D., al momento del suo inserimento a sua volta in una comunità, presentasse difficoltà di linguaggio, si era continuato il sostegno psicologico ai genitori per altri otto mesi, ma al termine di essi lo psicologo che aveva seguito la coppia escludeva ancora che i minori potessero fare rientro in famiglia in tempi brevi, mentre gli operatori delle due comunità in cui erano inseriti i minori, nel ribadire il miglioramento delle loro condizioni sottolineavano l’urgenza di una loro deistituzionalizzazione. Nel quadro così delineato, opponendosi i genitori a un affidamento eterofamiliare, procedutosi all’audizione dei minori P. e Vi. i quali avevano espresso il desiderio di una nuova famiglia, si era giunti alla declaratoria dello stato di adottabilità dei tre minori da parte del tribunale.

Di fronte a tale contesto la Corte d’appello nella sentenza impugnata ha negato la fondatezza del gravame proposto dinanzi ad essa, ritenendo che il comportamento violento e minaccioso del padre dei minori e il comportamento a lui succube della madre – incapace d’interrompere la convivenza quale presupposto per dare ai figli un contesto di vita idoneo a garantirne un adeguato sviluppo psicofisico – era risultato ampiamente dimostrato nel corso del giudizio (vedansi in proposito le emergenze al riguardo citate alle pagg. 8, 9 e 10 della sentenza). La Corte ha parimenti escluso, sulla base di precisi elementi (pagg. 10 e 11 della sentenza) la prevedibilità di un recupero delle capacità genitoriali della coppia in tempi compatibili con le necessità dei minori, già da lungo tempo istituzionalizzati. Nella sentenza, in particolare, ha osservato in proposito che “in effetti, il persistente rifiuto dei genitori a collaborare con i servizi non si è in nulla modificato anche dopo il percorso intrapreso al consultorio, tanto che il servizio sociale del Comune ha riferito che l’atteggiamento ostile, rabbioso e intimidatorio del sig. L. impediva ogni tentativo d’intervento sul nucleo familiare” (relazione 31 luglio 2008). La Corte ha ancora osservato che entrambi i genitori avevano manifestato, nel corso della loro ultima audizione in tribunale del 7 marzo 2009, “la loro decisa opposizione all’eventualità di un affido eterofamiliare” indicato dallo psicologo Dott. I. quale rimedio necessario per sopperire alle loro carenze e si erano “infine, allontanati definitivamente dai servizi” secondo quanto emerso dalla relazione del servizio sociale del 4 novembre 2009, nel corso del giudizio d’appello.

La Corte ha osservato che l’assoluta incapacità di esercitare le funzioni genitoriali e il carattere irreversibile di essa emergevano anche dagli effetti del loro comportamento sui figli, la cui negatività è ampiamente evidenziata a pag. 12 della sentenza, dove si rileva, tra l’altro, che nel periodo in cui si recavano a casa P. e Vi. rientravano in comunità sporchi e malati di bronchite, al punto che la piccola Vi. ebbe bisogno di frequenti ricoveri ospedalieri ed entrambi si mostravano agitati, evidenziando in particolare (verbali di audizione degli operatori del 31 ottobre 2008 e 20 marzo 2009) un atteggiamento da parte del più grande dei minori di rifiuto del padre e di ricerca di figure sostitutive. In tale contesto la Corte d’appello ha inserito le emergenze, dettagliatamente riportate nella sentenza a pag. 13, dell’audizione dei minori, che hanno rivelato la loro evidente esigenza di un ambiente familiare diverso da quello di paura che avevano dovuto sperimentare nella famiglia di origine a causa del comportamento violento del padre. A ulteriore comprova della necessità della declaratoria dello stato di adottabilità, di fronte all’incapacità della madre di rendersi autonoma dal convivente in modo da rendere possibile ai figli una crescita serena, la Corte d’appello ha infine evidenziato che il padre dei minori non solo da un attento esame delle risultanze dello schedario penale è risultato avere riportato in passato ben trenta condanne definitive, tra le quali per reati di atti di libidine violenta, induzione alla prostituzione e violenza carnale aggravata dall’abuso di relazioni domestiche, ma era finito di recente in carcere per rissa, reato per il quale era stato condannato con sentenza ancora non definitiva, così da rendersi evidente l’impossibilità di assicurare ai minori una crescita adeguata nell’ambito di quel contesto familiare.

A fronte del complesso di tali emergenze poste a fondamento della sentenza le censure formulate appaiono infondate, essendo le conclusioni alle quali è pervenuta la Corte conformi con i principi di diritto sopra enunciati – secondo i quali la tutela dei minori, in un contesto che non ne consenta un adeguato sviluppo psicofisico impone la recisione del vincolo con i genitori naturali – e adeguatamente motivate in fatto, spettando unicamente al giudice di merito la valutazione delle prove acquisite e della loro esaustività, anche ai fini di disporne ulteriori quale una CTU, e risultando la decisione adottata sulla base di elementi concreti, riscontri obbiettivi e valutazioni prognostiche basate su fatti aventi carattere di sicura valenza probatoria.

4. Con il ricorso incidentale adesivo si prospettano censure che esulano dal giudizio di legittimità, in quanto sostanzialmente attinenti alla valutazione dei fatti compiuta dalla Corte d’appello, nonchè alla ritenuta esaustività, ai fini del decidere, delle acquisizioni istruttorie compiute. Il ricorso va pertanto dichiarato inammissibile.

Nulla per le spese stante la soccombenza di entrambi i ricorrenti.

PQM

LA CORTE DI CASSAZIONE Riunisce i ricorsi, rigetta il ricorso principale e dichiara inammissibile l’incidentale.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 31 gennaio 2011.

Depositato in Cancelleria il 29 marzo 2011

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