Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7115 del 12/03/2020

Cassazione civile sez. I, 12/03/2020, (ud. 15/01/2020, dep. 12/03/2020), n.7115

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente –

Dott. FEDERICO Guido – rel. Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

Dott. CARADONNA Lunella – Consigliere –

Dott. FIDANZIA Andrea – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 15036/2015 proposto da:

M.A., nella qualità di erede di T.S.,

domiciliata in Roma, Piazza Cavour, presso la Cancelleria Civile

della Corte di Cassazione, rappresentata e difesa dall’avvocato

Carlo Congedo, giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

Unicredit Spa, in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in Roma, Via Bertoloni 44, presso lo

studio dell’avvocato Formaro Antonio, che la rappresenta e difende,

giusta procura in calce al controricorso;

– controricorrente incidentale –

e contro

M.A., nella qualità di erede di T.S.,

domiciliata in Roma, Piazza Cavour, presso la Cancelleria Civile

della Corte di Cassazione, rappresentata e difesa dall’avvocato

Carlo Congedo, giusta procura a margine del ricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 316/2014 della CORTE D’APPELLO di LECCE,

depositata il 09/05/2014;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

15/01/2020 dal Cons. Dott. FEDERICO GUIDO.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con citazione ritualmente notificata T. Concimi srl, T.S., M.A., T.D., T.D.G., Do. e T.F.C. convenivano in giudizio Unicredit Banca d’Impresa spa, esponendo che la T. Concimi srl aveva intrattenuto con Unicredit Banca d’Impresa spa un complesso rapporto, caratterizzato da un’apertura di credito con affidamento mediante scopertura su vari conti correnti.

In particolare, la società attrice aveva concluso un contratto di apertura di credito con affidamento sul conto corrente n. (OMISSIS) acceso nell’anno (OMISSIS) ed aveva concluso un secondo contratto di apertura di credito con affidamento sul c/c n. (OMISSIS).

La banca aveva preteso il rilascio di una fideiussione omnibus da parte di M.A., T.D., D.G., Do., F.C. e S..

T.S., a sua volta, aveva costituito con UniCredit un rapporto bancario, consistente in un’apertura di credito “con affidamento mediante scopertura” su diversi conti correnti: vale a dire il c/c n. (OMISSIS) acceso alla fine degli anni ‘50 e successivamente sul conto corrente n. (OMISSIS).

Gli attori deducevano la nullità della clausola di determinazione degli interessi ultra legali, mediante rinvio al c.d.” uso piazza”, l’illegittimità della capitalizzazione trimestrale degli interessi e della commissione massimo scoperto, nonchè l’errato addebito dei giorni valuta e spese e l’illegittima segnalazione alla centrale rischi da parte della convenuta.

Unicredit resisteva, concludendo per il rigetto della domanda ed in via riconvenzionale chiedeva la condanna solidale di T. Concimi srl e dei fideiussori M.A., T.D., D.G., Do., F.C. e S. al pagamento di complessivi Euro 1.309.432,36.

Il Tribunale di Lecce dichiarava la nullità delle clausole relative alla determinazione dell’interesse ultra legale secondo gli usi di piazza ed alla capitalizzazione trimestrale degli interessi, nonchè la clausola relativa agli addebiti per “commissione massimo scoperto”, valuta e spese.

Il giudice di prime cure accoglieva inoltre la domanda riconvenzionale proposta da Unicredit nei confronti della T. Concimi e per l’effetto condannava quest’ultima al pagamento in favore dell’istituto di credito di 266.966,04 Euro oltre ad interessi legali, nonchè la domanda proposta da T.S. e per l’effetto condannava Unicredit al pagamento di 2.247.357,26 Euro oltre ad interessi.

La Corte d’Appello di Lecce, espletata nuova consulenza contabile, con sentenza n. 316/14, dichiarava inammissibile l’appello proposto nei confronti della T. Concimi e dei fideiussori M.A., T.D., D.G., Do. e F.C., poichè Unicredit Banca di Roma aveva impugnato i soli capi della sentenza di primo grado aventi ad oggetto la declaratoria di nullità parziale dei contratti n. (OMISSIS) e (OMISSIS) intercorsi con T.S., i quali non erano assistiti da fideiussione.

Il giudice di appello, inoltre, rilevava che la banca aveva sollevato rituale eccezione di prescrizione della domanda di ripetizione di indebito proposta dal correntista con riferimento al solo conto corrente n. (OMISSIS); con riferimento a tale rapporto, accoglieva l’eccezione di prescrizione in relazione ai versamenti solutori extra-fido; rideterminava inoltre, sulla base della nuova consulenza contabile, l’ammontare degli interessi a credito del T., mentre, in accoglimento dell’appello della banca, detraeva dall’importo complessivamente attribuito a T.S. l’ammontare delle somme per ritenute fiscali, in misura del 27% sugli interessi attivi riconosciuti.

Sulla base di ciò, condannava la banca al pagamento, in favore di M.A., costituitasi in qualità di erede universale di T.S., al pagamento di 206.221,23 Euro con riferimento al conto corrente n. (OMISSIS) e di 2.602.566,84 Euro con riferimento al conto corrente n. (OMISSIS).

La Corte territoriale condannava inoltre Unicredit alla rettifica delle comunicazioni inviate alla Centrale Rischi presso la Banca d’Italia.

Avverso detta sentenza ricorre per cassazione, con tre motivi, M.A., cui resiste con controricorso Unicredit spa, la quale propone ricorso incidentale, con due motivi, cui la M. resiste con controricorso.

In prossimità dell’odierna adunanza, entrambi i ricorrenti hanno depositato memoria illustrativa.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Il primo motivo del ricorso principale denuncia violazione di legge e vizio di carenza motivazionale, censurando la statuizione della sentenza impugnata che, con riferimento al c/c n. (OMISSIS), ha ritenuto che fosse maturata la prescrizione dell’azione di ripetizione di indebito delle singole rimesse per aver erroneamente fatto decorrere il relativo termine dall’annotazione delle operazioni, invece che dalla chiusura del conto.

Il motivo è infondato.

La Corte territoriale ha fatto applicazione del consolidato indirizzo di questa Corte secondo cui, se i versamenti eseguiti dal correntista in pendenza del rapporto abbiano unicamente funzione “ripristinatoria” della provvista la prescrizione decorre dalla chiusura del conto, mentre nel caso di versamenti solutori – in quanto il conto non sia affidato, ovvero il cliente abbia operato sconfinando dall’affidamento concesso – la prescrizione decorre dal singolo versamento (Cass. sez. u. 24418/2010).

Secondo la prospettazione della ricorrente, inoltre, la banca non avrebbe mai specificamente sollevato l’eccezione di prescrizione delle sole operazioni effettuate extra fido, con conseguente genericità ed inammissibilità dell’eccezione.

Il rilievo non ha pregio.

Come già evidenziato, l’azione di ripetizione di indebito, proposta dal cliente di una banca, il quale lamenti la nullità della clausola di capitalizzazione trimestrale degli interessi anatocistici maturati con riguardo ad un contratto di apertura di credito bancario regolato in conto corrente, è soggetta all’ordinaria prescrizione decennale, la quale decorre, nell’ipotesi in cui i versamenti abbiano avuto solo funzione ripristinatoria della provvista, non dalla data di annotazione in conto di ogni singola posta di interessi illegittimamente addebitati, ma dalla data di estinzione del saldo di chiusura del conto, in cui gli interessi non dovuti sono stati registrati. Infatti, nell’anzidetta ipotesi ciascun versamento non configura un pagamento dal quale far decorrere, ove ritenuto indebito, il termine prescrizionale del diritto alla ripetizione, giacchè il pagamento che può dar vita ad una pretesa restitutoria è esclusivamente quello che si sia tradotto nell’esecuzione di una prestazione da parte del “solvens” con conseguente spostamento patrimoniale in favore dell'”accipiens” (Sez. U. Cass. 24418/2010).

Da ciò consegue che nel contratto di apertura di credito bancario regolato in conto corrente, ove il cliente agisca nei confronti della banca per la ripetizione d’importi relativi ad interessi non dovuti, è necessario distinguere i versamenti riprìstinatori della provvista, operati nel limite dell’affidamento concesso al cliente, da quelli solutori, ovvero effettuati oltre tale limite ai fini della decorrenza della prescrizione decennale dell’azione rispettivamente dalla estinzione del conto o dai singoli versamenti.

La decorrenza della prescrizione, infatti, dipende dal carattere solutorio – e non meramente ripristinatorio – dei versamenti effettuati dal cliente.

Ai fini della valida proposizione dell’eccezione, peraltro, non è necessario che la banca indichi specificamente le rimesse prescritte, nè il relativo “dies a quo”, emergendo la natura “ripristinatorià o “solutoria” dei singoli versamenti dagli estratti-conto, della cui produzione in giudizio è onerato il cliente, sicchè la prova degli elementi utili ai fini dell’applicazione della prescrizione è nella disponibilità del giudice che deve decidere la questione.

Deve dunque concludersi che, come recentemente affermato dalle sezioni unite di questa Corte, l’onere di allegazione gravante sull’istituto di credito che voglia opporre l’eccezione di prescrizione al correntista che abbia esperito l’azione di ripetizione di somme indebitamente pagate nel corso del rapporto di conto corrente assistito da apertura di credito, è soddisfatto con l’affermazione dell’inerzia del titolare del diritto e la dichiarazione di volerne profittare, senza che sia necessaria l’indicazione delle specifiche rimesse solutorie (Cass. Sez. U. 15895/2019).

Il secondo motivo denuncia la violazione dell’art. 342 c.p.c. (nella formulazione applicabile ratione temporis) e vizio di carenza motivazionale, in relazione alla statuizione della sentenza impugnata che ha rigettato la richiesta dell’odierna ricorrente di far riferimento ad un saldo iniziale pari a “zero” per la rideterminazione del calcolo degli interessi sui due conti correnti oggetto di causa, non avendo la banca provato il saldo iniziale evidenziato nel primo estratto conto prodotto.

Il motivo è inammissibile in quanto non censura in modo specifico la ratio posta a fondamento della statuizione impugnata, vale a dire il fatto che nell’atto di citazione dell’attrice, a fronte della domanda di accertamento e di condanna della banca, non vi era alcun riferimento al c.d. “saldo zero” del conto corrente.

In relazione a tale affermazione la parte non ha riportato il contenuto dell’atto di citazione onde consentire a questa Corte di valutare adeguatamente la specificità e completezza della domanda.

Il giudice di appello, inoltre, ha affermato la genericità dell’appello incidentale sul punto.

Neppure tale statuizione risulta adeguatamente contrastata dallo stralcio dell’atto di impugnazione riportato nel ricorso: in esso la parte si limita a far riferimento al mancato assolvimento dell’onere della prova da parte dell’istituto di credito, fermo restando che gravava sul correntista l’onere di allegazione in relazione alle somme oggetto della domanda di ripetizione e dunque l’onere di determinare il quantum della domanda sulla base delle risultanze del rapporto di conto corrente.

Il terzo motivo denuncia l’omessa e contraddittoria motivazione ex art. 360 c.p.c., n. 5) e la violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., per avere il giudice di appello recepito, quanto alla determinazione del saldo del conto corrente, le risultanze della consulenza contabile.

La ricorrente in particolare deduce che:

a) la Corte d’appello, pur avendo dichiarato la nullità della clausola di capitalizzazione trimestrale degli interessi debitori (dovuti dal correntista) avrebbe fatto propri i conteggi della Ctu, che aveva escluso la capitalizzazione anche per gli interessi creditori (in favore del correntista), mentre per questi ultimi avrebbe dovuto applicare la capitalizzazione annuale;

b) la Corte, inoltre, pur rilevando il passaggio in giudicato della statuizione che ha affermato la nullità della clausola relativa alle spese forfettarie di tenuta conto per indeterminatezza dell’oggetto, non avrebbe detratto tali spese dal saldo riconosciuto in favore del cliente.

Il motivo non ha pregio.

Conviene premettere che il vizio di carenza motivazionale è inammissibile, in base alla nuova formulazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5), applicabile ratione temporis, potendo unicamente farsi valere l’omesso esame di un fatto decisivo.

Ciò posto, anche con riferimento alla dedotta violazione di legge ambedue le censure sono infondate.

Quanto alla censura sub a), la nullità della clausola di capitalizzazione trimestrale degli interessi maturati con riguardo ad un contratto di apertura di credito bancario regolato in conto corrente e negoziato dalle parti in data anteriore al 22 aprile 2000, per contrasto con il divieto di anatocismo stabilito dall’art. 1283 c.c., comporta che il giudice deve calcolare gli interessi senza operare alcuna capitalizzazione (Cass. 17150 del 2016).

Tale conclusione, che discende dalla nullità della capitalizzazione trimestrale per violazione dell’art. 1283 c.c., vale evidentemente sia per gli interessi a debito che per quelli a credito del cliente, ove anche per essi sia stata prevista la suddetta capitalizzazione trimestrale, posto che l’art. 1283 c.c., non opera al riguardo alcuna distinzione.

La censura sub b) è inammissibile per difetto di autosufficienza, in quanto non risulta in alcun modo che la Corte territoriale, affermata la nullità per indeterminatezza della clausola circa le spese di tenuta del conto corrente, abbia poi omesso di escludere tali spese dal saldo del conto corrente medesimo.

Passando al ricorso incidentale, con il primo motivo la banca denuncia la violazione dell’art. 2946 c.c., nonchè l’omesso esame di un fatto decisivo, censurando la statuizione della Corte territoriale secondo cui l’eccezione di prescrizione risultava ritualmente sollevata dalla banca unicamente con riferimento al c/c n. (OMISSIS) e non anche con riferimento all’altro rapporto di conto corrente, contraddistinto con il n. (OMISSIS).

La ricorrente deduce, al contrario, di aver sollevato l’eccezione di prescrizione in relazione a “qualsivoglia pretesa creditoria”, compresa dunque quella relativa al conto corrente n. (OMISSIS), rilevando che non risulta ravvisabile alcuna rinuncia da parte sua ad avvalersi della prescrizione per il conto corrente n. (OMISSIS).

Il motivo è infondato.

La Corte territoriale, sulla base della complessiva interpretazione della comparsa di costituzione nel giudizio di primo grado della banca, ha ritenuto che l’eccezione di prescrizione fosse stata ritualmente sollevata dalla banca unicamente in relazione al conto corrente n. (OMISSIS), in virtù del riferimento specifico, contenuto nel corpo dell’atto e nelle conclusioni dello stesso soltanto a tale contro corrente ed ha rilevato la assoluta genericità del riferimento iniziale alla prescrizione di “qualsivoglia pretesa creditoria” contenuta nella premessa, priva di alcun elemento che consenta di riferire la suddetta eccezione ad un rapporto diverso da quello indicato nella comparsa di costituzione e risposta, vale a dire il rapporto n. (OMISSIS).

La statuizione è conforme a diritto.

Deve anzitutto rilevarsi che, nonostante la rubrica indicata (per il carattere non vincolante della rubrica, vedi Cass. Sez. U. n. 17931 del 2013), la censura sollevata dalla ricorrente deve qualificarsi come vizio processuale, che si sostanzia nella deduzione di un’attività “deviante” rispetto al modello prescritto dal legislatore, ed in particolare un vizio afferente a portata e contenuto della comparsa di costituzione e risposta, come valutata dal giudice di merito; da ciò consegue che il giudice di legittimità non deve limitare la propria cognizione all’esame della sufficienza e logicità della motivazione con cui il giudice di merito ha vagliato la questione, ma è investito del potere di esaminare direttamente gli atti sui quali il ricorso si fonda (Cass. Sez. U., 8077 del 2012).

Orbene, sulla base dell’esame della comparsa di costituzione e risposta della odierna ricorrente nel giudizio di primo grado, ritiene il Collegio che l’eccezione di prescrizione sia stata sollevata dalla banca con riferimento al solo conto corrente n. (OMISSIS).

Ed invero, il generico accenno, a pag. 6 della comparsa di costituzione, nella premessa della trattazione in diritto, “alla prescrizione di qualsivoglia pretesa creditoria”, non è idonea a far ritenere che l’eccezione di prescrizione sia stata proposta anche in relazione al conto corrente n. (OMISSIS).

La parte dell’atto difensivo relativo all’eccezione di prescrizione si riferisce al solo conto corrente n. (OMISSIS).

Non solo la rubrica si intitola ” 1. Prescrizione del diritto e della domanda relativa al conto corrente n. (OMISSIS)”, ma lo stesso contenuto del paragrafo, sin dall’assunto iniziale (“Si deduce, in via preliminare, l’avvenuta prescrizione del presunto credito rivendicato dall’istante relativamente al conto corrente n. (OMISSIS), acceso il (OMISSIS) ed estinto il (OMISSIS)) concerne unicamente tale rapporto, mentre non vi è alcun riferimento, neppure indiretto, al diverso rapporto di conto corrente, identificato con il n. (OMISSIS), nè ad altri rapporti contrattuali.

Le conclusioni contenute nella comparsa di costituzione e risposta, inoltre, a conferma di tale rilievo, risultano cosi formulate:

” In via preliminare

– rigettare le domande di parte attrice, relativamente al conto corrente n. (OMISSIS) in quanto prescritte, per i motivi indicati in comparsa di costituzione e risposta, ai sensi dell’art. 1442 c.c. e art. 2948 c.c., n. 4, o, in subordine, ai sensi dell’art. 2946 c.c.;

rigettare la domanda attorea e dichiarare inammissibile l’odierna azione per carenza di prova”.

Nessun riferimento è dunque contenuto alla prescrizione delle rimesse del conto corrente n. (OMISSIS), nè nella narrazione, nè nelle conclusioni dell’atto difensivo.

Non può quindi condividersi la prospettazione dalla ricorrente incidentale, secondo cui il riferimento, contenuto nelle conclusioni della comparsa di costituzione e risposta, al solo conto n. (OMISSIS) non ha implicato alcuna volontà abdicativa da parte della banca in relazione a tale rapporto ((OMISSIS)).

Non si tratta infatti di attribuire rilievo al dato, meramente formale, della mancata indicazione del rapporto n. (OMISSIS) nelle conclusioni, ma di rilevare che in relazione a tale rapporto l’eccezione di prescrizione non risulta mai formulata, neppure indirettamente, nel corpo dell’atto, mentre, come già evidenziato, non può attribuirsi rilievo, per la sua assoluta indeterminatezza, al generico riferimento, contenuto nella premessa, “a qualsivoglia pretesa creditoria”.

E’ infatti evidente che in presenza di una pluralità di rapporti tra le medesime parti, l’eccezione di prescrizione, compiutamente formulata in relazione ad uno di essi, o meglio ai crediti derivanti da uno di essi, non può automaticamente estendersi agli altri rapporti giuridici ed alle pretese da essi scaturenti, a pena di incorrere nel vizio di ultra-petizione.

Nè appare configurabile la formazione di un giudicato interno, sulla rituale formulazione dell’eccezione anche con riferimento al conto corrente n. (OMISSIS), come dedotto dalla ricorrente incidentale.

L’eccezione di prescrizione del diritto del correntista alla ripetizione delle somme indebitamente corrisposte è stata rigettata dal primo giudice nel merito, per mancato decorso del relativo termine (in conseguenza della individuazione del dies a quo nella data di chiusura del rapporto).

La sentenza di primo grado, peraltro, non ha pronunciato sulla questione se l’eccezione di prescrizione sollevata dalla banca si riferisse ad entrambi i rapporti o al solo rapporto n. (OMISSIS) e dunque non appare ravvisabile la formazione di un giudicato, neppure implicito, sull’ammissibilità e ritualità dell’eccezione di prescrizione con riferimento al conto corrente n. (OMISSIS).

Ed invero, come questa Corte ha già affermato, l’esame, in sede d’impugnazione, di questioni pregiudiziali o preliminari, rilevabili d’ufficio, resta precluso per effetto del giudicato interno formatosi sulla pronuncia che abbia esplicitamente risolto tali questioni, ovvero sulla pronuncia che, nel provvedere su alcuni capi della domanda, abbia necessariamente statuito per implicito sulle medesime.

Tale preclusione non si verifica, invece, quando il capo della sentenza che comporti, con una decisione di merito, la definizione implicita di questioni pregiudiziali o preliminari sia investito dalla impugnazione, ancorchè limitatamente alla suddetta pronuncia di merito.

Deve pertanto escludersi che possa ritenersi formato il giudicato implicito sull’ammissibilità dell’eccezione di prescrizione – tale da precludere, in sede di appello, il rilievo officioso della contraria inammissibilità di questa eccezione, allorchè la sentenza di primo grado, la quale abbia provveduto, denegandolo, sul fondamento, nel merito, di detta eccezione, senza peraltro statuire espressamente sull’anzidetta ammissibilità, sia stata impugnata in secondo grado per ragioni di merito (Cass. 11318/2005).

In conclusione, il giudicato implicito richiede, per la sua formazione, che tra la questione decisa in modo espresso e quella che si deduce essere stata risolta implicitamente, sussista un rapporto di dipendenza indissolubile, tale da determinare l’assoluta inutilità di una decisione sulla seconda questione e che la questione decisa in modo espresso non sia stata impugnata (Sez. U. Cass. 6632/2003); il che non è ravvisabile, per quanto sopra evidenziato, nel caso di specie.

Il secondo motivo di ricorso incidentale denuncia violazione di legge ed omesso esame di un fatto decisivo, in merito alla qualificazione dei versamenti effettuati dal correntista quali “pagamenti”, deducendo che il giudice di appello avrebbe omesso di considerare l’irripetibilità delle somme di cui non era stato provato l’avvenuto pagamento.

Il motivo è inammissibile, in quanto concerne una questione che è stata dedotta soltanto nella comparsa conclusionale del giudizio di appello: essa non è stata trattata nella sentenza impugnata, onde nessuna pronuncia è stata resa al riguardo.

Con l’atto di appello la banca non ha impugnato il capo della sentenza che ha (implicitamente) affermato la natura di pagamenti indebiti delle somme alla cui restituzione essa appellante era stata condannata in primo grado: l’istituto di credito non ha contestato il presupposto dell’azione di ripetizione di indebito per mancanza di pagamenti ripetibili, facendo valere la distinzione tra versamenti solutori e ripristinatori (della provvista) ai soli fini dell’eccezione di prescrizione ed ha affermato che ogni rimessa effettuata su un conto corrente “scoperto” costituisce autonomo pagamento di un debito liquido ed esigibile verso la banca, facendo da ciò discendere l’intervenuta prescrizione di ogni pretesa di parte attrice fino al gennaio 1995, essendo stata la causa introdotta nel gennaio 2005.

In mancanza di appello sul capo della sentenza che ha accolto la domanda di ripetizione del correntista, sul presupposto della natura di “pagamenti” delle rimesse da lui effettuate, deve ritenersi che si sia formato sul punto il giudicato interno, con conseguente preclusione di un riesame della questione.

Non risulta che la banca, con l’atto di appello, abbia fatto oggetto di impugnazione quanto dedotto (soltanto) nelle successive difese, e segnatamente in comparsa conclusionale e dunque tardivamente, vale a dire l’inammissibilità della domanda di ripetizione spiegata dal correntista in relazione al conto corrente n. (OMISSIS) poichè la domanda di ripetizione di indebito non può essere esperita in presenza di un conto corrente ancora “aperto”.

In conclusione, va respinto sia il ricorso principale che quello incidentale e, considerata la soccombenza reciproca, deve disporsi l’integrale compensazione tra le parti delle spese del presente giudizio.

Va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, per il versamento, da parte della ricorrente principale e di quella incidentale, dell’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello dovuto, rispettivamente, per il ricorso principale e per quello incidentale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

PQM

La Corte rigetta il ricorso principale e quello incidentale.

Spese compensate.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente principale e di quella incidentale, dell’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello dovuto, rispettivamente, per il ricorso principale e per quello incidentale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 15 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 12 marzo 2020

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