Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7112 del 12/04/2016


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Civile Sent. Sez. U Num. 7112 Anno 2016
Presidente: AMOROSO GIOVANNI
Relatore: AMBROSIO ANNAMARIA

Data pubblicazione: 12/04/2016

SENTENZA

sul ricorso 9532-2014 proposto da:
GERAWA S.R.L., in persona del legale rappresentante pro
tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA GTOSUE’
BORSI 4, presso lo studio dell’avvocato FEDERICA
SCAFARELLI, che la rappresenta e difende unitamente
all’avvocato ARTHUR FREI, per delega in
ricorso;

calce

al

- ricorrente contro

PROVINCIA AUTONOMA DI BOLZANO, in persona del Presidente
pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA
BASSANO DEL GRAPPA 24, presso lo studio dell’avvocato

agli avvocati CRISTINA BERNARD’, RENATE VON GUGGENBERG,
LAURA FADANELLI e STERHAN BEIKIRCHER, per delega a
margine del controricorso;
– controricorrente –

avverso la sentenza n. 21/2014 del TRIBUNALE SUPERIORE
DELLE ACQUE’, PURRLWAIR, dermnitatn il 22/0112014;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 23/02/2016 dal Consigliere Dott. ANNAMARIA
AMBROSIO;
uditi gli avvocati Federica SCAFARELLI, e Luca GRAZIANI
per delega dell’avvocato Michele Costa;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. CARMELO SGROI, che ha concluso per il
rigetto del ricorso.

MICHELE COSTA, che la rappresenta e difende unitamente

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza n. 21 del 22 gennaio 2014 il Tribunale Superiore delle
Acque Pubbliche, in sede di cognizione diretta, ha rigettato il ricorso
proposto dalla s.r.l. Gerawa avverso il provvedimento in data 28 agosto
2011 con il quale l’Assessore all’urbanistica, ambiente ed energia della
Provincia Autonoma di Bolzano aveva dichiarato inammissibile la domanda
della ricorrente intesa ad ottenere la derivazione d’acqua (per una potenza
nominale media annua inferiore a 3000 KW) a scopo idroelettrico dal Rio
Avigna al Rio Valas, nel territorio del comune di San Genesio (BZ), in
considerazione della mancanza del titolo comprovante la disponibilità delle
aree, giusta quanto previsto dall’art. 3 L.P. 30 settembre 2005, n.7, così
come modificato dall’ar, 10 L.P. 22 gennaio 2010, n.2.
Il T.S.A.P. ha, innanzitutto, evidenziato che la normativa provinciale di
riferimento aveva superato il vaglio di legittimità, avendo il Giudice delle
leggi (con sentenza 31 maggio 2013, n. 114) dichiarato, in parte,
inammissibili e, in parte, infondate le questioni di legittimità costituzionale
sollevate dallo stesso T.S.A.P. nell’ambito di altri giudizi, intentati nei
confronti di provvedimenti di analogo tenore, relativamente agli artt. 10,
comma 1. e 11 della legge della Provincia autonoma di Bolzano 22 gennaio
2010, n. 2, nonché all’articolo 24, comma 1, della legge della stessa
Provincia 21 dicembre 2011, n. 15; inoltre la Corte costituzionale aveva
dichiarato inammissibile la questione di legittimità costituzionale della
medesima normativa in relazione a profili di contrasto con i principi e le
direttive comunitarie (segnatamente, in riferimento agli artt. 34, 49 e 56 del
Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, e alle direttive comunitarie
2003/54/CE e 2001/77/CE) per genericità della prospettazione, omessa
indicazione del contenuto dei parametri di riferimento e carente motivazione
in ordine alle ragioni per cui le disposizioni censurate ne comporterebbero la
violazione.
Il T.S.A.P. ha, quindi, ribadito con riferimento agli artt. 3, 41 e 117 Cost,
la ragionevolezza della scelta del legislatore provinciale, nell’ambito della
sua competenza esclusiva in materia di espropriazione per pubblica utilità, di
sottrarre al procedimento espropriativo le aree interessate dalle opere per la
realizzazione di impianti di piccola e media derivazione; ha, altresì, ritenuto

I

..

insussistente il contrasto con la normativa comunitaria, sia per la non
pertinenza delle tre direttive comunitarie invocate dalla ricorrente alla
specifica materia delle piccole derivazioni di acque, sia perché trattasi di
questione puramente interna.
Avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione la s.r.l.
Gerawa, svolgendo due articolati motivi, con i quali ripropone le questioni di
legittimità costituzionale con riferimento alla riserva esclusiva statale in

quattro direttive comunitarie in materia di fonti energetiche rinnovabili.
Ha resistito la Provincia di Balzano, depositando controricorso.
E’ stata depositata memoria di replica della ricorrente, la quale ha
rilevato che, nelle more del giudizio, è intervenuto un mutamento
nell’orientamento della Corte costituzionale (sentenza n. 298 del 2013 con
riguardo a q.l.c. dell’art. 35, comma 7, della legge della Regione autonoma
Friuli-Venezia Giulia n. 19 del 2012) e che a tanto si è adeguata la Provincia
autonoma di Balzano, emanando la legge 26 gennaio 2015, n.2 per
disciplinare l’attivazione delle piccole e medie derivazioni d’acqua per la
produzione di energia elettrica e prevedendo che gli impianti tra 220 KW e
3000 KW sono di pubblica utilità.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo di ricorso si denuncia violazione o falsa
applicazione (ai sensi dell’art. 360 n. 3 cod. proc. civ.) dell’art. 12 D.Lgs. n.
387 del 2003 (secondo cui “Le opere per la realizzazione degli impianti
alimentati da fonti rinnovabili, nonché le opere connesse e le infrastrutture
indispensabili alla costruzione e all’esercizio degli stessi impianti … sono di
pubblica utilità ed indifferibili ed urgenti”) in comb. disp. con l’art. 3 della L.
30 settembre 2005, n.7 e del capo I (“concessioni e riconoscimenti utenze”:
artt. 1-57) in particolare degli artt. 6, 7, 8 e 9 del R.D. n. 1775 dei 1933,
nonché illegittimità costituzionale dell’art. 10 della L.P. del 22 gennaio 2010
n. 2 e dell’art. 24 co.1 della L. P. n. 15 del 21 dicembre 2011. Al riguardo
parte ricorrente osserva che – ancor prima dell’espressa previsione
contenuta nell’ultima parte dell’art. 24 cit. (“sono considerate di pubblica
utilità le opere per impianti con potenza nominale superiore a 3 MW”) – il
disposto dell’art. 10 della L.P. n. 2 del 2010 (nel testo qui applicato),
secondo cui occorre l’immediata disponibilità del titolo, a pena di

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eSQACLI

materia di concorrenza e lamenta la disapplicazione di principi espressi con

inammissibilità della domanda, rende di fatto inapplicabili modalità di
acquisto diverse da quella contrattuale, dal momento che il procedimento
ablatorio e la costituzione di servitù coattive presuppongono il rilascio della
concessione o quantomeno la ragionevole certezza che la concessione venga
rilasciata; lamenta, quindi, che la Provincia autonoma, sebbene titolare di
una competenza primaria in tema di espropriazione per p.u. nelle materie ad
esse riservate, abbia violato, nel settore del mercato della produzione

settore, strumentali ad assicurare le libertà comunitarie, nonchè le
disposizioni contenute nel D.Lgs. n. 387/2003; osserva, in particolare, che il
disposto dell’art. 12 del cit. D.Lgs. costituisce misura chiaramente proconcorrenziale, favorendo l’accesso al mercato della produzione dell’energia
da fonti rinnovabili e che la disciplina statale è stata sostituita a livello
provinciale da una disciplina ad effetti diametralmente opposti; e ciò
nonostante la concorrenza costituisca un limite anche alle competenze
primarie (Corte cost. sentenza n. 45 del 2010) e il principio del libero
mercato concorrenziale integri principio fondamentale in materia di
produzione dell’energia elettrica (Corte cost. sentenza n. 310 del 2011);
anche perché la bipartizione delle utenze di acque pubbliche costituisce un
concetto giuridico determinante a fini diversi da quelli che qui rilevano e non
consente di affermare che siffatti impianti abbiano una “ridotta valenza
economica”.
1.1. In contrario senso la resistente osserva che la disciplina in oggetto come rilevato dalla Corte costituzionale con sentenza n. 114 del 2013 e
ribadito in analoga fattispecie con sentenza n. 64 del 2014 – rientra nella
competenza legislativa esclusiva della Provincia autonoma di Bolzano in
materia di espropriazioni per pubblica utilità per tutte le materie di
competenza provinciale e in quella concorrente in materia di piccole
derivazioni a scopo idroelettrico; che l’assunto della ricorrente poggia su una
contraddizione in termini, postulando che in un mercato libero la P.A. debba
procedere all’espropriazione dei terreni necessari, di tal chè il mercato non
potrebbe ritenersi più completamente libero; che la tutela della proprietà
privata appartiene anche al diritto europeo, risultando costante
l’affermazione secondo cui una misura che costituisce interferenza nel diritto
al rispetto dei beni deve trovare “il giusto equilibrio” tra le esigenze

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idroelettrica, i principi della tutela della concorrenza tra gli operatori del

nell’interesse generale della comunità e le esigenze imperative di
salvaguardia dei diritti fondamentali dell’individuo.
2. Con il secondo motivo di ricorso si denuncia violazione della direttiva
96/92/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 19 dicembre 1996;
della direttiva 2001/77/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 27
settembre 2001; della direttiva 2003/54/CE del Parlamento europeo e del

europeo e del Consiglio del 13 luglio 2009; violazione dell’art. 288 del
T.F.U.E. sotto il profilo dell’erronea trasposizione delle direttive, nonché
violazione del dovere di interpretazione conforme e di disapplicazione delle
norme interne contrastanti con l’ordinamento comunitario, nonché dell’art.
53 della L. n.234 del 2012 (che abroga e sostituisce l’art. 14 bis della L.
11/2005) in relazione all’art. 360 n. 3 cod. proc. civ.. Al riguardo parte
ricorrente contesta quanto rilevato dal T.S.A.P. in ordine all’attinenza della
normativa all’esame a “situazioni puramente interne”; lamenta, dunque, la
violazione delle direttive europee in rubrica, osservando che è di palmare
evidenza l’insanabile contrasto tra i principi da essi predicati per la
promozione dell’energia prodotta da fonti energetiche rinnovabili e per la
realizzazione di un mercato dell’energia completamente aperto,
concorrenziale, sicuro e sostenibile dal punto di vista ambientale, da un lato,
e l’art. 10 della L.P. n. 2 del 2010, dall’altro; in particolare, a parere della
ricorrente, quest’ultima norma contiene una disposizione anticompetiva,
clientelare, che restringe la concorrenza e provoca la chiusura del mercato,
non promuove, ma ostacola la produzione dell’energia elettrica da fonte
idroelettrica, aggrava il procedimento e pone una grave discriminazione tra
gli operatori fondata sulla proprietà dei fondi, così creando pure una
discriminazione “indiretta” basata sulla nazionalità, in quanto normalmente
gli stranieri non sono proprietari di fondi in agricoli nelle zone montane
dell’Alto Adige.
Sulla base di queste premesse la ricorrente ha chiesto il rinvio
pregiudiziale alla Corte di giustizia dell’Unione europea ai sensi dell’art. 267
T.F.U.E. del quesito sul contrasto della normativa denunciata con gli invocati
articoli dello stesso TFUE e direttive CE..
2.1. In contrario senso la resistente Provincia osserva che dalle
richiamate direttive non è dato evincere alcuna limitazione in ordine al

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Consiglio del 26 giugno 2003; della direttiva 2009/72/CE del Parlamento

momento in cui deve essere fornita la prova del possesso; che, in
_ particolare la direttiva 2003/54/CE del Parlamento europeo e del Consiglio
del 26 giugno 2003 sulla promozione dell’energia elettrica prodotta da fonti
energetiche rinnovabili sul mercato interno dell’elettricità, è principalmente
finalizzata alla tutela del consumatore; che proprio l’obbligo di produrre il
titolo comprovante la disponibilità delle aree interessate dagli eventuali

dominante sui mercato; che la direttiva 2009/28/CE del Parlamento europeo
e del Consiglio del 28 aprile 2009 sulla promozione dell’uso dell’energia
elettrica prodotta da fonti rinnovabili recante modifica e abrogazione delle
direttive 2001/77/CE e della direttiva 2003/30/CE non è vincolante; che, in
ogni caso la legge provinciale non potrebbe porsi in contrasto con la
direttiva, tenuto conto che le centrali idrolettriche dell’Alto Adige superano
largamente con il loro fabbisogno l’obiettivo comunitario; che, in questa
prospettiva, il legislatore provinciale ha ritenuto di riservare le procedure
coattive ai soli impianti idroelettrici di grandi dimensioni ove l’interesse
pubblico è evidente e dove l’esigenza di un mercato aperto e concorrenziale
è effettivamente imprescindibile.
2. Queste le argomentazioni hinc et inde a sostegno delle opposte tesi
difensive, il thema decidendum risulta individuato nella legittimità o meno
del diniego di accesso dell’odierna ricorrente alla procedura di concessione di
derivazione d’acqua (per una potenza nominale media annua superiore a
200 KW e inferiore a 3.000 KW), conseguente al provvedimento di
inammissibilità emesso dal competente assessore della Provincia di Bolzano
in data 28 agosto 2011, in forza della normativa provinciale in materia di
piccole e medie derivazioni idriche (oggetto di ripetute modifiche), che, nella
formulazione vigente alla data del provvedimento, per quanto qui
segnatamente rileva, prevede(va):
«l’assessore provinciale competente in materia di acque pubbliche
dichiara altresì inammissibili le domande di derivazione a scopo idroelettrico
con una potenza nominale media fino a 3 MW, non corredate del titolo
comprovante la disponibilità delle aree interessate dagli eventuali impianti e
infrastrutture da realizzare» (art. 10, comma 1 L.P. 22 gennaio 2010, n. 2);
e inoltre: «per le domande di derivazione a scopo idroelettrico con una
potenza nominale media fino a 3 MW, già presentate e non ancora istruite, il

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impianti e infrastrutture è idoneo ad evitare il costituirsi di una posizione

titolo comprovante la disponibilità delle aree interessate dagli eventuali
impianti e infrastrutture da realizzare va presentato entro e non oltre i
cinque mesi successivi all’entrata in vigore della presente disposizione» (art.
11, comma 1, della cit. L. n.2 del 2010).
Da siffatta normativa – e, in specie, dall’art. 3, comma 5 della L. 30
settembre 2005, n. 7 del 2005 (come modificato dall’art. 10 co.1 della cit. L.
n. 2 del 2010), con il quale si è negata la possibilità di rilasciare la

richiedente della “disponibilità” delle aree interessate – emerge, con
chiarezza, l’esclusione della dichiarazione di pubblica utilità e della possibilità
di esproprio per gli impianti di piccola e media dimensione, posto che questa
avrebbe presupposto l’avvenuta concessione o almeno la ragionevole
certezza della relativa concessione; il che è, del resto, confermato dal
disposto dell’art. 24 comma 1 ult. periodo L. P. n. 15 del 2011 (norma,
quest’ultima intervenuta nel corso del giudizio) secondo cui:

«sono

considerate di pubblica utilità le opere per impianti con potenza nominale
superiore a 3 MW».
Su questo nucleo normativo si incentrano le censure di costituzionalità di
parte ricorrente, segnatamente con riguardo al pregiudizio della libera
concorrenza conseguente all’operato collegamento tra la capacità
dimensionale dell’impianto e la pubblica utilità dell’opera, oltre che al
ritenuto contrasto con le direttive comunitarie, funzionali, tra l’altro, alla
realizzazione di un mercato non monopolistico delle fonti energetiche
rinnovabili, alla riduzione di ostacoli normativi all’aumento della produzione
di elettricità, nonché all’affermazione della parità di condizioni nella
costruzione di impianti generatori di elettricità.
2.1. Come evidenziato dalla ricorrente nella memoria ex art. 378 cod.
proc. civ., nelle more del presente giudizio di cassazione, il legislatore della
Provincia di Bolzano è (nuovamente) intervenuto con legge 26 gennaio 2015
n.2, entrata in vigore il 18 febbraio 2015, per disciplinare l’attivazione delle
piccole e medie derivazioni d’acqua per la produzione di energia elettrica. In
particolare in forza dell’art. 10, comma 1 della cit. L.P. n. 2 del 2015, «le
infrastrutture indispensabili per gli impianti per medie derivazioni» (di media
potenza nominale e, cioè, maggiore a 220 KW e minore a 3. 000 KW, qual è
quella per cui è stata presentata domanda dalla società ricorrente)

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«e le

concessione per impianti di potenza inferiore a 3 MW in difetto da parte del

infrastrutture per il trasporto dell’energia prodotta sono considerate, ai sensi
della legge provinciale 15 aprile 1991, n.10, e successive modifiche, di
interesse pubblico, urgenti e indifferibili».

In tal modo – come si evince

anche dal comma 2 del medesimo art. 10 che individua specificamente le
infrastrutture indispensabili per l’esercizio di una centrale idroelettrica per la
produzione di energia elettrica – le aree occorrenti a sviluppare il progetto
(per gli impianti di media dimensione) sono divenute suscettibili di essere

della L.P. n. 7 del 2005 come modificato dall’art. 10 della L.P. n. 2 del 2010,
è stato abrogato, non essendo più il richiedente tenuto a dimostrare, a pena
di inammissibilità della sua domanda di concessione della derivazione, la
“disponibilità giuridica” dell’area necessaria.
Ciò posto, ritiene la Corte che debba farsi applicazione della nuova
normativa menzionata nella memoria

ex

art. 378 cod. proc. civ.;

correlativamente, risulta assorbito l’esame dei motivi e non rilevanti, ai fini
del decidere, le questioni di legittimità costituzionale sollevate con
riferimento all’ormai abrogata disciplina.
2.3. Ricorrono entrambi i requisiti per l’applicabilità della normativa
sopravvenuta nel corso del giudizio, e, cioè, sia la sua sopravvenienza
rispetto alla proposizione del ricorso per cassazione, atteso che la ricorrente
non avrebbe potuto tener conto di mutamenti operatisi successivamente in
ordine ai presupposti legali che condizionano la disciplina del caso concreto;
sia, anche, la pertinenza della normativa sopraggiunta rispetto alle questioni
agitate da entrambi i motivi di ricorso: queste, infatti, si incentrano, come si
è visto, nella contestata legittimità della scelta del legislatore provinciale di
richiedere per gli impianti di media dimensione che la disponibilità dell’area
venga acquisita bonariamente, sul presupposto (abbandonato dalla
normativa sopravvenuta) dell’assenza di un interesse prevalente idoneo a
giustificare la compressione del diritto del proprietario del fondo attraverso
l’introduzione di una procedura abiativa. Ne consegue la stretta inferenza
dello ius superveniens che, riconoscendo, in positivo, il carattere di opere di
interesse pubblico, urgenti e indifferibili alle infrastrutture relative ad
impianti di media dimensione, ha portato, in negativo, l’eliminazione del
requisito di ammissibilità assunto nel provvedimento qui impugnato,
escludendo che il difetto del titolo attestante la “disponibilità” della relativa

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acquisite con il procedimento espropriativo; di conseguenza l’art. 3 co. 5

area possa legittimare l’Amministrazione a dichiarare inammissibile la
– domanda di concessione per derivazioni di media dimensione.
Si rammenta che la legittimità di un provvedimento amministrativo deve
essere valutata in relazione alle norme vigenti al momento della sua
emanazione e perciò anche alla stregua delle norme eventualmente
sopravvenute dopo l’inizio del procedimento amministrativo (Cass. Sez. un.

dall’art. 34 della cit. L.P. n. 2 del 2015 prevede espressamente che

«le

domande di concessione per piccole e medie derivazioni, che all’entrata in
vigore della presente legge sono ancora pendenti e non ancora pubblicate,
saranno trattate dopo la scadenza del termine di cui al comma 1 ai sensi
delle disposizioni della presente legge».
A tal riguardo le parti – pur non concordando sull’applicabilità dello ius
superveniens – hanno concordemente dato atto nel corso della discussione
orale, che la domanda di cui si discute, proprio perché dichiarata
inammissibile, non è stata “pubblicata”. Orbene l’applicabilità della nuova
disciplina alla domanda già proposta (e “non pubblicata”) dell’odierna
ricorrente deriva proprio dall’essere oggetto del giudizio il provvedimento
con cui la domanda stessa è stata dichiarata inammissibile; in tale
prospettiva e nell’ottica di un’interpretazione costituzionalmente orientata
alla luce degli artt. 3 e 24 Cost., la norma transitoria sopra riportata deve
intendersi riferita non solo alle procedure amministrative ancora pendenti (e
più, esattamente a quelle non ancora ammesse all’istruttoria e, quindi, “non
pubblicate”), ma anche al contenzioso che da quei procedimenti è derivato.
Ne consegue la cassazione della sentenza impugnata con rinvio al
T.S.A.P. in diversa composizione perché esamini l’impugnazione alla luce
della disciplina sopravvenuta; in particolare, ritiene la Corte che spetti al
T.S.A.P. valutare in tale contestato il perdurante interesse o meno della
ricorrente all’impugnativa del provvedimento (cfr. T.S.A.P. sentenza 23
aprile 2015, n. 76).
Va rimesso al T.S.A.P. anche di provvedere sulle spese del giudizio di
cassazione.
P.Q.M.
La Corte, provvedendo sul ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia
anche per le spese del giudizio di cassazione innanzi al T.S.A.P. in diversa

8

07 maggio 2014, n. 9830). E, nello specifico, la disciplina transitoria dettata

-

composizione.
Roma 23 febbraio 2016

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