Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7111 del 20/03/2017


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Cassazione civile, sez. I, 20/03/2017, (ud. 31/01/2017, dep.20/03/2017),  n. 7111

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMBROSIO Annamaria – Presidente –

Dott. NAPPI Aniello – Consigliere –

Dott. MARULLI Marco – Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – Consigliere –

Dott. DOLMETTA Aldo Angelo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

Banca Carige s.p.a., in persona del rag. O.G.,

domiciliata in Roma, Via Ugo De Carolis 34/b, presso l’avv. Maurizio

Cecconi, che la rappresenta e difende con l’avv. Giorgio Villani,

come da mandato a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

R.A. e L.V.R.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 605/2012 della Corte d’appello di Genova,

depositata il 25 maggio 2012;

Sentita la relazione svolta dal Consigliere Dott. Aniello Nappi;

udito il difensore di parte ricorrente, avv. Cecconi;

Udite le conclusioni del P.M., Dr. CAPASSO Lucio, che ha concluso per

il rigetto del ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con la sentenza impugnata la Corte d’appello di Genova, in riforma della decisione di primo grado, dichiarò risolto per inadempimento della banca il contratto stipulato da R.A. e L.V.R. con la Banca Carige spa per l’acquisto di obbligazioni argentine e condannò l’istituto finanziario alla restituzione dell’importo dell’investimento in Euro 32.000.

Ritennero i giudici del merito che, quando il contratto controverso fu stipulato, il 5 febbraio 2001, gli operatori finanziari non potevano ignorare l’imminenza del default dello stato argentino, avvenuto poi nel dicembre 2001; e che la Banca Carige spa, pur avendo in precedenza consegnato ai clienti il documento sui rischi generali degli investimenti, non aveva assolto all’onere impostole dal D.Lgs. n. 58 del 1998, art. 23, di provare di avere informato l’investitore dell’inadeguatezza della specifica operazione controversa.

Contro la sentenza d’appello ha proposto ricorso per cassazione la Banca Carige spa sulla base di un unico articolato motivo d’impugnazione, mentre non hanno spiegato difese gli intimati.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con l’unico motivo del suo ricorso la Banca Carige spa deduce violazione di legge e vizi di motivazione della decisione impugnata, lamentando l’erronea affermazione della sua responsabilità.

Sostiene in particolare:

a) nel febbraio 2001 i titoli argentini erano classificati al livello migliore della categoria speculativa, non erano stati mai considerati a rischio insolvenza almeno fino al 26 marzo 2001, erano stati venduti a un prezzo pubblico di mercato, sicchè i giudici d’appello si erano fondati su illazioni, non su presunzioni;

b) nel febbraio 2001 non era prevedibile che nel dicembre 2001 sarebbe fallito lo stato argentino;

c) è irrilevante che risalisse a otto mesi prima la consegna del documento sui rischi generali, perchè non era sopravvenuto alcun mutamento nella situazione dello stato argentino;

d) al momento della stipula del contratto quadro gli attori avevano dichiarato una propensione media al rischio, sicchè, trattandosi di semplice compravendita e non di gestione patrimoniale, la banca non aveva ulteriori obblighi di informazione, perchè l’operazione non poteva essere considerata inadeguata.

2. Il ricorso è inammissibile.

2.1- Contrariamente a quanto sostiene la ricorrente, i giudici del merito hanno in realtà ritenuto che nel febbraio 2001 fosse notorio nell’ambiente finanziario l’imminente fallimento dello stato argentino; e questo convincimento espresso dai giudici del merito non è censurabile.

Non pare discutibile infatti che la definizione di notorietà desumibile dall’art. 115 c.p.c., comma 2, si imponga come criterio legale di giustificazione del giudizio di fatto, in quanto è destinata a individuare le premesse di fatto che possono assumersi per vere anche in mancanza di prova (Cass., sez. 1, 15 marzo 2016, n. 5089). Ne consegue che sia il disconoscimento sia il riconoscimento di un fatto come notorio può essere censurato solo per vizio di motivazione, ove dipenda dall’erronea determinazione dei criteri di notorietà (Cass., sez. 1, 10 settembre 2015, n. 17906). Deve escludersi invece che possa essere comunque sindacato nel giudizio di legittimità l’erroneo giudizio sulla notorietà che, non dipendendo dall’utilizzazione di criteri impropri, non sia desumibile dalla motivazione (Cass., sez. 1, 10 settembre 2015, n. 17906).

Nel caso in esame i giudici del merito hanno plausibilmente ritenuto la notorietà dell’elevato rischio insolvenza delle obbligazioni argentine, argomentando dal fatto che tale rischio si concretizzò a distanza di pochi mesi. E la plausibilità di tale giudizio di fatto è confermata dalla stessa ricorrente, quando afferma che l’insolvenza non si manifestò prima del 26 marzo 2001, vale a dire poco più di un mese dopo la stipula del contratto controverso.

2.2- Sostiene poi la ricorrente che la corte d’appello avrebbe errato nel ritenere che, al fine di adempiere i propri obblighi informativi, fosse insufficiente la consegna ai clienti del documento sui rischi generali dell’investimento in strumenti finanziari, perchè avrebbe invece dovuto segnalare loro specificamente che si trattava di un investimento ad alto rischio.

In realtà la corte d’appello ha ritenuto che l’obbligo di informazione gravante sull’Istituto di credito dovesse ritenersi disciplinato dal D.Lgs. n. 58 del 1998, art. 21(TUF) nonchè dagli artt. 28 e 29 del Regolamento Consob n. 11522 del 1998. In conseguenza la banca avrebbe dovuto fornire all’investitore una “informazione specifica”, idonea a delineare le caratteristiche proprie del singolo investimento. Trattandosi peraltro di un’operazione in contrasto con il profilo di investitore dei clienti, un ristoratore e una cuoca di età avanzata e basso livello di istruzione, la banca avrebbe anche dovuto informarli che si trattava di “operazione non adeguata” per loro. La motivazione della corte di merito risulta pertanto completa ed esauriente; mentre generiche e apodittiche sono le censure proposte dalla ricorrente.

Il D.Lgs. n. 58 del 1998, art. 23, comma 6 (TUF) prevede effettivamente, come chiarito dai giudici del merito, l’inversione dell’onere della prova in ordine al profilo della diligenza e della professionalità richieste all’intermediario. E la disposizione deve essere letta nel senso che, quando l’investitore abbia provato l’effettuazione dell’investimento e il pregiudizio economico sofferto, circostanze entrambe non contestate, compete poi alla banca dimostrare di avere adempiuto alle proprie obbligazioni con diligenza e correttezza, in primo luogo fornendo all’investitore informazioni adeguate. La banca ricorrente non ha provato di aver adempiuto questi obblighi che su di essa gravavano, sicchè la condanna dell’istituto di credito per inadempimento contrattuale risulta incensurabile.

Non avendo spiegato difese gli intimati, non v’è pronuncia sulle spese.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Così deciso in Roma, il 31 gennaio 2017.

Depositato in Cancelleria il 20 marzo 2017

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