Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7111 del 12/03/2021

Cassazione civile sez. I, 12/03/2021, (ud. 02/02/2021, dep. 12/03/2021), n.7111

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –

Dott. MELONI Marina – rel. Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere –

Dott. DE MARZO Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 13945/2019 proposto da:

S.M., elettivamente domiciliato in Roma, presso la cancelleria

civile della Corte di Cassazione rappresentato e difeso dall’Avv.to

Eliana Maccarone;

– ricorrente –

contro

Ministero Dell’interno, (OMISSIS), Pm Tribunale Caltanissetta,

Procuratore Generale Corte Cassazione;

– intimato –

avverso il decreto del TRIBUNALE di CALTANISSETTA, depositata il

11/03/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

02/02/2021 da Dott. MELONI MARINA.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

Il Tribunale di Caltanissetta con decreto in data 13/3/2019, ha rigettato l’impugnazione avverso il provvedimento di rigetto pronunciato dalla Commissione Territoriale per il riconoscimento della Protezione Internazionale in ordine alle istanze avanzate da S.M. nato in (OMISSIS) il (OMISSIS), volte, in via gradata, ad ottenere il riconoscimento dello status di rifugiato, il riconoscimento del diritto alla protezione sussidiaria ed il riconoscimento del diritto alla protezione umanitaria.

Il richiedente asilo proveniente dallo Stato del (OMISSIS), aveva riferito alla Commissione Territoriale per il riconoscimento della Protezione Internazionale di essere fuggito dal proprio paese a causa della difficile situazione economica, politica e sociale. Avverso la decisione del Tribunale di Caltanissetta il ricorrente ha proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi.

Il Ministero dell’Interno non ha svolto difese.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo di ricorso, il ricorrente denuncia omesso esame circa un punto decisivo per il giudizio; violazione e falsa applicazione del D.Lgs. 28 gennaio 2008, n. 25, artt. 4 e 32 in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, in quanto il provvedimento della Commissione Territoriale era stato redatto e sottoscritto da un solo componente. Con il secondo motivo di ricorso, il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione della L. n. 722 del 1954, art. 1, lett. A) per non aver il tribunale ritenuto sussistenti i presupposti per concedere la protezione dello status di rifugiato in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, da concedersi anche in caso di timore solo potenziale di subire persecuzioni.

Con il terzo denuncia la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 19, comma 8 per aver ritenuto non credibile il ricorrente e violato il dovere di cooperazione istruttoria escludendo così i presupposti per il riconoscimento del diritto alla protezione sussidiaria e umanitaria in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Il primo motivo è inammissibile in quanto nuovo e mai formulato davanti al Giudice di merito non risultando dal decreto del Tribunale di Caltanissetta che il ricorrente abbia lamentato in quella sede la nullità del provvedimento di rigetto della Commissione Territoriale.

In ogni caso la composizione ed il funzionamento delle Commissioni territoriali sono in dettaglio disciplinati dal D.Lgs. 28 gennaio 2008, n. 25, art. 4, commi 3 e 4 rubricato: “Commissioni territoriali per il riconoscimento della protezione internazionale”. L’art. 35 medesimo D.Lgs. stabilisce al comma 1 che: “Avverso la decisione della Commissione territoriale e la decisione della Commissione nazionale sulla revoca o sulla cessazione dello status di rifugiato o di persona cui è accordata la protezione sussidiaria è ammesso ricorso dinanzi all’autorità giudiziaria ordinaria. Il ricorso è ammesso anche nel caso in cui l’interessato abbia richiesto il riconoscimento dello status di rifugiato e sia stato ammesso esclusivamente alla protezione sussidiaria”.

Questa Corte con Sez. 1 n. 32862/2018 ha affermato che “…Ipotetiche violazioni delle regole poste dal citato art. 4 in ordine alla composizione ed al funzionamento delle Commissioni territoriali non possiedono, di per sè, alcuna attitudine a produrre ricadute sul riconoscimento del diritto alla protezione richiesta. Infatti nella fase giurisdizionale del procedimento per il riconoscimento della protezione internazionale, la quale non è diretta all’impugnazione del provvedimento adottato dalla Commissione territoriale, ma alla verifica della sussistenza del diritto alla protezione richiesta, non dispiegano alcun rilievo, per i fini dell’accoglimento della domanda, eventuali violazioni delle regole dettate dal D.Lgs. 28 gennaio 2008, n. 25, art. 4, commi 3 e 4, di guisa che l’omessa pronuncia da parte del giudice di merito sulla deduzione di dette violazioni non può essere fatta valere in sede di legittimità quale vizio di attività rilevante ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4″.”

I restanti motivi di ricorso sono del pari inammissibili in quanto si sostanziano per la gran parte in una serie di critiche agli accertamenti in fatto espressi nella motivazione della Corte, dirette a sollecitare un riesame delle valutazioni riservate al giudice del merito, che del resto ha ampiamente e rettamente motivato la statuizione impugnata, esponendo le ragioni e le fonti del proprio convincimento circa la mera eventualità del pericolo paventato dal ricorrente e riconducibile a questioni di carattere privato prive di rilevanza ai fini della concessione della protezione internazionale.

Tale richiesta di riesame non è evidentemente deducibile quale motivo di impugnazione in questa sede di legittimità, ancor più in seguito alla modifica dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 apportata dal D.L. n. 83 del 2012, art. 14 convertito in L. n. 134 del 2012 (v. Cass., sez. un., n. 8053/2014).

In particolare, la sentenza impugnata ha ritenuto con motivazione coerente ed esaustiva, l’assenza di situazioni di violenza indiscriminata e di una situazione di conflitto armato o di violenza generalizzata nella zona di provenienza del ricorrente, cioè il (OMISSIS).

Il giudice territoriale non è venuto meno al dovere di cooperazione istruttoria di cui al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8 avendo semplicemente ritenuto, a monte, che sulla base dei fatti lamentati e le vicende riferite dal ricorrente non sussista la situazione persecutoria nel Paese di origine prospettata dal richiedente ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b) sia pure nell’ambito dell’onere probatorio cd. attenuato, e che in ogni caso doveva escludersi un’esposizione alla lesione dei diritti fondamentali della persona o l’esistenza di una situazione di pericolo legata alla situazione individuale dell’istante in considerazione anche della scarsa attendibilità della vicenda narrata.

In particolare riferimento ai presupposti per la concessione della protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c) la sentenza impugnata esamina la situazione della zona di provenienza ed esclude i presupposti per la protezione sussidiaria in quanto non risulta dalle indicate fonti reperibili che la zona di provenienza sia interessata da violenza indiscriminata o da un conflitto armato di livello così elevato da comportare per i civili, per la sola presenza nel territorio in questione, il concreto rischio della vita o di un grave danno alla persona.

Il motivo in ordine alla verifica delle condizioni per il riconoscimento della protezione umanitaria si rivela inammissibile in quanto censura senza peraltro alcun riferimento alla situazione individuale l’accertamento di merito compiuto dal Tribunale in ordine alla insussistenza di una particolare situazione di vulnerabilità del ricorrente. Il ricorrente invero, a fronte della valutazione espressa con esaustiva indagine officiosa dal giudice (in sè evidentemente non rivalutabile in questa sede) circa la insussistenza nella specie di situazioni di vulnerabilità non ha neppure indicato se e quali ragioni di vulnerabilità avesse allegato, diverse da quelle esaminate nel provvedimento impugnato.

Quanto poi al parametro dell’inserimento sociale e lavorativo e dell’avvenuta integrazione dello straniero in Italia esso può essere valorizzato non come fattore esclusivo bensì come presupposto della protezione umanitaria e come circostanza che può concorrere a determinare una situazione di vulnerabilità personale (Cass. n. 4455 del 2018), che, tuttavia, nel caso di specie è stata esclusa alla luce della valutazione comparativa espressa dal giudice di merito con esaustiva indagine circa le condizioni descritte dello straniero con riguardo al suo paese di origine ed all’integrazione in Italia acquisita, valutazione in sè evidentemente non rivalutabile in questa sede tenuto conto della disciplina antecedente al D.L. 4 ottobre 2018, n. 13 convertito nella L. 1 dicembre 2018, n. 132, non applicabile alla fattispecie non avendo tale normativa efficacia retroattiva secondo l’orientamento recentemente espresso da questa Corte (Cass. S.U. 2019/29460).

La censura non coglie nel segno nemmeno in ordine all’omesso esame del profilo dell’avviato percorso di integrazione lavorativa del richiedente.

A tal riguardo questa Corte con sentenza Sez. 1 – n. 4455 del 23/02/2018 richiamata in S.U. 29460/2019 ha precisato che “In materia di protezione umanitaria, il riconoscimento del diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, al cittadino straniero che abbia realizzato un grado adeguato di integrazione sociale in Italia, deve fondarsi su una effettiva valutazione comparativa della situazione soggettiva ed oggettiva del richiedente con riferimento al Paese d’origine, al fine di verificare se il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità e dell’esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile costitutivo dello statuto della dignità personale, in correlazione con la situazione d’integrazione raggiunta nel Paese d’accoglienza.”

Le Sezioni Unite di questa Corte hanno di recente confermato che “in tema di protezione umanitaria, l’orizzontalità dei diritti umani fondamentali comporta che, ai fini del riconoscimento della protezione, occorre operare la valutazione comparativa della situazione soggettiva e oggettiva del richiedente con riferimento al paese di origine, in raffronto alla situazione d’integrazione raggiunta nel paese di accoglienza” (Cass. Sez. U, nn. 29459, 29460, 29461 del 2019; conf. Cass. 4455/2018 e, da ultimo, Cass. 630/2020), è pur vero che, ai fini di una simile verifica, effettuabile dal giudice anche esercitando i propri poteri istruttori officiosi, risulta però “necessario che il richiedente indichi i fatti costitutivi del diritto azionato e cioè fornisca elementi idonei perchè da essi possa desumersi che il suo rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità e dell’esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile costitutivo dello statuto della dignità personale, in correlazione con la situazione d’integrazione raggiunta nel Paese d’accoglienza” (Cass. 27336/2018, 8908/2019, 17169/2019).

E’ noto, infatti, che la proposizione del ricorso al tribunale nella materia della protezione internazionale dello straniero non si sottragga all’applicazione del principio dispositivo, sicchè il ricorrente ha l’onere di indicare i fatti costitutivi del diritto azionato, pena l’impossibilità per il giudice di introdurli d’ufficio nel giudizio (Cass. 29 ottobre 2018, n. 27336; Cass. 31 gennaio 2019, n. 3016; come precisato da Cass. 2 luglio 2020, n. 13573); ai fini del riconoscimento della protezione umanitaria è in particolare necessario che il richiedente fornisca elementi idonei a far desumere che il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità e dell’esercizio dei diritti umani fondamentali nei quali si esplica la dignità della persona, nel loro contenuto minimo al di sotto del nucleo ineliminabile, costitutivo dello statuto della dignità personale, in correlazione con la situazione d’integrazione raggiunta nel paese d’accoglienza.

Tuttavia, detto onere, nella specie, non risulta assolto in quanto la valutazione dev’essere realizzata tenendo in considerazione non – in generale e in astratto – la situazione del Paese d’origine del richiedente, bensì quella privata e familiare del migrante, in Italia e nel proprio Paese, e quest’ultima sia in quanto già vissuta prima dell’approdo nello Stato italiano, sia in quanto persistente, e della quale di conseguenza il soggetto si troverebbe nuovamente vittima se costretto al rientro nel territorio di provenienza.

Per quanto sopra il ricorso proposto deve essere dichiarato inammissibile. Nulla per le spese in mancanza di attività difensiva.

Ricorrono i presupposti processuali per l’applicazione del doppio contributo di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater ove dovuto.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso. Ricorrono i presupposti processuali per l’applicazione del doppio contributo di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater ove dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione prima civile della Corte di Cassazione, il 2 febbraio 2021.

Depositato in Cancelleria il 12 marzo 2021

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