Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7108 del 20/03/2017

Cassazione civile, sez. I, 20/03/2017, (ud. 24/01/2017, dep.20/03/2017),  n. 7108

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TIRELLI Francesco – Presidente –

Dott. CAMPANILE Pietro – Consigliere –

Dott. GENOVESE Francesco Antonio – Consigliere –

Dott. SAMBITO Maria Giovanna C. – Consigliere –

Dott. VALITUTTI Antonio – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 7379/2012 proposto da:

Impresa di Costruzioni C.F. S.A.S. di C.S.,

(p.i. (OMISSIS)), succeduta all’Impresa del fu C.F., in

persona legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata

in Roma, Via Stoppani n.1, presso l’avvocato Barreca Carmelo, che la

rappresenta e difende, giusta procura a margine del ricorso;

-ricorrente –

contro

Comune di Acireale, in persona del Sindaco pro tempore, elettivamente

domiciliato in Roma, Via Germanico n. 12, presso l’avvocato Di

Lorenzo Franco, rappresentato e difeso dall’avvocato Manciagli

Nunzio, giusta procura in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1696/2011 della CORTE D’APPELLO di CATANIA,

depositata il 22/12/2011;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

24/01/2017 dal cons. VALITUTTI ANTONIO;

udito, per la ricorrente, l’Avvocato GEREMIA CHIARA, con delega, che

ha chiesto l’accoglimento del ricorso;

udito, per il controricorrente, l’Avvocato MANCIAGLI NUNZIO che ha

chiesto il rigetto del ricorso;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale SOLDI

Anna Maria, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con atto di citazione notificato il 4 ottobre 1995, l’impresa C.F. – nella sua qualità di capogruppo mandataria dell’associazione temporanea di imprese costituita con l’APEG s.r.l. – conveniva in giudizio, dinanzi al Tribunale di Catania, il Comune di Acireale, chiedendo pronunciarsi la risoluzione del contratto di appalto stipulato inter partes in data (OMISSIS), per fatto e colpa dell’ente pubblico, con condanna del convenuto al pagamento dei lavori eseguiti e non contabilizzati, alla corresponsione del compenso revisionale, nonchè al pagamento delle somme dovute per le riserve formulate in corso d’opera. Il Comune di Acireale si costituiva, proponendo domanda riconvenzionale di risoluzione del contratto per fatto e colpa dell’impresa appaltatrice, con condanna della medesima al risarcimento dei danni subiti.

Il Tribunale adito, con sentenza n. 4377/2002, accoglieva in parte la domanda principale, condannando l’ente pubblico al pagamento, a favore del C., della somma di Euro 28.755,04, oltre interessi e spese, accoglieva altresì la domanda riconvenzionale del Comune di Acireale, condannando l’impresa al risarcimento dei maggiori oneri sopportati dall’ente per il completamento dell’opera, calcolati in Euro 70.775,60, oltre interessi e rivalutazione monetaria.

2. La Corte di Appello di Catania, con sentenza n. 1696/2011, depositata il 22 dicembre 2011 e notificata il 17 gennaio 2012, accoglieva parzialmente l’appello dell’Impresa di Costruzioni C.F. s.a.s. di C.S. (già impresa C.F.) ed, in riforma della decisione di primo grado, condannava l’appellante al pagamento della minor somma di Euro 54.727,98, oltre rivalutazione ed interessi, in favore del Comune di Acireale. La decisione di appello confermava, invece, l’ascrivibilità della risoluzione del contratto di appalto a fatto e colpa dell’impresa appaltatrice, ritenendo, per contro, privi di rilevanza causale, ai fini dello scioglimento del contratto, gli inadempimenti accertati a carico dell’ente pubblico.

3. Per la cassazione di tale sentenza ha, quindi, proposto ricorso l’Impresa di Costruzioni C.F. s.a.s. di C.S. nei confronti del Comune di Acireale, affidato a cinque motivi, illustrati con memoria ex art. 378 c.p.c.. Il resistente ha replicato con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con i primi tre motivi di ricorso – che, per la loro evidente connessione, vanno esaminati congiuntamente, l’impresa C. denuncia la violazione degli artt. 1321, 1353, 1354 e 1965 c.c., nonchè l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su fatti decisivi della controversia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5 (nel testo applicabile ratione temporis).

1.1. Deduce la ricorrente che la Corte di Appello avrebbe individuato una serie di inadempimenti a carico della stazione appaltante – posti in essere nel corso dell’esecuzione dei lavori di realizzazione della strada di collegamento tra la (OMISSIS), oggetto del contratto di appalto in data (OMISSIS) consistenti: a) nella mancata disponibilità immediata di tutte le aree interessate all’esecuzione dei lavori; b) nell’immissione in possesso parziale e frazionata delle opere da eseguire; c) nella sospensione dell’attività dal (OMISSIS), nelle more dell’approvazione di una perizia di variante tecnica e suppletiva, disposta dall’amministrazione per sopperire a carenze dell’originario progetto; d) nell’illegittima interferenza dovuta alla presenza in loco di pali dell’ENEL e della SIP, con relativi collegamenti, i quali avrebbero causato parte dei ritardi nel completamento delle opere. Nondimeno, la Corte territoriale avrebbe – in violazione delle disposizioni di cui agli artt. 1321, 1453 e 1965 c.c., e con motivazione del tutto incongrua – ritenuto di risolvere il predetto contratto di appalto per fatto e colpa della C.F. s.a.s. (nella sua qualità di capogruppo mandataria dell’associazione temporanea di imprese costituita con l’APEG s.r.l.), sebbene le circostanze suesposte sarebbero state ascrivibili a responsabilità esclusiva della committente.

La Corte di merito avrebbe, altresì, del tutto incongruamente valorizzato, a tal fine, l’atto di sottomissione ed il successivo contratto aggiuntivo del (OMISSIS), nel quale le parti si limitavano a prevedere l’esecuzione di nuove e diverse opere, senza porre in essere alcun accordo novativo tale da estinguere i diritti e gli obblighi delle parti scaturenti dal contratto originario, e si sarebbe acriticamente affidata alle valutazioni del c.t.u., il quale avrebbe, a sua volta, erroneamente imputato all’impresa responsabilità ascrivibili, invece, all’amministrazione appaltante.

1.2. Le doglianze sono infondate.

1.2.1. Va osservato, al riguardo, che nei contratti con prestazioni corrispettive, ai fini della pronuncia di risoluzione per inadempimento in caso di inadempienze reciproche, il giudice di merito è tenuto a formulare un giudizio – incensurabile in sede di legittimità se congruamente motivato – di comparazione in merito al comportamento complessivo delle parti, al fine di stabilire quale di esse, in relazione ai rispettivi interessi ed all’oggettiva entità degli inadempimenti (tenuto conto non solo dell’elemento cronologico, ma anche e soprattutto degli apporti di causalità e proporzionalità esistenti tra le prestazioni inadempiute e della incidenza di queste sulla funzione economico-sociale del contratto), si sia resa responsabile delle violazioni maggiormente rilevanti e causa del comportamento della controparte e della conseguente alterazione del sinal-lagma contrattuale (cfr. Cass. 9/6/2010, n. 13840; Cass. 18/9/2015, n. 18320).

1.2.2. Nel caso concreto, la Corte territoriale ha accertato che sia l’indisponibilità di parte delle aree oggetto dei lavori, sia la sospensione dell’esecuzione dell’opera, per l’approvazione di una perizia di variante tecnica e suppletiva, erano entrambe ascrivibili alla stazione appaltante, “afferendo, la prima, al non corretto espletamento dell’iter tecnico-amministrativo delle procedure espropriative, e la perizia, ai mutamenti ed alle nuove categorie di lavori prevedibili al momento della redazione del progetto originario”. E tuttavia, la Corte è pervenuta alla conclusione di imputare, nondimeno, la risoluzione del contratto di appalto a fatto e colpa dell’impresa appaltatrice; e ciò per un duplice ordine di ragioni.

Si è, invero, anzitutto rilevato che “la parziale indisponibilità delle aree, pur legittimando il diritto al relativo indennizzo (…) non comprometteva affatto la produzione del cantiere, atteso che come accertato dalla disposta c.t.u. – “ben maggiori ed importanti erano le opere da doversi seguire nella restante parte”, consistenti, in buona sostanza, “nella completa realizzazione del prolungamento” (p. 8), per la cui esecuzione era stato stipulato il contratto de quo. La Corte di merito è, pertanto, pervenuta alla conclusione – immune dai vizi logici denunciati – che “il dedotto inadempimento ascrivibile alla stazione appaltante è in parte qua del tutto privo di gravità”, laddove era da ritenersi connotato da rilevante gravità il comportamento assunto dall’impresa appaltatrice “che, pur potendo procedere oltre nella esecuzione delle opere, ha ingiustificatamente remorato nell’attività di cantiere mancando addirittura di ottemperare agli specifici ordini di servizio” (p. 9).

1.2.3. Quanto all’ascrivibilità al Comune committente della sospensione dei lavori, la Corte territoriale ha accertato che la stessa era stata superata dalla sottoscrizione dell’atto di sottomissione e del successivo contratto aggiuntivo del (OMISSIS), “con cui l’impresa F.C. si è contrattualmente impegnata ad eseguire le maggiori e diverse opere della perizia di variante e suppletiva, in attesa della cui approvazione era stata in effetti disposta la sospensione dei lavori” (p.9). Orbene, deve trovare applicazione, nella specie, il principio secondo cui la rinuncia ad esercitare un diritto può risultare da fatti incompatibili con la volontà di avvalersene. In tal caso il fatto diverso dalla dichiarazione espressa di rinunzia ad un diritto in tanto può essere considerato implicare la volontà di abdicare alla titolarità del medesimo, in quanto tra il fatto posto in essere e la volontà di esercitare il diritto in questione sussista un rapporto di contraddizione. Di conseguenza il comportamento della parte, la quale, in presenza dell’inadempimento dell’altra, a lei noto, abbia tenuto un comportamento incompatibile con la volontà di ottenere tale risoluzione costituisce una tacita rinuncia al diritto di domandarla, esprimendo la volontà che il contratto continui ad avere esecuzione, come nel caso – ricorrente nella specie – della sottoscrizione, da parte della stessa, in epoca successiva ai fatti dedotti come inadempimento, di uno schema di atto contrattuale aggiuntivo (Cass. 21/12/2002, n. 18224).

Da quanto suesposto deve, pertanto, inferirsi che correttamente la Corte di Appello ha ritenuto che la sottoscrizione dell’atto di sottomissione e del successivo contratto aggiuntivo, aventi ad oggetto proprio le maggiori e diverse opere costituenti oggetto della perizia di variante e suppletiva, per la cui approvazione era stata disposta la sospensione dei lavori, costituisse un comportamento significativo equivalente a rinuncia a far valere l’inadempimento del Comune committente.

1.2.4. Ad analoghi rilievi – circa la volontà della parte di non avvalersi di un fatto integrante inadempimento dell’altra – si presta la deduzione concernente la circostanza della palificazione ENEL e SIP, avendo la Corte di Appello accertato che siffatto impedimento all’esecuzione dei lavori non era stato dedotto dall’impresa, nè all’atto della consegna dei lavori ((OMISSIS)), nè con la riserva alla ripresa dei lavori medesimi ((OMISSIS)), e neppure nel registro di contabilità all’atto della contabilizzazione del primo stato di avanzamento, bensì solo con l’atto di diffida del (OMISSIS), “allorquando erasi già conclamato l’inadempimento quantomeno all’ordine di servizio n. 5 del 23 marzo 1995”.

Ma vi è di più. Come accertato dall’impugnata sentenza (p. 10), e come riferito dallo stesso ricorrente (p. 31, la disposta c.t.u. non aveva riscontrato affatto le suddette palificazioni nei luoghi interessati dai lavori, fatta eccezione per quelle che, in quanto ubicate ai margini della sede stradale, “non rappresentavano un impedimento al completamento delle opere nel tratto in esame”. Nè può dubitarsi del fatto che il giudice di merito possa utilizzare – come è accaduto nel caso di specie – gli accertamenti effettuati dal consulente d’ufficio, in quanto funzionali alla risoluzione di sole questioni di fatto che presuppongano cognizioni di ordine tecnico e non giuridico (Cass. 22/1/2016, n. 1186).

Le censure all’operato del c.t.u., poi, mosse dal ricorrente nel terzo motivo di ricorso, con specifico riferimento alle indagine in concreto svolte dall’ausiliario in ordine alla palificazione in questione, sono da reputarsi inammissibili. Va osservato, infatti, che, nel giudizio di cassazione, per infirmare, sotto il profilo dell’ insufficienza argomentativi, la motivazione della sentenza che recepisca le conclusioni di una relazione di consulenza tecnica d’ufficio di cui il giudice dichiari di condividere il merito, è necessario che la parte alleghi di avere rivolto critiche alla consulenza stessa già dinanzi al giudice “a quo”, e ne trascriva, poi, per autosufficienza, almeno i punti salienti, onde consentirne la valutazione in termini di decisività e di rilevanza. In caso contrario, invero, una mera disamina dei vari passaggi dell’elaborato peritale, corredata da notazioni critiche, si risolverebbe nella prospettazione di un sindacato di merito inammissibile in sede di legittimità (cfr. Cass. 3/6/2016, n. 11482; Cass. 17/7/2014, n. 16368). Nella specie, l’impresa C. non si è, per contro, attenuta a tali principi, non avendo trascritto nel ricorso neppure i punti essenziali dell’elaborato peritale sottoposto a critica.

1.3. Per tutte le ragioni esposte, pertanto, le censure suesposte devono essere disattese.

2. Con il quarto motivo di ricorso, l’impresa C. denuncia la violazione e falsa applicazione della L. 20 marzo 1865, n. 2248, artt. 343, 344 e 345 nonchè l’omessa e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5 (nel testo applicabile ratione temporis).

2.1. Lamenta la ricorrente che il giudice di appello abbia ritenuto – peraltro con motivazione del tutto incongrua – che gli ordini di servizio n. 5 del 23 marzo 1995 e n. 6 del 21 giugno 1995 non integrassero una riduzione delle opere oggetto della perizia di variante (approvata il (OMISSIS)) e del successivo contratto del (OMISSIS), disposta dal direttore dei lavori senza la necessaria determinazione dell’amministrazione appaltante, ai sensi della L. 20 marzo 1865, n. 1865, artt. 343 e 344 sebbene con tali ordini dì servizio fosse stata addirittura soppressa l’esecuzione di un’intera categoria di opere previste proprio dalla suddetta perizia di variante. E ciò senza determinazione alcuna da parte dell’amministrazione appaltante.

2.2. La censura è inammissibile.

Va rilevato, invero, che la Corte di Appello ha accertato, in punto di fatto, che gli ordini dì servizio n. 5 del 23 marzo 1995 e n. 6 del 21 giugno 1995 costituivano “non già esplicazione del potere di riduzione dei lavori, certamente spettante all’amministrazione appaltante, bensì meri step esecutivi doverosamente imposti dal direttore dei lavori al fine di assicurare l’ordinato svolgimento dell’attività di cantiere”. Ebbene, a fronte di tale accertamento, la ricorrente ha riportato nel ricorso (pp. 39 e 40) soltanto singole frasi dei predetti ordini di servizio – “non realizzare il previsto impianto di pubblica illuminazione”, “non realizzare i previsti marciapiedi”, “rifacimento del solo tappetino di usura del tratto in questione” – estrapolate dal contesto degli atti suindicati, non riprodotti nella loro integrità, quanto meno nei passaggi essenziali.

Ne deriva che alla Corte non è reso possibile valutare – sulla base del solo ricorso nel rispetto del principio di autosufficienza (art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6), che postula l’indicazione specifica nel ricorso degli atti processuali su cui si fonda e la loro integrale trascrizione con riferimento alle parti oggetto di doglianza (cfr., ex plurimis, Cass. 9/04/2013, n. 9569; Cass. 15/07/2015, n. 14784) – se la direzione dei lavori avesse, o meno, operato la dedotta riduzione delle opere senza determinazione alcuna da parte dell’amministrazione appaltante.

2.3. Il mezzo suesposto, va, di conseguenza, disatteso.

3. Con il quinto motivo di ricorso, l’impresa C. denuncia la violazione della L. n. 2248 del 1865, art. 340, del R.D. 25 maggio 1895, n. 350, artt. 27 e 28 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

La ricorrente si duole del fatto che sia stato posto a suo carico il risarcimento del danno conseguente alla risoluzione del contratto per fatto e colpa dell’impresa. La doglianza va disattesa in conseguenza del rigetto dei precedenti motivi di ricorso, essendo stata accertata l’ascrivibilità della risoluzione del contratto proprio alle inadempienze poste in essere dall’impresa C. nel corso del rapporto.

4. Per tutte le ragioni esposte, pertanto, il ricorso proposto dall’Impresa di Costruzioni C.F. s.a.s. di C.S. deve essere, di conseguenza, integralmente rigettato, con condanna della ricorrente soccombente alle spese del presente giudizio.

PQM

rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente, in favore del controricorrente, alle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 4.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 24 gennaio 2017.

Depositato in Cancelleria il 20 marzo 2017

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