Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7108 del 03/03/2023

Cassazione civile sez. trib., 03/03/2022, (ud. 24/02/2022, dep. 03/03/2022), n.7108

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SORRENTINO Federico – Presidente –

Dott. CRUCITTI Roberta – Consigliere –

Dott. D’ANGIOLELLA Rosita – Consigliere –

Dott. D’ORAZIO Luigi – rel. Consigliere –

Dott. D’AQUINO Filippo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 4252/2015 R.G. proposto da:

Dolce & Gabbana s.r.l., in persona del legale rappresentante pro

tempore, rappresentata e difesa, anche disgiuntamente tra loro,

dall’Avv. Gabriele Escalar e dall’Avv. Vittorio Giordano, giusta

procura speciale a margine del ricorso, elettivamente domiciliata

presso il loro studio, in Roma, via Giuseppe Mazzini, n. 11;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle entrate, in persona del Direttore pro tempore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, presso

cui è domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi, n. 12;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della

Lombardia, n. 3383/11/2014, depositata il 24 giugno 2014.

Udita la relazione svolta nella Camera di consiglio del 24 febbraio

2022 dal consigliere Luigi D’Orazio.

 

Fatto

RILEVATO

che:

1. La Commissione tributaria regionale della Lombardia, dopo avere dichiarato cessata la materia del contendere limitatamente alla maggiore imposta dovuta, determinata in Euro 225.831,00, in luogo di quella accertata pari ad Euro 245.256,00, rigettava l’appello proposto dalla società avverso la sentenza della Commissione tributaria provinciale di Milano (n. 67/21/2013), che aveva rigettato il ricorso presentato dalla società Dolce & Gabbana s.r.l. contro l’avviso di accertamento emesso nei suoi confronti dall’Agenzia delle entrate per mancata effettuazione della ritenuta d’acconto, nella misura del 30%, di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 25, comma 2, con riferimento ai pagamenti effettuati in favore di 6 società inglesi, aventi sede a (OMISSIS), (Streeters, Intrepid, CLM, Maxim, IMG Models e Storm), quali società intermediarie, in relazione a prestazioni professionali rese da soggetti non residenti, quali stilisti, parrucchieri e truccatori, modelle, per sfilate di moda. Il giudice d’appello evidenziava che la società, sul conto ” servizi sfilate ” aveva addebitato costi documentati da fatture emesse dalle società inglesi, senza operare la ritenuta del 30%; emergeva dagli atti che le società erano mere intermediarie e che i soggetti intervenuti alle sfilate (stilisti, parrucchieri, truccatori e modelle) erano lavoratori autonomi, per cui i compensi da essi percepiti rientravano, ai fini della loro tassazione, nel disposto del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 25. Peraltro, anche ove si fosse trattato di reddito di impresa, le prestazioni del settore moda erano riconducibili ai canoni dell’attività artistica e/o di spettacolo, quindi soggette a tassazione. Quanto alla doppia imposizione, la documentazione prodotta dalla società non era idonea, in quanto i certificati si riferivano, per lo più, ad annualità diverse da quelle in esame e per quelli dell’anno in corso, non si aveva la certezza che il percepito fosse stato tassato nel paese di origine. Le sanzioni erano legittime.

2. Avverso tale sentenza propone ricorso per cassazione la società, depositando anche memoria scritta e producendo due provvedimenti di sgravio delle sanzioni, uno parziale ed uno totale.

3. L’Agenzia delle entrate si è difesa con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Con il primo motivo di impugnazione la società deduce la “violazione e falsa applicazione della Convenzione contro le doppie imposizioni stipulata tra l’Italia e la Gran Bretagna, art. 7, delle convenzioni contro le doppie imposizioni stipulate tra l’Italia e il Belgio, gli Stati Uniti d’America, il Canada e la Gran Bretagna, art. 14, della Convenzione contro le doppie imposizioni stipulata tra l’Italia e la Romania, art. 15, del D.P.R. n. 600 del 1973, artt. 25 e 75, e del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 23, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, e al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 62”. Il giudice d’appello ha violato e falsamente applicato le disposizioni sopra indicate, pretendendo di assoggettare ad imposizione in Italia redditi che, invece, sulla base delle convenzioni contro le doppie imposizioni stipulate dall’Italia con gli Stati di residenza dei percipienti, sono imponibili unicamente in tali Stati. Invero, con riferimento alla quota dei compensi percepiti dalle 6 società fiscalmente residenti nel Regno Unito, trova applicazione la Convenzione tra Italia Gran Bretagna, art. 7, in relazione agli “utili di impresa”. Infatti, nelle fatture vengono distinti i pagamenti in favore dei singoli professionisti ed i pagamenti in favore della società intermediarie, in quest’ultimo caso a titolo di c.d. agency fee. E’ pacifico, infatti, che le società Streeters, Clim, Maxim, IMG Models, Storm, Intrepid, avevano sede a (OMISSIS) e non disponevano in Italia di una base fissa. L’attività di intermediazione rientra sicuramente tra le attività di impresa, ai sensi del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 55, e dell’art. 2195 c.c.. E’ errata, poi, l’ulteriore affermazione per cui non era stata data la prova che per l’anno in contestazione non si aveva la certezza che il percepito fosse stato tassato nel paese di origine, in quanto è sufficiente la sola esistenza del potere impositivo principale dell’altro Stato contraente, indipendentemente dall’effettivo pagamento dell’imposta in tale paese. Inoltre, anche con riferimento ai pagamenti in favore dei professionisti incaricati dalle 6 società inglesi di svolgere prestazioni, risultava che non erano residenti nel territorio dello Stato e che erano privi di una base fissa in Italia, sicché in relazione alle singole convenzioni sulla doppia imposizione, tali pagamenti non potevano essere assoggettati a ritenuta alla fonte, essendo tassabili solo nello Stato di residenza.

2. Con il secondo motivo di impugnazione la società lamenta la “violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, artt. 25 e 25-bis, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, e al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 62”. Nell’ipotesi in cui non fosse accolto il primo motivo, il giudice d’appello ha comunque violato e falsamente applicato il D.P.R. n. 600 del 1973, artt. 25 e 25-bis, in quanto ha ritenuto applicabile la ritenuta del 30% sui compensi corrisposti dalla società Dolce & Gabbana alle 6 società inglesi per l’asserita attività di intermediazione da essa svolta, benché fosse pacifico che tale società fossero residenti all’estero e non avessero in Italia una stabile organizzazione. Trova applicazione, infatti, il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 25-bis, comma 8, il quale prevede che “le disposizioni dei precedenti commi, si applicano anche alle provvigioni corrisposte a stabili organizzazioni nel territorio dello Stato di soggetti non residenti”, con ciò escludendo le provvigioni corrisposte a soggetti non residenti privi di stabile organizzazione nel territorio dello Stato. E’ pacifico agli atti di causa che le 6 società inglesi avevano sede a (OMISSIS) e non disponevano in Italia di una base fissa.

3. Con il terzo motivo di impugnazione la società lamenta “l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, e al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 62”. Il giudice d’appello ha omesso di esaminare il fatto, controverso e decisivo, che parrucchieri, truccatori e i consulenti stilistici, per svolgere le loro prestazioni, si sono avvalsi di un nutrito stuolo di collaboratori. Pertanto, in presenza di una organizzazione in forma di impresa, l’attività svolta doveva rientrare in quella imprenditoriale, di cui al D.P.R. n. 917 del 1986, art. 55, e all’art. 2195 c.c.. Ricorre il requisito della organizzazione anche se l’attività si svolge con il solo ausilio di personale umano.

4. Con il quarto motivo di impugnazione la ricorrente si duole della “violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 25, comma 2, e del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea, art. 56, in relazione all’art. 160 c.p.c., comma 1, n. 3, e al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 62”. L’applicazione di una ritenuta alla fonte sui corrispettivi per prestazioni di lavoro autonomo corrisposte a soggetti non residenti comporta una illegittima restrizione alla libertà di prestazione di servizi concessa dal trattato sul funzionamento dell’Unione Europea. Infatti, mentre per le prestazioni rese da professionisti residenti in Italia l’aliquota applicabile era quella del 20%, per le prestazioni rese, l’aliquota era del 30%. In tal modo si verificava una restrizione alla libera prestazione di servizi. L’art. 56 TFUE, osta all’interpretazione fornita dal giudice d’appello di Milano secondo cui il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 25, comma 2, pone a carico dei committenti residenti, che rivestono la qualifica di sostituti d’imposta, l’obbligo di assoggettare i compensi per prestazioni di lavoro autonomo rese da soggetti residenti di Unione Europea ad una ritenuta a titolo d’imposta del 30%, nonostante il medesimo art., comma 1, ponga a carico dei medesimi competenti l’obbligo di assoggettare i compensi per prestazioni di lavoro autonomo rese da soggetti residenti in Italia alla ritenuta a titolo di acconto con la minore aliquota del 20%. Nel caso in cui non si ritenesse possibile tale interpretazione del secondo del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 25, la società chiede di sollevare dinanzi alla Corte di giustizia dell’Unione Europea la questione di interpretazione pregiudiziale di tale disposizione ai sensi dell’art. 267 TFUE.

5. Con il quinto motivo di impugnazione la ricorrente deduce la “nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, e al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 62”. Il giudice d’appello non si è pronunciato sulla domanda avanzata dalla società in via subordinata di applicazione delle ritenute di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 25, comma 2, sui compensi calcolati “al netto dei costi sostenuti dai singoli professionisti” per produrli.

6. Con il sesto motivo di impugnazione la ricorrente lamenta la “nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, e al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 62”. Il giudice d’appello avrebbe violato il principio di corrispondenza tra il chiesto e pronunciato, sancito dall’art. 112 c.p.c., perché non si è pronunciato su motivo di appello con cui la società aveva eccepito, in via subordinata, numerosi errori compiuti dall’Ufficio sul calcolo dei compensi da assoggettare a ritenuta. In particolare, a prescindere dal provvedimento emesso in via di autotutela, non si è posto rimedio all’errore commesso dall’Agenzia delle entrate con riferimento alle 3 fatture emesse dalla società Clim, che ha agito per conto della società inglese Chaos Fashion & Design Consultancy LTD, quindi per un soggetto, persona giuridica, titolare di reddito d’impresa. Allo stesso modo altro errore è stato compiuto per i servizi resi dalla società Maxim, la quale agito per conto di un’altra persona giuridica, la Teddy Ltd.

7. Con il settimo motivo di impugnazione la ricorrente deduce la “nullità della sentenza per violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 1, n. 4, e del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4”. Invero, il giudice d’appello, confermando la legittimità delle sanzioni irrogate dall’ufficio, ha reso una motivazione meramente apparente, senza pronunciarsi sulla doglianza della società relativa all’errata applicazione dell’istituto del concorso e della continuazione.

8. Con l’ottavo motivo di impugnazione la società si duole della “nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, e al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 62. Il giudice d’appello non si sarebbe pronunciato sul motivo di gravame, formulato in via subordinata dalla società, concernente l’illegittimità delle sanzioni irrogate con gli atti impugnati per “errata applicazione dell’istituto del concorso e della continuazione”.

9. Il terzo motivo di impugnazione è inammissibile.

9.1. Invero, la società ha dedotto l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, avendo il giudice d’appello omesso di esaminare la circostanza che i parrucchieri, i truccatori e i consulenti stilistici, per svolgere loro prestazioni, si siano avvalsi di un nutrito stuolo di collaboratori.

9.2. In realtà, poiché l’appello è stato depositato il 29 novembre 2013, e si è in presenza di una doppia decisione conforme di merito, trova applicazione l’art. 348-ter c.p.c., il quale inibisce la possibilità di proporre ricorso per cassazione per vizio di motivazione. Tale norma si applica per gli appelli depositati a decorrere dall’11 settembre 2012 e trova quindi applicazione anche nella controversia in esame, in cui sia il giudice di prime cure, sia giudice d’appello, sulla base dei medesimi elementi istruttori, sono giunti alla medesima decisione, rigettando la tesi della società contribuente.

10. I motivi primo e secondo, che vanno esaminati congiuntamente per ragioni di stretta connessione, sono fondati.

10.1. I fatti possono così essere sintetizzati. Dall’avviso di accertamento, ritualmente trascritto dalla società nel ricorso per cassazione, oltre che dalla sentenza del giudice d’appello, emerge che la società Dolce & Gabbana, dovendo organizzare una sfilata di moda in Italia, ha incaricato 6 società del Regno Unito (Intrepid, C.L.M., IMG Models, Streeters, Maxim e la Storm) di fornire specifici servizi: la Intrepid, la CLM e la Maxim hanno fornito consulenze stilistiche; la IMG Models e la Storm hanno fornito numerosi modelli, e la Streeters, ha fornito servizi di trucco ed acconciatura per tali modelli. Con riferimento a tali prestazioni sono state emesse fatture che, in parte, erano riferite ai servizi di Agenzia, e in parte, erano relative alle prestazioni rese da stilisti, parrucchieri, truccatori e modelli. Elemento dirimente è costituito dalla circostanza che le 6 società avevano sede a (OMISSIS) (” le società Intrepid, CLM, Streeters, Maxim, IMG Models e Storm con sede a (OMISSIS) hanno fornito, nel corso dell’anno di imposta 2005, in qualità di agenti intermediari, l’opera di alcuni professionisti per la realizzazione delle sfilate di moda”) e non avevano in Italia alcuna base fissa (“né risulta che le società intermediarie o le persone fisiche che hanno effettuato tali prestazioni abbiano in Italia una base fissa”); anche le persone fisiche che avevano concretamente erogato le prestazioni non avevano in Italia una base fissa. L’Agenzia delle entrate ha effettuato la ripresa fiscale in quanto ha ritenuto che le 6 società inglesi avessero svolto il ruolo di mere intermediarie, mentre le prestazioni fossero state rese dai singoli professionisti; di qui l’obbligo per la società contribuente, quale sostituto d’imposta, di operare la ritenuta con aliquota del 30%, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 25, comma 2.

11. Il D.P.R. n. 917 del 1986, art. 53, comma 1 (redditi di lavoro autonomo) prevede che “sono redditi di lavoro autonomo quelli che derivano dall’esercizio di arti e professioni. Per l’esercizio di arti e professioni si intende l’esercizio per professione abituale, ancorché non esclusiva, di attività di lavoro autonomo diverse da quelle considerate nel capo VI (redditi di impresa), compreso l’esercizio in forma associata di cui all’art. 5, comma 3, lett. c)”.

Il D.P.R. n. 917 del 1986, art. 23, comma 1, lett. d), (“Applicazione dell’imposta ai non residenti”), stabilisce che “ai fini dell’applicazione dell’imposta nei confronti dei non residenti si considerano prodotti nel territorio dello Stato:…d) i redditi di lavoro autonomo derivanti da attività esercitate nel territorio dello Stato”.

Tale norma, infatti, chiarisce che sono tassabili in uno Stato, e quindi in Italia, i redditi prodotti dai soggetti non residenti in questo Stato (domestic income); in questo caso lo Stato (Stato della fonte) ha una potestà impositiva limitata e tassa i redditi solo se hanno la “fonte” nel suo territorio (source taxation). Al fine di definire il perimetro della potestà impositiva dello Stato si rinvia a criteri di collegamento individuati in “norme formali” che, poi, per la determinazione del trattamento tributario in concreto, rimandano alle norme sostanziali. La norma formale interna è costituita dal D.P.R. n. 917 del 1986, art. 23, il quale stabilisce a quali condizioni un reddito imputabile ad una persona fisica non residente, soggetta di Irpef, sia da considerare tassabile in Italia.

Nella specie, con riferimento ai redditi di lavoro autonomo, il D.P.R. n. 917 del 1986, art. 23, comma 1, lett. d), afferma che sono assoggettati ad imposta in Italia i redditi di lavoro autonomo che derivano da attività esercitate nel territorio dello Stato, quindi in Italia.

Ovviamente, bisogna tenere conto delle convenzioni tra Stati contro le doppie imposizioni (e segnatamente di tali convenzioni, art. 14), concluse dall’Italia. In particolare, i redditi da lavoro autonomo, percepiti da un soggetto residente di uno Stato contraente sono imponibili anche nello Stato in cui è situata la “base fissa”, di cui tale soggetto disponga abitualmente; se poi l’attività produttiva di reddito non è esercitata attraverso la “base fissa”, in tal caso il reddito del non residente sarà tassato solo dallo Stato di residenza. Pertanto, in presenza di una convenzione di tale tipo, l’Italia ha potestà impositiva sui redditi di lavoro autonomo, prodotti in Italia, solo in presenza di una “base fissa”.

Dall’avviso di accertamento emerge pacificamente che sia le società con sede a (OMISSIS), sia le persone fisiche che hanno in concreto realizzato le prestazioni, non avevano base fissa in Italia.

Peraltro, in dottrina, si è segnalato che dal 2000, nel modello OCSE, per eliminare le doppie imposizioni, la legittimità della tassazione dei redditi di lavoro autonomo nello Stato della fonte (in questo caso in Italia) non è più subordinata alla presenza di un “base fissa”, ma al medesimo criterio della presenza di una “stabile organizzazione”.

La disciplina nazionale deve però essere confrontata con la specifica disciplina delle convenzioni contro le doppie imposizioni concluse dall’Italia, segnatamente in ordine al trattamento tributario dei redditi di lavoro autonomo prestati da soggetti non residenti in relazione all’esercizio di attività di impresa nel territorio dello Stato per società residenti, quale la contribuente.

12. Invero, per questa Corte (Cass., sez. 5, 14 novembre 2019, n. 29635) le Convenzioni, una volta recepite nel nostro ordinamento interno con legge di ratifica, acquistano il valore di fonte primaria, ai sensi dell’art. 10 Cost., comma 1 (che prevede il sistema di adattamento dell’ordinamento italiano alle norme del diritto internazionale) e dell’art. 117 Cost. (che prevede l’obbligo comune dello Stato e delle Regioni di conformarsi ai vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e agli obblighi internazionali), come peraltro ribadito, nella materia tributaria, anche del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 75 (“nell’applicazione delle disposizioni concernenti le imposte sui redditi, sono fatti salvi accordi internazionali resi esecutivi in Italia”) e dal D.P.R. n. 917 del 1986, art. 169 (per il quale le disposizioni dello stesso testo unico “si applicano, se più favorevoli al contribuente, anche in deroga agli accordi internazionali contro la doppia imposizione”). Pertanto, questa Corte (Cass., sez. 5, 14 novembre 2019, n. 29635; Cass., 19 gennaio 2009, 19 gennaio 2009, n. 1138; Cass., 15 luglio 2016, n. 14474), sulla base di dette norme, ha affermato il principio generale che le convenzioni, per il carattere di specialità del loro ambito di formazione, così come le altre norme internazionali pattizie, prevalgono sulle corrispondenti norme nazionali, dovendo la potestà legislativa essere esercitata nei vincoli derivanti, tra l’altro, dagli obblighi internazionali (art. 117 Cost., comma 1, nel testo di cui alla L. Cost. 18 ottobre 2001, n. 3, art. 3); si è anche specificato che, in materia di imposte sul reddito, le norme pattizie derivanti da accordi tra gli Stati prevalgono, attesa nella specialità e la ratio di evitare fenomeni di doppia imposizione, su quelle interne (Cass., 24 novembre 2016, n. 23984).

13. Con specifico riferimento ai compensi erogati in favore delle 6 società del Regno Unito, in relazione ai compensi di agenzia, ovvero di intermediazione (“FEE di agenzia, come risulta dalle fatture), deve trovare applicazione la Convenzione tra Italia Regno Unito, art. 7 (Utili delle imprese), in base al quale “gli utili di un’impresa di uno Stato contraente sono imponibili soltanto in detto Stato, a meno che l’impresa non svolga la sua attività nell’altro Stato contraente per mezzo di una stabile organizzazione ivi situata. Se l’impresa svolge in tal modo la sua attività, gli utili dell’impresa sono imponibili nell’altro Stato ma soltanto nella misura in cui detti utili sono attribuibili alla stabile organizzazione”.

Pertanto, alla stregua della disciplina della Convenzione Italia-Regno Unito, sulla doppia imposizione, la Convenzione, art. 7, prevale sulla normativa nazionale e, quindi, sul D.P.R. n. 600 del 1973, art. 25, comma 2.

Del resto, la Convenzione Italia-Regno Unito, art. 2 (“imposte considerate”), afferma che “le imposte attuali cui si applica la convenzione sono:… Per quanto concerne l’Italia: i) l’imposta sul reddito delle persone fisiche; ii) l’imposta sul reddito delle persone giuridiche; iii) l’imposta locale sui redditi; ancorché riscosse mediante ritenuta alla fonte”.

13.1. E’ evidente, poi, che si tratti di utile di impresa, stante l’ampio perimetro del reddito di impresa di cui al D.P.R. n. 917 del 1986, art. 55. Infatti, il D.P.R. n. 917 del 1986, art. 55, comma 1, prevede che “sono redditi di impresa quelli che derivano dall’esercizio di imprese commerciali. Per l’esercizio di imprese commerciali si intende l’esercizio per professione abituale, ancorché non esclusiva, delle attività indicate nell’art. 2195 c.c., e delle attività indicate all’art. 32, comma 2, lett. b) e c), che eccedono i limiti ivi stabiliti, anche se non organizzata in forma di impresa”.

All’art. 55, comma 2, si stabilisce che “sono inoltre considerati redditi di impresa: i redditi derivanti dall’esercizio di attività organizzata in forma di impresa dirette alla prestazione di servizi che non rientrano nell’art. 2195 c.c.”.

L’attività di intermediazione svolta dalle 6 società con sede a (OMISSIS), rientra allora all’interno del perimetro dell’art. 2195 c.c., al n. 2, ove si fa riferimento ad “un’attività intermediaria nella circolazione dei beni”, o comunque nel n. 5 (” altre attività ausiliarie delle precedenti”). Peraltro, l’organizzazione manifestata dalle 6 società, in grado di fornire personale altamente qualificato per lo svolgimento della sfilata di moda, comporta la sussistenza di una attività organizzativa in forma di impresa, per le attività che non rientrano nell’art. 2195 c.c..

14. Il giudice d’appello, con riferimento alla questione relativa alla Convenzione sulla “doppia imposizione” stipulata tra Italia ed il Regno Unito, si è limitata ad affermare che “la Commissione non ritiene probante la documentazione prodotta dalla parte, atteso che i certificati prodotti si riferiscono, perlopiù, ad annualità diverse da quella in esame e per quelli dell’anno non si ha la certezza che il percepito sia stato tassato nel paese di origine”.

15.1. Entrambe le affermazioni risultano erronee; quanto alla certificazione relativa alla residenza delle persone fisiche che hanno effettivamente svolto la prestazione, oltre che alla sede delle società che hanno svolto il servizio di intermediazione per fornire il personale qualificato che doveva svolgere attività di lavoro autonomo, era pacifico dallo stesso avviso di accertamento che la sede legale e la residenza fosse fuori dall’Italia. In particolare, dall’avviso di accertamento, trascritto quasi integralmente nel ricorso per cassazione (pagina 19 e 20 del ricorso) risulta che le società “Intrepid, CLM, Streeters, Maxim, IMG Models e Storm (avevano) sede a (OMISSIS); inoltre, si è evidenziato che “né risulta che le società intermediarie o le persone fisiche che hanno effettuato tali prestazioni abbiano in Italia una base fissa”.

Pertanto, era assolutamente pacifico ed incontestato in giudizio, già dalla fase dell’avviso di accertamento, che le società intermediarie avessero sede a (OMISSIS) e le persone fisiche avessero residenza fuori dall’Italia, ove non avevano neppure una “base fissa”.

16. Inoltre, è erronea anche l’affermazione per cui “non si ha la certezza che il percepito sia stato tassato nel paese di origine”.

Invero, per questa Corte, in tema di doppia imposizione internazionale, la nozione di persona fisica residente in uno Stato contraente, utilizzata ai fini della applicazione della minore imposta dalla Convenzione Italia-Svizzera – ratificata e resa esecutiva in Italia con L. n. 943 del 1978 – deve essere intesa nel senso di potenziale assoggettamento della stessa ad imposizione in modo illimitato nello Stato di residenza, indipendentemente dall’effettivo prelievo fiscale subito, essendo lo scopo delle convenzioni bilaterali quello di eliminare la sovrapposizione dei sistemi fiscali nazionali ed agevolare l’attività economica internazionale, come affermato dalla Corte di Giustizia UE nella sentenza 19 novembre 2009, n. 540 (Cass., sez. 5, 17 aprile 2019, n. 10706; Cass., 29 gennaio 2020, n. 1967, al paragrafo 3.8.).

17. Le medesime considerazioni valgono anche con riferimento alla porzione di pagamento relativa alle persone fisiche che hanno in concreto svolto le prestazioni professionali di lavoro autonomo. Anche in questi casi, va data prevalenza alla convenzione tra Stati rispetto al diritto nazionale, e quindi rispetto al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 25, comma 2.

La L. 5 novembre 1990, n. 329, art. 14, ossia la Convenzione Italia-Regno Unito. La suddetta Convenzione, art. 14 (” professionisti indipendenti”), infatti, prevede, che “i redditi che un residente di uno Stato contraente ritrae dall’esercizio di una libera professione o di altre attività di carattere indipendente sono imponibili soltanto in detto Stato a meno che egli non disponga abitualmente nell’altro Stato contraente di una base fissa per l’esercizio della sua attività. Se egli dispone di tale base fissa, i redditi sono imponibili nell’altro Stato ma unicamente nella misura in cui sono attribuibili a detta base fissa”. L’espressione “libera professione” comprende, ai sensi della Convenzione, art. 14, comma 2, “in particolare le attività indipendenti di carattere scientifico, letterario, artistico, educativo o pedagogico, nonché l’attività indipendenti dei medici, avvocati, ingegneri, architetti, dentisti e contabili”. Pertanto, la Convenzione Italia-Regno Unito, art. 14, deve prevalere sul D.P.R. n. 600 del 1973, art. 25, comma 2, in base al quale (ritenute sui redditi di lavoro autonomo e su altri redditi) “salvo quanto disposto nel presente art., u.c., se i compensi e le altre somme di cui al precedente comma, sono corrisposti a soggetti non residenti, deve essere operata una ritenuta a titolo d’imposta nella misura del 30%, anche per le prestazioni effettuate nell’esercizio di imprese”.

18. Con riferimento ai singoli professionisti, effettivamente per la modella L.A., residente in Belgio, il cui certificato di residenza è stato prodotto in giudizio, trova applicazione la Convenzione stipulata tra Italia e Belgio, art. 14, di cui alla L. 3 aprile 1989, n. 148, in base (professionisti indipendenti) al quale “i redditi che un residente di uno Stato contraente ritrae dall’esercizio di una libera professione o da altre attività di carattere indipendente sono imponibili soltanto in detto Stato a meno che tale residente non disponga abitualmente nell’altro Stato contraente di una base fissa per l’esercizio delle sue attività. Se egli dispone di tale base fissa, i redditi sono imponibili nell’altro Stato, ma unicamente nella misura in cui sono attribuibili a detta base fissa”.

18.1. Con riferimento alle modelle S.J. e W.G. ed alla truccatrice m.P., i cui certificati di residenza fiscale sono stati prodotti in giudizio, la Convenzione stipulata con gli Stati Uniti d’America, art. 14, di cui alla L. 11 dicembre 1985, n. 763, poi, L. 3 marzo 2009, n. 20, che ratifica la Convenzione del 25 agosto 1999 (professionisti indipendenti), stabilisce che “i redditi che una persona fisica residente di uno Stato contraente ritrae dalla prestazione di servizi personali a carattere indipendente sono imponibili soltanto in detto Stato, a meno che tali servizi non siano prestati nell’altro Stato contraente e la persona fisica disponga abitualmente in detto altro Stato di una base fissa per l’esercizio delle sue attività, ma in tal caso i redditi sono imponibili in detto altro Stato unicamente nella misura in cui sono attribuibili a detta base fissa”.

18.2. Con riferimento alla modella D.M., residente in Canada, come da certificato di residenza fiscale prodotto in giudizio, la L. 24 marzo 2011, n. 42, art. 14, prevede che “i redditi che una persona fisica residente di uno Stato contraente ritrae dall’esercizio di una libera professione o da altre attività analoghe di carattere indipendente sono imponibili soltanto in detto Stato, meno che tale persona fisica non disponga abitualmente nell’altro Stato contraente di una base fissa per l’esercizio delle sue attività. Se la persona fisica dispone o disponeva di tale base fissa, i redditi sono imponibili nell’altro Stato ma unicamente nella misura in cui sono imputabili a detta base fissa”.

18.3. Con riferimento al parrucchiere So.Eu., residente in Gran Bretagna, vale quanto già affermato in relazione alle società con sede a (OMISSIS) (L. 5 novembre 1990, n. 329, art. 14).

18.4. Con riferimento alla modella Do.Di. residente fiscalmente in Romania, come da certificato di residenza fiscale allegato, la Convenzione con la Romania, art. 14, di cui alla L. 16 maggio 2017, n. 78, stabilisce che “un residente di uno Stato contraente ritrae dall’esercizio di una libera professione o da altre attività indipendenti di carattere analogo sono imponibili soltanto in detto Stato, meno che detto residente non disponga abitualmente nell’altro Stato contraente di una base fissa per l’esercizio delle sue attività”.

19. In tutte queste ipotesi, prevale dunque la normativa relativa alle convenzioni contro la doppia imposizione, rispetto alla disposizione nazionale di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 25, comma 2. Tutti i professionisti non erano residenti nel territorio dello Stato e non disponevano di una base fissa in Italia.

20. Il rimando del giudice d’appello alla sentenza di questa Corte n. 17955 del 19 ottobre 2012, non è pertinente, in quanto si è ivi affermato che, in tema di imposte sui redditi, le prestazioni fornite nel settore della moda, e relative all’intera organizzazione di un evento, sono riconducibili, ai sensi del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 597, art. 19, n. 9, all’attività artistica o di spettacolo, essendo i canoni di queste integrabili, in linea generale, da una sfilata di moda, o comunque all’attività professionale, in quanto la predisposizione di tutto il necessario alla realizzazione dell’evento implica lo svolgimento della prestazione in forma organizzata. Ne consegue che, in applicazione del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 25, i compensi relativi a tali prestazioni, ove corrisposti da soggetti residenti nel territorio dello Stato ad imprese, società od enti non residenti sono soggetti ad una ritenuta del trenta per cento a titolo di imposta sulla parte imponibile del loro ammontare.

In realtà, però, in quella fattispecie la società contribuente aveva commissionato ad altra società, residente all’estero, “l’intera organizzazione di un evento di moda”, ossia “un vero e proprio evento mondano a tipo sfilata, con relativo allestimento scenico e con finalizzazione all’intrattenimento pubblico”.

Nella specie, invece, la società contribuente si è limitata a conferire l’incarico a 6 società con sede a (OMISSIS) di reperire professionisti per la realizzazione delle sfilate di moda e, in particolare, per procurare consulenti stilisti, parrucchieri e truccatori, oltre che modelli.

21. Inoltre, il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 25-bis, comma 8 (Ritenuta sulle provvigioni inerenti a rapporti di commissione, di agenzia, di mediazione, di rappresentanza di commercio e di procacciamento di affari), prevede che “le disposizioni dei precedenti commi, si applicano anche alle provvigioni corrisposte a stabili organizzazioni nel territorio dello Stato di soggetti non residenti”.

Pertanto, è evidente che la ritenuta a titolo di acconto su tali provvigioni poteva essere effettuata soltanto se le società del Regno Unito avessero avuto stabili organizzazioni in Italia. Era invece pacifico che le società inglesi avevano sede a (OMISSIS), nel periodo di imposta oggetto di contestazione, e non disponevano “in Italia di una base fissa” (cfr. avviso di accertamento trascritto nel ricorso per cassazione).

22. Peraltro, per questa Corte, in tema di redditi percepiti dagli artisti all’estero, il diverso trattamento impositivo previsto dal Modello OCSE, art. 17, p. 1, rispetto all’attività degli altri lavoratori autonomi trova giustificazione nell’esigenza di sottoporre a tassazione le prestazioni artistiche nello Stato nel quale sono realizzate, poiché per loro natura le stesse consentono di conseguire notevoli redditi in un breve lasso temporale; peraltro, per prevenire possibili condotte elusive, il p. 2 della stessa disposizione stabilisce che, quando il reddito derivante dalle attività dell’artista è attribuito ad un altro soggetto (“star company”), questo può comunque essere tassato nello Stato nel cui territorio è realizzata la prestazione e nel quale trae origine (Cass., sez. 5, 7 settembre 2018, n. 21865). Si è precisato, infatti, in tale decisione che il modello di convenzione OCSE, art. 17, non è applicabile all’attività di modelli e modelle, trattandosi di attività destinata alla realizzazione di video pubblicitari e non di spettacoli artistici; si tratta, in realtà, di attività di carattere personale, propria dei prestatori autonomi, con conseguente applicazione del modello OCSE, art. 14. Diversamente, quanto alle prestazioni artistiche, il modello di Convenzione OCSE, art. 17, paragrafo 1, prevede che il reddito percepito da un artista di teatro, del cinema, della radio o della televisione o un musicista, o da uno sportivo, per la sua attività personale esercitata nell’altro Stato, può essere tassato in questo altro Stato, per cui il soggetto può essere tassato sia nello Stato di esecuzione dell’opera o della prestazione, sia in quello di residenza. Per tale ragione, la tassazione dei redditi dell’artista o dello sportivo può avvenire in uno Stato per il solo fatto che la prestazione è ivi resa, a prescindere dalla sussistenza di una stabile organizzazione che il modello Ocse, art. 14, invece, richiede affinché il lavoratore autonomo possa essere tassato nello Stato in cui eroga la prestazione.

23. I restanti motivi restano tutti assorbiti.

24. La sentenza impugnata deve, quindi, essere cassata, con rinvio alla Commissione tributaria regionale della Lombardia, in diversa composizione, che valuterà anche i due provvedimenti di sgravio emessi in ordine alle sanzioni (di sgravio parziale prot. n. (OMISSIS) e di sgravio totale prot. n. (OMISSIS)) e provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

accoglie il primo ed il secondo motivo; dichiara inammissibile il terzo; dichiara assorbiti i restanti; cassa la sentenza impugnata, in ordine ai motivi accolti, con rinvio alla Commissione tributaria regionale della Lombardia, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 24 febbraio 2022.

Depositato in Cancelleria il 3 marzo 2022

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA