Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7106 del 12/03/2020

Cassazione civile sez. I, 12/03/2020, (ud. 02/10/2019, dep. 12/03/2020), n.7106

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –

Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – Consigliere –

Dott. SCALIA Laura – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 6612/2015 proposto da:

D.P.V., elettivamente domiciliato in Roma, Piazza S.

Andrea della Valle n. 3, presso lo studio dell’avvocato Massimo

Mellaro, rappresentato e difeso dall’avvocato Giuseppe Saitta,

giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

Consorzio per l’Area di Sviluppo Industriale della Provincia di

Messina in Liquidazione – Gestione Separata IRSAP, in persona del

legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in

Roma, Via Stoppani n. 1, presso lo studio dell’avvocato Andrea

Scuderi, che lo rappresenta e difende, giusta procura in calce al

controricorso;

– controricorrente –

contro

Comune di Milazzo, in persona del sindaco pro tempore, elettivamente

domiciliato in Roma, Viale Ionio n. 2, presso lo studio

dell’avvocato Lucia Testa, rappresentato e difeso dall’avvocato

Orazio Alfredo Zappia, giusta procura in calce al controricorso;

– controricorrente –

e contro

A.A., in persona della procuratrice A.I. e

A.N., A.D., T.O., quali eredi di

A.F., tutti elettivamente domiciliati in Roma, Via Serradifalco n.

7, presso lo studio dell’avvocato Toni Fava, il primo rappresentato

e difeso dall’avvocato Pasquale Marcianò, e gli altri rappresentati

e difesi dall’avvocato Nunzio Giannetto, giuste procure in calce al

controricorso e ricorso incidentale;

– controricorrenti e ricorrenti incidentali –

contro

Comune di Milazzo, in persona del sindaco pro tempore, elettivamente

domiciliato in Roma, Viale Ionio n. 2, presso lo studio

dell’avvocato Lucia Testa, rappresentato e difeso dall’avvocato

Orazio Alfredo Zappia, giusta procura in calce al controricorso al

ricorso incidentale;

– controricorrente al ricorso incidentale –

e contro

L.M., nella qualità di curatore dei fallimenti

L.M.G. e Lo.Mi.Gu., elettivamente domiciliato in Roma, Via

Latina n. 18, presso lo studio dell’avvocato Silvio Casciotti

(Studio Ciampa & Associati), rappresentato e difeso

dall’avvocato Antonio Sindona, giusta procura in calce al

controricorso e ricorso incidentale autonomo e in adesione al

ricorso principale;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

contro

Comune di Milazzo, in persona del sindaco pro tempore, elettivamente

domiciliato in Roma, Viale Ionio n. 2, presso lo studio

dell’avvocato Testa Lucia, rappresentato e difeso dall’avvocato

Orazio Alfredo Zappia, giusta procura in calce al controricorso al

ricorso incidentale;

– controricorrente al ricorso incidentale –

e contro

Consorzio per l’Area di Sviluppo Industriale della Provincia di

Messina in Liquidazione – Gestione Separata IRSAP, in persona del

legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in

Roma, Via Stoppani n. 1, presso lo studio dell’avvocato Andrea

Scuderi, che lo rappresenta e difende, giusta procura in calce al

controricorso;

– controricorrente ai ricorsi incidentali –

avverso la sentenza n. 770/2014 della CORTE D’APPELLO di MESSINA,

depositata il 10/11/2014;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

02/10/2019 dal Cons. Dott. Laura Scalia.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Il Tribunale di Barcellona Pozzo di Gotto con sentenza n. 296 del 2006 accoglieva la domanda proposta dai germani L.M.G. e Lo.Mi.Gu. e dai notai A.A., A.F. e D.P.V., gli ultimi tre quali cessionari del credito e nei limiti dell’importo della cessione, e dichiarava l’avvenuta occupazione acquisitiva da parte del Comune di (OMISSIS) del fondo sito in contrada (OMISSIS), in catasto al f. (OMISSIS), p.lla (OMISSIS), che era stato occupato, con ordinanza sindacale n. 3/90, per la realizzazione di un centro mercantile da parte del Consorzio ASI della provincia di Messina.

Il Comune veniva quindi condannato al pagamento in favore della Curatela dei fallimenti L.M.G. e Lo.Mi.Gu., nell’intervenuta loro decozione nelle more del giudizio, della somma di Euro 815.380,60 oltre accessori, previa detrazione della minore somma, pari ad Euro 237.570,17 comprensiva di accessori, da corrispondersi ai notai A.F., A.A. e D.P.V. che si erano resi, nell’indicata misura, cessionari di un credito vantato dai L.M., all’epoca in bonis, nei confronti del Comune di Milazzo ed il Consorzio ASI, convenuto, quest’ultimo, di cui pure il Tribunale dichiarava il difetto di legittimazione passiva.

2. Avverso l’indicata sentenza proponeva appello il Comune di Milazzo che deduceva la legittimazione passiva esclusiva del Consorzio ASI L.R. n. 21 del 1985, ex art. 29 ed L.R. n. 1 del 1984, art. 21.

Resisteva il Consorzio ASI che faceva valere l’inammissibilità dell’impugnazione per carenza di interesse ad agire e, in via incidentale condizionata, sosteneva la natura non edificabile del terreno occupato.

Resisteva la Curatela deducendo, tra l’altro, che avrebbe dovuto riconoscersi la responsabilità solidale in capo ai due convenuti.

Resistevano anche i cessionari del credito vantato dai L.M. che facevano valere l’intervenuto accertamento del loro credito.

3. La Corte di appello di Messina con la sentenza in epigrafe indicata una volta acquisita la sentenza del n. 393/1991 – che, passata in giudicato il 9.12.2013, aveva statuito, in sede di opposizione alla stima proposta dai germani L.M., sulla indennità di espropriazione e di occupazione legittima, che aveva provveduto a liquidare – ed in sua riforma, rigettava la domanda proposta dai germani L.M. e dai notai A.A., A.F. e D.P.V..

Segnatamente, nelle conclusioni della Corte territoriale, l’indicato giudicato avrebbe accertato la legittimità della procedura espropriativa attraverso il riconoscimento delle indicate voci e poichè il presupposto del giudizio di danno era l’illeceità dell’occupazione, dovendo l’indicato carattere escludersi per l’intervenuto giudicato sulla legittimità del procedimento espropriativo, la Corte di merito non avrebbe potuto che rigettare la domanda.

4. Ricorre per la cassazione dell’indicata sentenza D.P.V. con tre motivi cui resistono con controricorso il Comune di Milazzo, il Consorzio per l’Area di Sviluppo Industriale (ASI) della Provincia di Messina, in liquidazione, gestione separata IRSAP.

Propone ricorso incidentale “autonomo ed in adesione al ricorso principale” la curatela dei fallimenti L.M.G. e Lo.Mi.Gu..

Propongono ricorso incidentale A.I., quale procuratrice del notaio A.A., il notaio Ar.Nu., l’avvocato A.D. e T.O., gli ultimi tre quali aventi causa di A.F., deceduto nelle more, con mezzo affidato a quattro motivi.

Resistono con controricorso il Comune ed il Consorzio ASI della Provincia di Messina, il quale, ultimo, in via subordinata dichiara di riproporre l'”appello incidentale condizionato”, dichiarato assorbito con l’impugnata sentenza.

D.P.V., il Consorzio ASI e l’avvocato A.I., nell’indicata qualità, hanno depositato memorie illustrative.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. D.P.V. articola tre motivi.

1.1. Con il primo fa valere la violazione e falsa applicazione dell’art. 2909 c.c. e degli artt. 324 e 100 c.p.c. e quindi del giudicato esterno – nel sollecitato suo rilievo ufficioso anche in sede di legittimità – in cui sarebbe incorsa la Corte di appello di Messina con l’impugnata sentenza ritenendo che la precedente, quella adottata dalla medesima Corte distrettuale al n. 393 dell’anno 1991, all’esito di un distinto giudizio avente ad oggetto la determinazione dell’indennità di esproprio e di occupazione legittima, avesse escluso l’illegittimità della procedura ablativa e, con essa, il presupposto dell’azione di danno per l’illecito da occupazione illegittima successivamente introdotto.

Tanto sarebbe accaduto nonostante la statuizione richiamata non avesse dichiarato l’illegittimità della procedura espropriativa, ma si fosse limitata a determinare l’indennità di occupazione fino alla data della decisione “non essendo stato ancora emesso il provvedimento di espropriazione”.

La Corte di appello con l’impugnata decisione aveva così attribuito alla sentenza del 1991 un contenuto estraneo ai limiti del giudizio risarcitorio dinanzi alla prima pendente ed in cui il Comune di Milazzo era stato condannato, in primo grado, per illecito extracontrattuale costituito dalla mancata emissione, alla data del 15.06.1999, del provvedimento ablatorio definitivo.

1.2. Con il secondo motivo il ricorrente fa valere la violazione e falsa applicazione dell’art. 2043 c.c., L. n. 2359 del 1865, artt. 48 e 49 (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), anche in relazione all’art. 112 c.p.c., (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4).

La Corte territoriale avrebbe rigettato la domanda risarcitoria promossa dal ricorrente fondando la propria decisione sulla legittimità della procedura espropriativa accertata nella sentenza definitiva n. 393/1991.

I giudici di appello non avrebbero in tal modo considerato che, il deposito della somma a titolo di indennità presso la Cassa depositi e prestiti in sede amministrativa ha efficacia liberatoria per l’espropriante nell’ambito di una procedura espropriativa conclusasi con un efficace decreto di esproprio e di occupazione temporanea, ma non anche quando l’effetto ablatorio si produca a seguito di occupazione acquisitiva, nel qual caso la somma va corrisposta direttamente all’espropriato, con detrazione di quanto eventualmente già incassato.

Premesso che nessuna somma era stata depositata per la sentenza del 1991, e tanto per ammissione dello stesso Consorzio, e che nessun provvedimento ablatorio definitivo era stato emesso, il giudice di appello aveva omesso di considerare che con la decisione adottata aveva introdotto in giudizio petitum e causa petendi nuovi e diversi da quelli propri della causa di risarcimento.

Erroneamente interpretando il significato del giudicato relativo al procedimento espropriativo, ancora non condotto a termine, aveva concluso per il venir meno del presupposto dell’azione risarcitoria.

3. Con il terzo motivo si deduce dal ricorrente la violazione degli artt. 2043 e 2055 c.c. e dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4.

La Corte di merito avrebbe omesso di pronunciare sulla diversa domanda di risarcimento del danno e sulla responsabilità solidale del Comune di Milazzo e del Consorzio ASI da occupazione espropriativa in esito ad un’errata interpretazione sul giudicato intervenuto in materia di indennità di esproprio e di occupazione legittima.

4. Con il quarto motivo si deduce la violazione dell’art. 91 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. I giudici di appello sarebbero incorsi nella violazione della norma sulla disciplina delle spese di lite pervenendo a compensazione tra le parti là dove, invece, il rigetto dell’appello principale e l’accoglimento di quello incidentale avrebbe dovuto comportare la condanna del Comune e del Consorzio.

5. La curatela dei fallimenti L.M.G. e Lo.Mi.Gu., in persona del curatore, L.M., ha proposto ricorso incidentale affidato a quattro motivi di adesione a quelli articolati dal ricorrente principale.

La curatela ha altresì dedotto che nel giudizio di primo grado e nei successivi atti di appello non era stato posto in contestazione il carattere dovuto della indennità di occupazione illegittima per l’intervenuta acquisizione da parte del Comune, per conto dell’ASI, dei terreni in proprietà dei germani L.M..

La c.t.u. disposta dal giudice di primo grado, anche per verificare l’intervenuta occupazione acquisitiva, aveva accertato che dopo la presa di possesso dell’area nessun altro provvedimento era stato adottato dal Comune e che il decreto di esproprio non era stato emesso.

Con l’impugnata sentenza la Corte di appello aveva pertanto violato il principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato, atteso che tutte le parti avevano fatto acquiescenza alla parte della sentenza che sanciva l’illegittimità dell’occupazione.

Il Comune di Milazzo resiste con controricorso al ricorso incidentale.

6. I primi due motivi dei ricorsi proposti in via principale ed incidentale vanno trattati congiuntamente per la connessione dei temi che ne sono oggetto; gli stessi sono fondati e nel loro accoglimento la sentenza impugnata va cassata con rinvio alla Corte di appello di Messina, in diversa composizione.

Gli ulteriori motivi restano assorbiti.

6.1. Viene, in via preliminare, in valutazione il limite di accertamento e sindacabilità nel giudizio di legittimità del giudicato esterno.

6.1.1. Va da subito rimarcato che la fattispecie in esame sfugge alla necessità che la prova del passaggio in giudicato intervenga per attestato di cancelleria ex art. 124 disp. att. c.p.c., per il quale il cancelliere certifica il difetto di impugnazione nei termini di legge o attesta l’avvenuto esperimento di essa in data tale da implicarne, ictu ocuii, la tardività e, quindi, il passaggio in giudicato senza necessità di formale dichiarazione giudiziale (Cass. 16/01/1990 n. 147).

Nel caso di specie, infatti, non solo tra le parti non è in contestazione l’intervenuta formazione del giudicato sulle statuizioni della sentenza n. 393/1991 – nè nella fase di merito nè in quella di legittimità per i contenuti stessi del ricorso, principale ed incidentale, e degli atti di resistenza -, evidenza che nel formalismo del dato non avrebbe rilevanza, ma si ha anche che il giudicato esterno è stato comunque oggetto di accertamento da parte del giudice di appello.

6.1.2. La conseguenza è pertanto, nel convergente esito delle due evidenze, che la Corte di legittimità sull’indicato accertamento, e di contro a quanto altrimenti possibile negli stretti termini di cui all’art. 372 c.p.c., ben può ritenere del giudicato l’esistenza.

6.2. Venendo ai contenuti del giudicato esterno, è principio consolidato nelle affermazioni di questa Corte di legittimità quello per il quale l’esistenza del giudicato esterno è questione rilevabile d’ufficio, in ogni stato e grado del processo, a prescindere dalla posizione assunta in giudizio dalle parti, anche nell’ipotesi in cui il giudicato si sia formato successivamente alla pronuncia della sentenza impugnata, trattandosi di un elemento che può essere assimilato agli elementi normativi astratti, essendo destinato a fissare la regola del caso concreto.

Il suo accertamento non costituisce infatti patrimonio esclusivo delle parti, ma, mirando ad evitare la formazione di giudicati contrastanti, conformemente al principio del “ne bis in idem”, corrisponde ad un preciso interesse pubblico, sotteso alla funzione primaria del processo e consistente nell’eliminazione dell’incertezza delle situazioni giuridiche, attraverso la stabilità della decisione (Cass. 26/06/2018 n. 16847; Cass. 15/05/2018 n. 11754; Cass. 03/04/2017 n. 8607; Cass. SU 16/06/2006 n. 13916).

In quanto provvisto di “vis imperativa” e nella indisponibilità per le parti, il giudicato va assimilato agli “elementi normativi” e la sua interpretazione deve essere effettuata alla stregua dell’esegesi delle norme (e non già degli atti e dei negozi giuridici), in base agli artt. 12 preleggi e segg., con conseguente sindacabilità degli eventuali errori interpretativi sotto il profilo della violazione di legge (Cass. 29/11/2018 n. 30838; Cass. SU 09/05/2008 n. 11501).

Il giudice di un distinto e successivo giudizio, per ritenere la sussistenza del giudicato, deve accertare se i due giudizi tra le stesse parti abbiano fatto riferimento al medesimo rapporto giuridico ed uno dei due sia stato definito con sentenza passata in giudicato.

Si tratta allora di verificare l’esistenza di un accertamento in ordine alla situazione giuridica e quindi, e meglio, alla soluzione di questioni di fatto e di diritto relative ad un punto fondamentale comune ad entrambe le cause che formino premessa logica indispensabile della statuizione contenuta nel dispositivo della sentenza con autorità di cosa giudicata, restando in tal modo precluso il riesame dello stesso punto di diritto accertato e risolto (Cass. SU n. 13916 cit.; Cass. 10/05/2018 n. 11314).

6.3. Ciò posto in chiave generale, vero è che il rapporto tra la fattispecie ancora oggetto di accertamento e quella su cui si è formato il giudicato, destinata a rilevare nel presente giudizio per l’indicato rapporto di pregiudizialità logica, difetta proprio di siffatto carattere e, quindi, di rilevanza e, ancora, si aggiunga di identità di struttura.

6.3.1. L’oggetto del giudizio di determinazione della indennità di esproprio ha infatti causa petendi e petitum differenti rispetto a quelli propri della illegittimità dell’occupazione produttiva di danno risarcibile al privato espropriato (vd. Cass. n. 19644 del 07/10/2005); resta poi ferma nella specie la solo parziale identità dei soggetti coinvolti nei due distinti giudizi: nel primo l’ente che ha occupato i beni ed privati; nel secondo, con gli indicati soggetti, gli aventi causa dei privati, anche per atto di cessione a titolo particolare, ed il delegato all’esproprio.

6.3.2. L’accertamento contenuto nella precedente sentenza è comunque irrilevante quale antecedente logico in termini di giudicato esterno e non è preclusivo, come tale, della riapertura della questione della legittimità del procedimento espropriativo nel successivo giudizio di danno in difetto di elementi sopravvenuti (sul giudicato esterno, integrativo di antecedente logico, vedi: Cass. 23/05/2019 n. 14082).

6.4. Se è pure vero che il carattere legittimo dell’intera procedura ablatoria è premessa sia del giudizio sulla indennità di esproprio che di quello risarcitorio, e tanto nell’un caso perchè si addivenga a sentenza sulla debenza della giusta indennità e nell’altro quale antecedente ostativo al riconoscimento dell’illecito produttivo di danno, pur tuttavia nella fattispecie in esame si osserva.

6.4.1. Quanto al primo contenuto, si ha che non può addivenirsi ad una statuizione sull’ammontare della indennità definitiva se non in presenza del provvedimento abiatorio, costituendo il decreto di espropriazione, come riconosciuto dalla costante giurisprudenza di questa Corte di legittimità, una condizione dell’azione avente ad oggetto la determinazione – in modo non più modificabile o revocabile ed impugnabile – dell’indennità di espropriazione (Cass. SU 07/07/1999 n. 385, in motivazione par. 3.4.2.; Cass. SU 02/03/2004 n. 4241; Cass. 31/05/2016 n. 11261).

6.4.2. Là dove la sentenza fosse emanata in assenza del provvedimento di espropriazione, la determinazione della indennità non potrebbe che rimanere ancorata alla data della relativa pronuncia, il che, però, è inaccettabile.

Innanzitutto, in quanto ciò si tradurrebbe nella violazione del principio fondamentale per il quale l’ammontare della indennità definitiva deve essere determinato con riferimento alla data del trasferimento della proprietà che avviene col decreto di espropriazione.

Inoltre, perchè il giudicato sostanziale formatosi su una siffatta statuizione (che è da escludersi possa costituire una pronuncia “allo stato”) impedirebbe di valutare situazioni sopravvenute che siano essenziali ai fini, addirittura, della stessa attribuzione di una indennità, quali la mancanza o, quanto meno, la tardività della pronuncia del decreto di espropriazione e l’eventuale insorgenza del diritto del proprietario al risarcimento del danno da occupazione acquisitiva o che siano, in qualsiasi modo, rilevanti ai fini dell’applicazione, nel caso concreto, dei parametri legali di determinazione della indennità, sì da comportare un’indennità definitiva di importo diverso.

6.5. Tanto esposto, restano da considerare due dati: l’uno di natura formale e l’altro di natura sostanziale.

Quanto al primo, si ha che i contenuti della sentenza del 1991, su cui si vorrebbe essere caduto il giudicato preclusivo del successivo accertamento del risarcimento danni da occupazione illegittima, giusta i contenuti del ricorso nell’osservanza del principio dell’autosufficienza (p. 5, in nota), consentono di verificare l’erroneità dell’interpretazione fornita dalla Corte di appello investita, con l’impugnata sentenza, della domanda di risarcimento danni promossa dal privato per occupazione acquisitiva.

Il giudice delle indennità dichiara infatti, nel 1991, che non era stato ancora emesso il provvedimento di espropriazione per poi giungere comunque a liquidare l’indennità di esproprio e tanto fino alla data della pronuncia.

Quanto al secondo, per il principio riportato più sopra, il giudizio sulla determinazione della giusta indennità di esproprio non può non ricomprendere l’intervenuta adozione del relativo decreto.

In tema di espropriazione per pubblica utilità, là dove gli espropriati propongano domanda di quantificazione dell’indennità definitiva – che non va qualificata come opposizione alla stima, dal momento che la determinazione dell’indennità provvisoria non è suscettibile di opposizione, ma impone un accertamento della giusta indennità ex art. 42 Cost., da parte della Corte d’appello -, vale il principio per il quale la pronuncia del decreto di espropriazione costituisce una condizione dell’azione per la determinazione della corrispondente indennità.

Il giudice non può pertanto esaminare il merito della causa senza che esso venga ad esistenza ed il menzionato decreto costituisce la fonte del credito indennitario sia nel senso che non è possibile addivenire ad una statuizione definitiva sull’indennità in assenza del provvedimento ablatorio, sia nel senso che solo una volta che sia stato emanato quest’ultimo sorge ed è azionabile il diritto del proprietario a percepire l’indennizzo, da determinarsi con riferimento alla data del trasferimento coattivo (ex multis: Cass. 31/05/2016 n. 11261; Cass. 14/02/2017 n. 3840).

A fronte della domanda di accertamento della indennità di esproprio, la Corte di appello di Messina non avrebbe potuto, pertanto, con la sentenza n. 393 del 1991, in difetto di adozione del decreto di esproprio – evidenza di cui la medesima Corte di merito dà espressamente conto nella motivazione di quella sentenza -, procedere alla relativa liquidazione a tanto ostando la mancata adozione del decreto ed il compimento della procedura ablatoria.

Pur prescindendosi dalla valutazione, sul piano giuridico, di una liquidazione dell’indennità di espropriazione sottoposta a limiti temporali, che si risolve, a ben vedere, nel sostanziale ristoro di un periodo di occupazione ritenuta legittima, la Corte peloritana non è mai pervenuta ad affermare che vi sarebbe stata la perdita della proprietà del bene in virtù di un legittimo procedimento ablatorio, anzi, dando atto dell’insussistenza del decreto di espropriazione, ha posto in evidenza il contrario.

E’ così che, a prescindere dall’evidenziata differenza, in linea generale, del petitum e della causa petendi nei due procedimenti, quanto viene in rilievo, in assenza di una valida ragione di apprensione del bene, è proprio l’illegittimità dell’occupazione, che concreta l’ubi consistam del presente giudizio.

6.6. Il giudicato esterno che per la impugnata sentenza sarebbe pertanto destinato a venire in considerazione – e quindi quello formatosi sulla indennità di esproprio che è stata riconosciuta pur in difetto del decreto di esproprio, come espressamente riconosciuto nell’accertamento su cui è caduto il giudicato -, per i suoi contenuti non vale ad esplicare l’effetto ostativo rispetto alla successiva pronuncia di accertamento del risarcimento danni da occupazione illegittima, denegando il primo il presupposto della illiceità della condotta di occupazione e quindi la sussistenza stessa di un procedimento amministrativo espropriativo pienamente definito per adozione del decreto ablativo.

Per siffatti contenuti non può dirsi l’esistenza nella sentenza del 1991 di un giudicato destinato ad incidere, per il nucleo dei fatti ivi accertati, in quanto integrativi dei presupposti del diritto all’indennità di esproprio, sull’oggetto del successivo giudizio di danno scrutinato dalla Corte messinese con l’impugnata sentenza.

Il giudicato esterno per i definiti contenuti è quindi inutile nel successivo giudizio di danno perchè non comprensivo dell’accertamento dell’intervenuta adozione del decreto di esproprio all’esito del quale soltanto resta integrata una legittima procedura ablativa ostativa come tale al riconoscimento dei danni da occupazione illegittima.

6.7. In corretta applicazione dei principi di interpretazione del giudicato, in cui rinvengono composizione i contenuti del dispositivo e della motivazione, e dei principi sui rapporti tra accertamento della indennità di esproprio e del risarcimento danni da occupazione illegittima, per una procedura in cui non è stato adottato il decreto di esproprio, la sentenza impugnata va cassata con rinvio alla Corte di appello di Messina, in diversa composizione, perchè pronunci sull’azione di danno da occupazione illegittima dinanzi alla stessa proposta.

Ogni altro motivo resta assorbito.

P.Q.M.

In accoglimento dei primi due motivi dei ricorsi in via principale ed incidentale proposti da D.P.V., A.A., in persona della procuratrice A.I., e A.N., A.D., T.O., quali eredi di A.F., nonchè da L.M., nella qualità di curatore dei fallimenti L.M.G. e Lo.Mi.Gu., cassa la sentenza impugnata e rinvia il giudizio alla Corte di appello di Messina, in diversa composizione, anche per la regolazione delle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 2 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 12 marzo 2020

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