Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7100 del 12/03/2021

Cassazione civile sez. I, 12/03/2021, (ud. 17/12/2020, dep. 12/03/2021), n.7100

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –

Dott. MELONI Marina – Consigliere –

Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –

Dott. TRICOMI Irene – Consigliere –

Dott. CARADONNA Lunella – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 14563/2019 proposto da:

I.M.K., rappresentato e difeso dall’Avv. Maurizio Sottile,

come da procura speciale in calce al ricorso per cassazione;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno, in persona del Ministro in carica,

domiciliato ex lege in Roma, Via dei Portoghesi, 12, presso gli

uffici dell’Avvocatura Generale dello Stato;

– intimato –

avverso il decreto n. 725/2019 del Tribunale di CAMPOBASSO,

pubblicato il 5 aprile 2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

17/12/2020 dal consigliere Dott. Lunella Caradonna.

 

Fatto

RILEVATO

CHE:

1. Con decreto del 5 aprile 2019, il Tribunale di Campobasso ha rigettato il ricorso proposto da I.M.K., cittadino nato in (OMISSIS), avverso il provvedimento negativo della Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale.

2. Il richiedente ha dichiarato di avere lasciato il proprio paese di origine per le minacce subite dai creditori, dai quali aveva ricevuto delle somme per aprire una cartolibreria, che non era riuscito a restituire; che egli aveva lasciato il paese per lavorare e guadagnare le somme sufficienti per vivere una vita tranquilla e dignitosa e che il padre continuava a subire le minacce da parte dei creditori avendogli fatto da garante.

3. Il Tribunale ha ritenuto che i fatti esposti, pur credibili, erano di natura privata ed economica; che andava respinta anche la richiesta di protezione sussidiaria fondata sulla sola provenienza geografica dell’istante; anche la protezione umanitaria non poteva essere accolta perchè il timore per la propria incolumità in caso di rientro in patria era del tutto astratto e congetturale, tenuto conto che era legato a prestiti contratti molti anni addietro e che non erano state intraprese dai creditori iniziative tali da fare concretamente temere ritorsioni; il ricorrente, inoltre, non aveva evidenziato legali familiari in Italia, nè aveva manifestato patologie da curare necessariamente in Italia.

4. I.M.K. ricorre per la cassazione del decreto con atto affidato a tre motivi.

5. L’Amministrazione intimata non ha svolto difese.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

1. Con il primo motivo il ricorrente lamenta la violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, artt. 2, 3, 4, 5, 6 e 14 degli artt. 8 e 27 e degli artt. 2 e 3 CEDU, oltre il difetto di motivazione, il travisamento dei fatti e l’omesso esame di fatti decisivi, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in relazione al D.Lgs. n. 251 del 2007.

2. Con il secondo motivo il ricorrente deduce la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 2 e 14 e l’omessa valutazione di fatti decisivi.

2.1 I motivi, che vanno trattati unitariamente perchè connessi, sono infondati.

2.2 In materia di protezione internazionale, la valutazione di affidabilità del richiedente è il risultato di una procedimentalizzazione legale della decisione che deve essere svolta alla luce dei criteri specifici, indicati dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, oltre che di quelli generali di ordine presuntivo, idonei ad illuminare circa la veridicità delle dichiarazioni rese; sicchè, il giudice è tenuto a sottoporre le dichiarazioni del richiedente, ove non suffragate da prove, non soltanto ad un controllo di coerenza interna ed esterna ma anche ad una verifica di credibilità razionale della concreta vicenda narrata a fondamento della domanda, i cui esiti in termini di inattendibilità costituiscono apprezzamento di fatto insindacabile in sede di legittimità, se non nei limiti dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (Cass., 19 giugno 2020, n. 11925).

2.3 Ciò posto, il Tribunale ha compiuto un accertamento in fatto, non più censurabile in sede di legittimità, in esito al quale ha ritenuto credibili le dichiarazioni del ricorrente, affermando che venivano in rilievo ragioni economiche che non erano idonee a configurare i presupposti per il riconoscimento della protezione internazionale richiesta.

In questo caso, il Tribunale ha anche considerato la situazione del paese di provenienza del richiedente affermando, peraltro con una ratio decidendi che non è stata affatto censurata, che non si ravvisavano nel (OMISSIS) situazioni paragonabili a quelle in cui era presente una violenza indiscriminata derivante da conflitto armato interno (richiamando, peraltro, la stessa fonte richiamata dal ricorrente, Amnesty International 2017-2018, pagine 272-275) e che in ogni caso, nemmeno il ricorrente aveva ventilato la paura di essere rimpatriato a causa di conflitti e/o tensioni presenti nel suo paese di origine.

E’ stato così osservato il principio stabilito da questa Corte che nei giudizi di protezione internazionale, a fronte del dovere del richiedente di allegare, produrre o dedurre tutti gli elementi e la documentazione necessari a motivare la domanda, la valutazione delle condizioni sociopolitiche del Paese d’origine del richiedente deve avvenire, mediante integrazione istruttoria officiosa, tramite l’apprezzamento di tutte le informazioni, generali e specifiche di cui si dispone pertinenti al caso, aggiornate al momento dell’adozione della decisione (Cass., 20 maggio 2020, n. 9230).

2.4 In tema, invero, opera altresì il principio per cui “il D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, nel prevedere che “ciascuna domanda è esaminata alla luce di informazioni precise e aggiornate circa la situazione generale esistente nel Paese di origine dei richiedenti asilo e, ove occorra, dei Paesi in cui questi sono transitati”, deve essere interpretato nel senso che l’obbligo di acquisizione di tali informazioni da parte delle commissioni territoriali e del giudice deve essere osservato in riferimento ai fatti esposti ed ai motivi svolti in seno alla richiesta di protezione internazionale, non potendo per contro addebitarsi la mancata attivazione dei poteri istruttori officiosi, in ordine alla ricorrenza dei presupposti per il riconoscimento della protezione, riferita a circostanze non dedotte” (Cass., 3 febbraio 2020, n. 2355).

Nè può dirsi che il richiedente abbia allegato motivi di persecuzione secondo la declinazione categoriale del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 8 ovvero, quanto alla protezione sussidiaria, danni gravi connessi a condanne o processi penali, ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b).

2.5 Peraltro, “In materia di protezione internazionale, il richiedente è tenuto ad allegare i fatti costitutivi del diritto alla protezione richiesta, e, ove non impossibilitato, a fornirne la prova, trovando deroga il principio dispositivo, soltanto a fronte di un’esaustiva allegazione, attraverso l’esercizio del dovere di cooperazione istruttoria e di quello di tenere per veri i fatti che lo stesso richiedente non è in grado di provare, soltanto qualora egli, oltre ad essersi attivato tempestivamente alla proposizione della domanda e ad aver compiuto ogni ragionevole sforzo per circostanziarla, superi positivamente il vaglio di credibilità soggettiva condotto alla stregua dei criteri indicati nel D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5” (Cass., 12 giugno 2019, n. 15794).

Con la conseguenza che l’attenuazione dell’onere probatorio a carico del richiedente non esclude l’onere di compiere ogni ragionevole sforzo per circostanziare la domanda e con l’ulteriore corollario che il giudice deve valutare se le dichiarazioni del richiedente siano coerenti e plausibili, ma pur sempre a fronte di dichiarazioni sufficientemente specifiche e circostanziate.

Ciò nel rispetto dei principi affermati da questa stessa Corte sull’onere della prova in materia di protezione internazionale, materia che non si sottrae al principio dispositivo, pur nei limiti esposti in relazione al principio della cooperazione istruttoria del giudice, principio quest’ultimo che concerne il versante dell’allegazione e non quello della prova (Cass., 29 ottobre 2018, n. 27336).

3. Con il terzo motivo il ricorrente deduce la violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6; l’errato e omesso esame di fatti decisivi, anche in riferimento all’integrazione socio-lavorativa in Italia.

3.1 Il motivo è inammissibile, non apparendo censurata la motivazione con cui il tribunale, ha escluso l’appartenenza del ricorrente a categorie soggettive di apprezzabile esposizione a vulnerabilità, affermando che anche la protezione umanitaria non poteva essere accolta perchè il timore per la propria incolumità in caso di rientro in patria era del tutto astratto e congetturale, tenuto conto che era legato a prestiti contratti molti anni addietro e che non erano state intraprese dai creditori iniziative tali da fare concretamente temere ritorsioni; il ricorrente, inoltre, non aveva evidenziato legali familiari in Italia, nè aveva manifestato patologie da curare necessariamente in Italia.

Ciò nel rispetto del principio secondo cui “occorre il riscontro di “seri motivi” (non tipizzati) diretti a tutelare situazioni di vulnerabilità individuale, mediante una valutazione comparata della vita privata e familiare del richiedente in Italia e nel Paese di origine, che faccia emergere un’effettiva ed incolmabile sproporzione nel godimento dei diritti fondamentali che costituiscono presupposto indispensabile di una vita dignitosa, da correlare però alla specifica vicenda personale del richiedente” (Cass., Sez. U., 13 novembre 2019, n. 29459; Cass. 23 febbraio 2018, n. 4455).

Il ricorrente, invero, a fronte di quanto affermato dal Tribunale che ha evidenziato che gli elementi emersi non offrivano alcuna evidenza in ordine ad una peculiare situazione di vulnerabilità del soggetto, si è limitato ad una critica sterile indirizzata alla motivazione della sentenza, senza nulla aggiungere, in concreto, con riferimento alla posizione personale e ad una qualche situazione di vulnerabilità in grado di giustificare le ragioni umanitarie richieste per il permesso di soggiorno, non potendo venire in rilievo solamente la situazione del paese di origine, in termini del tutto generali e astratti, di per sè inidonea al riconoscimento della protezione umanitaria (Cass., 3 aprile 2019, n. 9304; Cass., Sez. U., 13 novembre 2019, n. 29459, citata).

3.2 Il richiamo, poi, a precedenti giudiziari favorevoli a persone provenienti dal (OMISSIS) non può assumere decisivo rilievo in quanto frutto della valutazione delle circostanze specificamente accertate in detti giudizi.

4. Il ricorso va, conclusivamente, rigettato.

Nulla deve disporsi sulle spese poichè l’Amministrazione intimata non ha svolto attività difensiva.

PQM

La Corte rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis ove dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 17 dicembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 12 marzo 2021

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