Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7094 del 02/03/2022

Cassazione civile sez. I, 03/03/2022, (ud. 27/01/2022, dep. 03/03/2022), n.7094

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Presidente –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –

Dott. PAZZI Alberto – Consigliere –

Dott. VELLA Paola – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 21987/2015 proposto da:

A.F., elettivamente domiciliata in Roma, Via Claudio

Monteverdi n. 16, presso lo studio dell’avvocato Ferrara Fierro

Antonio, che la rappresenta e difende, giusta procura in calce al

ricorso;

– ricorrente –

contro

Fallimento (OMISSIS) S.r.l. in Liquidazione, in persona del curatore

dott. M.E., elettivamente domiciliato in Roma, Via Postumia

n. 1, presso lo studio dell’avvocato Giancaspro Nicola,

rappresentato e difeso dall’avvocato Macciotta Bruno, giusta procura

in calce al controricorso;

– controricorrente –

contro

C.M.B., elettivamente domiciliato in Roma, Via Oslavia

n. 14, presso lo studio dell’avvocato Nardocci Francesco,

rappresentato e difeso dall’avvocato Pau Luigi, giusta procura in

calce al controricorso;

– controricorrente –

nonché contro

S.C., elettivamente domiciliato in Roma, Via di Villa

Sacchetti n. 9, presso lo studio dell’avvocato Corea Ulisse, che lo

rappresenta e difende unitamente agli avvocati Marini Renato,

Pastore Franco, giusta procura in calce al controricorso e ricorso

incidentale e alla memoria di costituzione di nuovi difensori;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

contro

Fallimento (OMISSIS) S.r.l. in Liquidazione, in persona del curatore

dott. M.E., elettivamente domiciliato in Roma, Via Postumia

n. 1, presso lo studio dell’avvocato Giancaspro Nicola,

rappresentato e difeso dall’avvocato Macciotta Bruno, giusta procura

in calce al controricorso al ricorso incidentale;

– controricorrente al ricorso incidentale –

contro

C.M.B., elettivamente domiciliato in Roma, Via Oslavia

n. 14, presso lo studio dell’avvocato Nardocci Francesco,

rappresentato e difeso dall’avvocato Pau Luigi, giusta procura in

calce al controricorso al ricorso incidentale;

– controricorrente al ricorso incidentale –

avverso la sentenza n. 318/2015 della CORTE D’APPELLO di CAGLIARI,

depositata il 09/05/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

27/01/2022 dal consigliere Paola VELLA.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con atto di citazione del 17 marzo 2006 il Fallimento “(OMISSIS) S.r.l. in Liquidazione” (di seguito Fallimento), dichiarato in data 01/08/2002, promosse azione di responsabilità L.Fall., ex art. 146 nei confronti di S.C. (amministratore unico della società dal (OMISSIS) al (OMISSIS)) nonché di T.R., A.F. e G.M. (rispettivamente presidente e componenti del collegio sindacale della società dal (OMISSIS) alla data di fallimento) chiedendone la condanna in solido al risarcimento dei danni cagionati alla società ed ai suoi creditori, nella misura di Euro 3.796.180,87 (“pari alle perdite successive alla data nella quale il capitale è andato disperso”) oltre Euro 273.487,65, “per aver l’amministratore continuato l’attività nonostante l’integrale dispersione del capitale sociale, ed i sindaci, perché, omettendo la dovuta vigilanza, qualsiasi approfondito controllo e, soprattutto non ponendo in essere alcuna misura di salvaguardia, nonostante consapevoli delle ripetute omissioni e violazioni da parte dell’A.U. e della totale dispersione del capitale, tale attività hanno consentito”.

1.1. Nel corso del giudizio di primo grado il S. chiamò in causa C.M.B., procuratore generale della società, perché rispondesse dei danni quale suo amministratore di fatto dal (OMISSIS), mentre i convenuti G. e T. chiamarono in garanzia rispettivamente la Reale Mutua Assicurazione s.p.a. e la Assicurazioni Generali s.p.a.; disposto sequestro conservativo sino alla concorrenza di 4 milioni di Euro sui beni di questi ultimi, gli stessi addivennero ad un accordo transattivo con la curatela (con quantificazione del risarcimento in Euro 300.000,00 per il T. ed Euro 200.000,00 per il G.), cui seguì la separazione delle cause e la cancellazione dal ruolo di quella proseguita nei loro confronti, per sopravvenuta cessazione della materia del contendere.

1.2. All’esito di c.t.u. il Tribunale di Cagliari accolse la domanda e, a fronte di un danno accertato nella misura di Euro 1.487.189,00, condannò il S. e la A., in solido tra loro, al pagamento della minor somma chiesta dalla curatela di Euro 500.000,00 oltre interessi legali, rigettando invece la domanda nei confronti del C..

1.3. In particolare, con riguardo all’amministratore unico, il tribunale rilevò che questi aveva continuato l’attività, compiendo nuove operazioni, sino al (OMISSIS), nonostante l’integrale perdita del capitale sociale realizzatasi alla data del (OMISSIS), limitandosi a cessare dalla carica e convocare l’assemblea ai sensi dell’art. 2447 c.c. solo nel luglio 2001, peraltro dopo aver omesso di effettuare versamenti per debiti erariali e previdenziali tra il (OMISSIS) e il (OMISSIS) per quasi 4 milioni di Euro.

1.4. Con riguardo alla A., il tribunale osservò che dai verbali delle riunioni del collegio sindacale era emersa la prova che i sindaci avessero piena conoscenza di tutte le violazioni poste in essere dall’amministratore unico (segnatamente sin dall’ottobre (OMISSIS) del fatto che la società ometteva i versamenti dell’Iva pur avendo la liquidità per provvedervi, e sin dal (OMISSIS) dell’integrale perdita del capitale sociale, emergendo dal bilancio (OMISSIS) perdite per Euro 1.692.750,09), senza che essi assumessero alcuna iniziativa; mentre, se avessero convocato l’assemblea dei soci sin dal (OMISSIS) per segnalare le gravi irregolarità commesse dall’amministratore, dando impulso al procedimento ex art. 2409 c.c., ovvero, “quanto al danno da nuove operazioni post perdita del capitale, se avessero effettuato nel (OMISSIS) la doverosa convocazione dell’assemblea ai sensi dell’art. 2406 c.c.” per porre in liquidazione la società, “i danni che si erano verificati sarebbero potuti essere integralmente evitati”.

1.5. La Corte d’appello di Cagliari ha rigettato tanto l’appello principale del S. quanto l’appello incidentale della A..

2. Avverso tale decisione la A. ha proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi e il S. ha proposto ricorso incidentale articolato su quattro motivi; ad entrambi hanno resistito con controricorso il Fallimento e il C.. La ricorrente principale ha depositato memoria ex art. 380 bis 1 c.p.c.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Ricorso principale.

2.1. Con il primo motivo del ricorso principale si deduce “Violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto ex art. 360 c.p.c., n. 3: violazione ed errata applicazione degli artt. 1218,2043,2697,2792 c.c. nonché difetto, contraddittorietà ed illogicità della motivazione in ordine alla determinazione del danno”, per avere la corte d’appello addebitato all’amministratore unico e al sindaco, in solido, il danno riferito al complessivo deficit patrimoniale risultante dal fallimento, senza accertare il contributo causale dei singoli comportamenti contestati.

2.2. Con il secondo mezzo si denunzia “Violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto ex art. 360 c.p.c., n. 3: violazione ed errata applicazione degli artt. 1218,2043,2403,2406,2407,2409,2446,2447,2792 c.c., nonché difetto, contraddittorietà ed illogicità della motivazione in ordine alla riconducibilità del danno al collegio sindacale ed ai singoli sindaci, ovvero inesistenza di un qualsiasi nesso causale”, per essere “assolutamente indeterminata ed illegittima la riconducibilità del presunto danno al Collegio sindacale ed ai singoli sindaci”, in quanto, con conclusioni “illogiche ed immotivate”, la corte territoriale avrebbe trascurato “le circostanze a discarico della responsabilità addebitata al collegio sindacale” (elencate a pag. 14 e a pag. 17 del ricorso).

2.3. Il terzo motivo lamenta “Violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto ex art. 360 c.p.c., n. 3: violazione ed errata applicazione degli artt. 1218,2043,2407 c.c., nonché difetto, contraddittorietà ed illogicità della motivazione in ordine alla totale equiparazione di responsabilità tra il collegio sindacale e l’amministratore unico, nonché tra l’amministratore unico ed il sindaco A.F.: nesso causale e danno concretamente addebitabile alla ricorrente (quale membro del collegio sindacale). Violazione ed errata applicazione e/o interpretazione dell’art. 99 c.p.c. nonché degli artt. 1292, 1304 e 2407 c.c.; esclusione di responsabilità per A.F. ai sensi dell’art. 100 c.p.c.”, per avere la corte d’appello posto immotivatamente sullo stesso piano l’organo gestorio e quello di controllo, quando in realtà tra l’accertamento dello stato di decozione della (OMISSIS) (giugno 2001) e il momento della sua messa in liquidazione (dicembre 2001) erano trascorsi appena 5 mesi; inoltre, a fronte della illegittima mutatio libelli del Fallimento, con limitazione della domanda ad Euro 500.000,00 per l’amministratore – e quindi per il collegio sindacale nel suo complesso – il sindaco A. “non avrebbe dovuto essere condannata per l’intero, non essendovi più un interesse concreto del fallimento alla prosecuzione dell’azione di responsabilità verso il Collegio sindacale ed i singoli sindaci”, in quanto la suddetta somma era stata già versata.

3. Tutti e tre i motivi presentano plurimi profili di inammissibilità, in quanto generici, privi di autosufficienza e di natura prettamente meritale.

3.1. In primo luogo, la doglianza, espressa con il primo motivo di ricorso, nei riguardi della determinazione del danno in misura corrispondente al deficit patrimoniale del fallimento si palesa inammissibile perché non coerente con il decisum, che non risulta affatto basato sul criterio “automatico” censurato, bensì (cfr.pagg.25-26 e 43 sentenza) sulla individuazione, in base alla documentazione in atti ed alle risultanze della c.t.u., degli effetti pregiudizievoli prodotti dalla prosecuzione della gestione sociale dopo l’integrale perdita del capitale sociale.

3.2. Inoltre, con riguardo alle altre violazioni di legge denunziate, si osserva che il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 3) consiste nel dedurre l’erronea ricognizione della fattispecie astratta recata da una norma di legge, mentre l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è estranea all’esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, sottratta al sindacato di legittimità (Cass. 24155/2017, 6587/2017) se non sotto il profilo motivazionale (Cass. 22707/2017, Cass. 195/2016). E’ questo il caso delle doglianze in disamina, le quali evocano un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa e si pongono perciò al di fuori dei limiti propri del mezzo di impugnazione utilizzato, traducendosi di fatto in una inammissibile richiesta di rivisitazione del merito della causa (Cass. 6939/2020, 7192/2020, 27072/2019, 29404/2017, 16056/2016).

3.3. Anche le contestuali censure motivazionali – in disparte il profilo della promiscuità dei vizi denunziati – non rispettano i canoni del novellato art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, (introdotto dal D.L. n. 83 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 134 del 2012, applicabile ratione temporis), che impone al ricorrente l’onere di indicare, ai sensi dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6) e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4), il fatto storico il cui esame sia stato omesso, il dato (testuale o extratestuale) da cui esso risulti esistente, il come e il quando tale fatto sia stato oggetto di discussione tra le parti e, soprattutto, la sua decisività (Cass. Sez. U, 8054/2014, 1241/2015; Cass. 19987/2017, 7472/2017, 27415/2018, 6383/2020, 6485/2020, 6735/2020), essendo attualmente esclusa la possibilità di denunziare, in sede di legittimità, la mera insufficienza o contraddittorietà della motivazione (Cass. Sez. U, 33017/2018).

3.4. E’ del resto evidente che, ammettere in sede di legittimità la verifica della sufficienza o della razionalità della motivazione in ordine alle quaestiones facti, significa consentire un inammissibile raffronto tra le ragioni del decidere espresse nella sentenza impugnata e le risultanze istruttorie sottoposte al vaglio del giudice del merito (Cass. Sez. U, 28220/2018).

4. Ferme restando le superiori considerazioni, il terzo motivo merita una precisazione in diritto, con riguardo alla lamentata violazione dell’art. 1304 c.c.

4.1. La corte d’appello ha dato atto – senza sul punto ricevere censura specifica – che le transazioni stipulate in corso di causa tra la curatela fallimentare e i sindaci T. e G., con le rispettive compagnie di assicurazione, vennero espressamente “definite dalle parti come parziali, e contenenti la clausola di riserva dell’azione nei confronti dei restanti debitori ( A. e S.)”.

4.2. Orbene, l’art. 1304 c.c., comma 1, nel consentire – in deroga al principio secondo cui il contratto produce effetti solo tra le parti – che il condebitore in solido, pur non avendo partecipato alla stipulazione della transazione tra creditore e uno dei debitori solidali, se ne possa avvalere, si riferisce esclusivamente all’atto di transazione che abbia ad oggetto l’intero debito, mentre non include la transazione parziale (quale, appunto, quella realizzatasi nella fattispecie in esame) che, in quanto tesa a determinare lo scioglimento della solidarietà passiva, riguarda unicamente il debitore che vi aderisce e non può coinvolgere gli altri condebitori, che non hanno alcun titolo per profittarne, poiché è la comunanza dell’oggetto della transazione a comportare la possibilità per il condebitore solidale di avvalersene anche quando non abbia partecipato alla sua stipulazione (Cass. 19541/2015).

4.3. Al caso di specie si applica dunque la consolidata giurisprudenza di questa Corte per cui, in tema di obbligazioni solidali, se la transazione stipulata tra il creditore ed uno (o più) dei condebitori solidali ha avuto ad oggetto la sola quota del condebitore che l’ha stipulata, al fine di determinare il debito che residua a carico degli altri debitori in solido occorre distinguere se la somma pagata sia pari o superiore alla quota ideale di debito gravante su di lui, oppure sia inferiore: nel primo caso, infatti, il debito gravante sugli altri debitori in solido si riduce in misura corrispondente a quanto effettivamente pagato dal debitore che ha raggiunto l’accordo transattivo; nel secondo caso, invece, lo stesso debito si riduce in misura corrispondente alla quota gravante su colui che ha transatto (Cass. Sez. U, 30174/2011; Cass. 20107/2015, 23418/2016, 13877/2020, 25980/2021).

4.4. Su queste basi risulta evidente che -come la corte d’appello ha rettamente rilevato – “una volta determinato dal Tribunale l’ammontare del risarcimento dei danni in complessivi Euro 1.487.189,00, la circostanza che il fallimento abbia ridotto la domanda ad Euro 500.000,00 non può che giovare agli odierni appellanti, i quali non hanno alcun interesse a dolersene”. Posto infatti che “il fallimento ha percepito, in forza delle transazioni intervenute con il G. e il T., Euro 500.000,00”, di cui 200.000,00 il primo e 300.000,00 il secondo, somme che risultano entrambe inferiori alla quota facente carico a ciascuno dei condebitori, pari a Euro 371.000,75 (da presumere uguale, ex artt. 1298 e 2055 c.c., in difetto – come nella specie precisato a pag. 41 della sentenza e non censurato specificamente – di domanda di regresso ed accertamento di una diversa misura da parte di A.), ne consegue che, detraendo dal totale dovuto dai quattro condebitori le due quote (cfr. sopra 4.3) dei transigenti, si ha che il debito solidale degli altri due debitori doveva ridursi, a seguito delle due transazioni con T. e G., alla somma di Euro 743.594,5 ben superiore alla domanda ridotta nei loro confronti dalla parte attrice “successivamente al perfezionamento degli accordi suddetti”, quindi considerando gli effetti sull’ammontare del debito complessivo del sopravvenuto parziale scioglimento della solidarietà passiva prodotto dalle transazioni stesse.

Deve dunque escludersi non solo la violazione dell’art. 1304 c.c. e delle disposizioni riguardanti la solidarietà tra condebitori (artt. 1292 e 1294 c.c.), ma anche del principio della domanda (art. 99 c.p.c.), dal momento che la domanda di regresso non risulta essere stata proposta dalla ricorrente, sì che alcuna graduazione di responsabilità faceva carico al giudice di merito.

Ricorso incidentale.

5. Il primo motivo del ricorso incidentale denuncia “Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 164 c.p.c. in relazione all’art. 2392 c.c. – Omesso esame fatto decisivo” in quanto, con riguardo all’eccezione di nullità della citazione per violazione dell’art. 163 c.p.c., nn. 3 e 4, i giudici d’appello si sarebbero limitati “a confermare l’opinione della sentenza di primo grado”, senza analizzare “le specifiche censure dell’appellante”, con la precisazione che il “fatto controverso” sarebbe “proprio la presenza o meno in citazione degli elementi di fatto e d diritto richiesti dalla fattispecie”.

5.1. La censura è inammissibile sia perché generica ed in parte carente di autosufficienza (laddove non indica quali siano le specifiche censure menzionate a pag. 7 del ricorso che la corte d’appello non avrebbe analizzato), sia perché non allega ai fini dell’art. 360 c.p.c., n. 5) un fatto storico, bensì un fatto processuale, sia perché la corte d’appello ha ampiamente e condivisibilmente motivato, da pag. 22 a pag. 26 della sentenza impugnata, le ragioni del rigetto dell’eccezione di nullità della citazione, riproposta in secondo grado.

6. Il secondo mezzo lamenta la violazione dell’art. 112 c.p.c e dell’art. 2697 c.c., avuto riguardo sia alla ritenuta genericità di alcuni motivi di appello, che invece si erano sostanziati nelle specifiche critiche indicate a pag. 10 e 11 del ricorso incidentale, sia all’omesso esame di alcune di esse, sia all’erronea applicazione del principio dell’onere della prova, per non avere la curatela allegato e dimostrato “che se il convenuto avesse immediatamente interrotto l’attività non si sarebbe prodotto quel passivo”.

6.1. Il motivo è inammissibile poiché non coglie le rationes decidendi della sentenza impugnata, la quale in realtà esamina il quarto motivo d’appello (v. pag. 25) e, pur dichiarandone la genericità, scende nel merito anche del secondo e del terzo motivo, dando altresì conto dell’accertamento del contestato nesso di causalità e affermando condivisibilmente che, “una volta accertato che, dopo l’azzeramento del capitale sociale, furono svolte attività che comportarono ulteriori e imponenti perdite, l’onere di dimostrare che si trattasse di attività finalizzate a non disperdere l’integrità ed il valore del patrimonio sociale, gravava sull’amministratore”.

7. Il terzo mezzo denuncia violazione del D.Lgs. n. 5 del 2003, artt. 9, 10 e 16 per avere la corte territoriale ritenuto rinunciate, in quanto non riproposte nelle conclusioni, le istanze istruttorie sulla gestione di fatto della società da parte di altri soggetti, trascurando che nel rito societario (frattanto abrogato) non esisteva un’udienza di precisazione delle conclusioni; lamenta poi il mancato accoglimento dell’istanza di esibizione ex art. 210 c.p.c., stante l’allegata “situazione di squilibrio tra le parti proprio in ordine alla disponibilità esclusiva della documentazione”.

7.1. La censura non è conducente, poiché la corte d’appello, dopo aver ritenuto rinunciate le istanze istruttorie de quibus, ha comunque aggiunto che essere sarebbero state “in ogni caso” irrilevanti, stante la permanenza della responsabilità in capo agli amministratori formali anche in presenza di eventuali amministratori di fatto; ha inoltre condivisibilmente affermato come l’istanza di esibizione di “tutti i documenti in possesso della curatela” fosse palesemente priva del requisito di specificità prescritto dall’art. 94 disp. att. c.p.c.

7.2. Al riguardo si rammenta che, in tema di poteri istruttori del giudice, l’emanazione dell’ordine di esibizione è discrezionale e la valutazione di indispensabilità non deve essere neppure esplicitata; ne consegue che il relativo esercizio è svincolato da ogni onere di motivazione e il provvedimento di rigetto dell’istanza non è sindacabile in sede di legittimità, neppure sotto il profilo del difetto di motivazione, trattandosi di strumento istruttorio residuale, utilizzabile soltanto quando la prova dei fatti non possa in alcun modo essere acquisita con altri mezzi e l’iniziativa della parte istante non abbia finalità esplorativa (Cass. 27412/2021, 9020/2019).

8. Il quarto motivo deduce la violazione dell’art. 115 c.p.c. e dell’art. 2697 c.c. in relazione al principio del giusto processo, per avere la corte territoriale precluso all’appellante di fornire la prova (a mezzo documenti, testimoni e c.t.u.) dei fatti di bancarotta imputati al C., terzo chiamato in causa quale preteso amministratore di fatto.

8.1. La censura è inammissibile, alla luce delle puntuali argomentazioni svolte dalla corte d’appello in merito alle specifiche ragioni di inammissibilità delle varie istanze istruttorie respinte dal tribunale e riproposte in secondo grado (v. pag. 31-34 della sentenza impugnata).

8.2. Va peraltro considerato come il ricorrente che denunci in sede di legittimità il difetto di motivazione su un’istanza di ammissione di un mezzo istruttorio o sulla valutazione di esso, ha l’onere di indicare specificamente le circostanze oggetto della prova, provvedendo alla loro trascrizione, al fine di consentire il controllo della decisività dei fatti da provare, e, quindi, delle prove stesse, che, per il principio dell’autosufficienza del ricorso per cassazione, il giudice di legittimità deve essere in grado di compiere sulla base delle deduzioni contenute nell’atto, alle cui lacune non è consentito sopperire con indagini integrative (Cass. 19985/2017, 17915/2010).

9. Può concludersi che anche il ricorso incidentale, sotto l’apparente deduzione di vizi di violazione o falsa applicazione di legge, miri in realtà ad una rivalutazione dei fatti storici operata dai giudici di entrambi i gradi del giudizio di merito e sia in quanto tale inammissibile, poiché persegue surrettiziamente la trasformazione del giudizio di legittimità in un ulteriore grado di merito (Cass. Sez. U, 34476/2019; Cass. 5987/2021, 8758/2017).

10. Segue la condanna alle spese di entrambi i ricorrenti, principale e incidentale, in favore delle due parti controricorrenti, liquidate in dispositivo.

11. Sussistono i presupposti processuali per il cd. raddoppio del contributo unificato a carico del ricorrente, se dovuto (Cass. Sez. U, 20867/2020 e 4315/2020).

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso principale e condanna A.F. al pagamento delle spese del giudizio di legittimità in favore dei controricorrenti Fallimento (OMISSIS) S.r.l. in Liquidazione e C.M.B., che liquida per ciascuno di essi in Euro 7.000,00 per compensi, oltre a spese forfettarie nella misura del 15 per cento, esborsi liquidati in Euro 200,00 ed accessori di legge.

Dichiara inammissibile il ricorso incidentale e condanna S.C. al pagamento delle spese del giudizio di legittimità in favore dei controricorrenti Fallimento (OMISSIS) S.r.l. in Liquidazione e C.M.B., che liquida per ciascuno di essi in Euro 7.000,00 per compensi, oltre a spese forfettarie nella misura del 15 per cento, esborsi liquidati in Euro 200,00 ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente principale e del ricorrente incidentale, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto a norma dello stesso articolo 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 27 gennaio 2022.

Depositato in Cancelleria il 3 marzo 2022

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