Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7092 del 02/03/2023

Cassazione civile sez. I, 03/03/2022, (ud. 26/01/2022, dep. 03/03/2022), n.7092

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco Antonio – Presidente –

Dott. PARISE Clotilde – rel. Consigliere –

Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere –

Dott. SCALIA Laura – Consigliere –

Dott. CAMPESE Eduardo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 1137/2021 proposto da:

G.G.C., elettivamente domiciliato in Roma, Via Emilio

Faà di Bruno n. 43, presso lo studio dell’avvocato Paolelli Marco,

rappresentato e difeso dagli avvocati Angiolini Vittorio, Giuliano

Giuseppe, giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

T.E., elettivamente domiciliato in Roma, Via Antonio Dionisi

n. 73, presso lo studio dell’avvocato Mandre’ Mara, che lo

rappresenta e difende, giusta procura in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1364/2020 della CORTE D’APPELLO DI CATANIA,

depositata il 24/07/2020;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

26/01/2022 dal cons. Dott. CLOTILDE PARISE.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con sentenza emessa il 30-10-2018 il Tribunale di Siracusa, pronunciando nel giudizio promosso da T.E. nei confronti di G.C.G., ha dichiarato che T.E. è figlio di G.C.G., condannando quest’ultimo alle spese di giudizio.

2. Con sentenza n. 1364/2020, pubblicata il 24-7-2020, la Corte d’appello di Catania ha respinto l’appello proposto da G.C.G. avverso la citata sentenza del Tribunale di Siracusa. La Corte d’appello, nel condividere il giudizio espresso dal primo giudice, ha ritenuto che: i) fosse da ritenersi ingiustificato il rifiuto di G.C.G. a sottoporsi alle indagini genetiche e biologiche, in base al comportamento processuale dello stesso, che per ben due volte non si era sottoposto all’esame del DNA; ii) da detto rifiuto, valutato unitamente alle risultanze della lettera inviata dalla madre all’appellato, fosse dato trarre la dimostrazione che l’appellante era il padre di T.E..

3. Avverso questa sentenza G.C.G. propone ricorso per cassazione, affidato a due motivi, resistito con controricorso da T.E..

4. Il ricorso è stato fissato per l’adunanza in camera di consiglio ai sensi dell’art. 375 c.p.c., u.c. e art. 380 bis 1 c.p.c..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.Con il primo motivo il ricorrente denuncia, con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e/o 4, la violazione degli artt. 3,13 e 24 Cost., artt. 115,116,61 e 191 c.p.c., artt. 269 e 2967 c.c., occorrendo previo rilievo della questione di legittimità costituzionale degli artt. 115,116,61 e 191 c.p.c., artt. 269 e 2967 c.c., per contrasto con gli artt. 3,13 e 24 Cost., nella parte in cui consentono che il giudice, nell’ambito delle operazioni peritali, disponga ed esegua, senza avere precedentemente acquisito la libera manifestazione del consenso della parte, misure che comunque incidono sulla libertà personale della stessa parte al di fuori di quelle specificamente previste nei “casi” e nei “modi” dalla legge, e/o che il giudice possa trarre argomenti di prova a sfavore della parte che non ha prestato la sua libera manifestazione del consenso alla disposizione e/o all’esecuzione di misure che comunque incidono sulla libertà personale della stessa parte al di fuori di quelle specificamente previste nei “casi” e nei “modi” dalla legge. Deduce, in ogni caso, che la sentenza impugnata è nulla perché la Corte di merito avrebbe erroneamente omesso di rilevare la nullità dell’accertamento tecnico, disposto ed eseguito dal giudice di primo grado, avente ad oggetto l’effettuazione del test del DNA tramite prelievo di campioni biologici dalla persona del G. senza aver previamente acquisito il suo consenso e, anzi, addirittura a fronte dell’espresso rifiuto manifestato da parte di quest’ultimo. Inoltre la Corte d’appello avrebbe erroneamente tratto, dal rifiuto dell’odierno ricorrente di sottoporsi al prelievo di materiale biologico sul proprio corpo al fine di eseguire il test del DNA, argomenti di prova sulla paternità in contestazione.

2. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia, con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, la violazione degli artt. 3,111 e 24 Cost., art. 115 c.p.c., comma 1, art. 116 c.p.c., comma 1, e art. 257-bis c.p.c., artt. 2702,2967 e 2729 c.c., occorrendo previo rilievo della questione di legittimità costituzionale degli artt. 115,116 e 257-bis c.p.c., nonché degli artt. 2702,2967 e 2729 c.c. per contrasto con gli artt. 3,111 e 24 Cost.. Denuncia la nullità della sentenza impugnata in quanto, sotto un primo profilo, la Corte d’appello avrebbe erroneamente affermato che l’odierno ricorrente “a ben vedere non nega la relazione avuta con la F.”, nonostante egli avesse ritualmente sollevato contestazione al riguardo in primo grado, riproponendola con specifico motivo di appello. Sotto un secondo profilo, ad avviso del ricorrente, la Corte di merito, senza indicare alcun elemento di prova e quindi anche con motivazione insufficiente e viziata che non raggiunge il c.d. “minimo costituzionale”, ha erroneamente attribuito valore probante alla scrittura prodotta dalla controparte in primo grado (doc. 3), ossia l’asserita lettera con cui la madre del T. avrebbe rivelato a quest’ultimo che ella aveva intrattenuto una relazione extraconiugale con il G. e che quest’ultimo era il suo vero padre, e ciò nonostante la rituale contestazione, svolta dall’odierno ricorrente in primo grado, di tale documento e dei pretesi fatti storici che si intendevano provare, e la riproposizione di detta contestazione anche sotto forma di specifici motivi di appello. Sotto un terzo profilo, rileva il ricorrente che la Corte di merito, senza indicare in motivazione alcun mezzo di prova, né alcun ragionamento che giustificasse il convincimento espresso, ha posto a fondamento della decisione la pretesa circostanza di una relazione extraconiugale tra l’odierno ricorrente e la madre del T. descritta nella scrittura privata asseritamente proveniente da quest’ultima, nonché ribadisce di avere ritualmente contestato tale circostanza e la scrittura privata, anche nel grado di appello.

3. La questione di legittimità costituzionale di cui il ricorrente sollecita la delibazione nell’illustrazione del primo motivo è manifestamente infondata. Questa Corte ha, infatti, ripetutamente affermato la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale per violazione degli artt. 13,15,24,30 e 32 Cost. – del combinato disposto dell’art. 269 c.c. e artt. 116 e 118 c.p.c., ove interpretato nel senso della possibilità di dedurre argomenti di prova dal rifiuto del preteso padre di sottoporsi a prelievi ematici al fine dell’espletamento dell’esame del DNA. Invero, dall’art. 269 c.c. non deriva una restrizione della libertà personale, avendo il soggetto piena facoltà di determinazione in merito all’assoggettamento o meno ai prelievi, mentre il trarre argomenti di prova dai comportamenti della parte costituisce applicazione del principio della libera valutazione della prova da parte del giudice, senza che ne resti pregiudicato il diritto di difesa. Inoltre, il rifiuto aprioristico della parte di sottoporsi ai prelievi non può ritenersi giustificato nemmeno con esigenze di tutela della riservatezza, tenuto conto sia del fatto che l’uso dei dati nell’ambito del giudizio non può che essere rivolto a fini di giustizia, sia del fatto che il sanitario chiamato dal giudice a compiere l’accertamento è tenuto tanto al segreto professionale che al rispetto della L. 31 dicembre 1996, n. 675 (cfr. Cass. 14458/2018 e Cass. 5116/2003).

4. Tanto premesso, le censure espresse con il primo motivo sono in parte infondate e in parte inammissibili.

La Corte di merito ha fatto corretta applicazione dell’orientamento consolidato di questa Corte, che il Collegio condivide e intende qui ribadire (Cass. 12971/2014; Cass. Civ. 11223/2014; Cass. Civ. 6025/2015; Cass. Civ. 3479/2016), secondo cui il rifiuto ingiustificato di sottoporsi agli esami ematologici costituisce un comportamento valutabile da parte del giudice ai sensi dell’art. 116 c.p.c., finanche in assenza di prove dei rapporti sessuali tra le parti, in quanto è proprio la mancanza di riscontri oggettivi certi e difficilmente acquisibili circa la natura dei rapporti intercorsi e circa l’effettivo concepimento a determinare l’esigenza di desumere argomenti di prova dal comportamento processuale dei soggetti coinvolti. Da qui la possibilità di trarre la dimostrazione della fondatezza della domanda anche soltanto dal rifiuto ingiustificato a sottoporsi all’esame ematologico del presunto padre, posto in opportuna correlazione con le dichiarazioni della madre. Questa Corte ha, infatti, chiarito che, nel giudizio promosso per l’accertamento della paternità naturale, il rifiuto di sottoporsi ad indagini ematologiche costituisce un comportamento valutabile da parte del giudice, ex art. 116 c.p.c., comma 2, di così elevato valore indiziario da poter da solo consentire la dimostrazione della fondatezza della domanda (Cass. 18626/2017; Cass. 26914/2017; Cass. 28886/2019).

Le doglianze sono inammissibili nella parte in cui risultano del tutto inconferenti rispetto al decisum e al concreto svolgimento del processo, ossia nella parte in cui il ricorrente si duole della nullità della C.T.U. a causa dell’asserito prelievo di campioni biologici senza acquisizione del suo consenso, e ciò in quanto, come peraltro si desume, oltre che dalla sentenza impugnata, dalle stesse deduzioni svolte in ricorso, l’accertamento tecnico non è stato concretamente eseguito, per l’appunto in ragione del rifiuto dell’odierno ricorrente di sottoporsi al test genetico.

5. Quanto al secondo motivo, la questione di legittimità costituzionale di cui il ricorrente sollecita la delibazione difetta di rilevanza nel caso di specie, dal momento che la Corte d’appello non ha affatto posto a fondamento della decisione solo le risultanze della scrittura privata proveniente da un terzo (la madre), contrariamente a quanto si assume in ricorso per sostenere che si tratterebbe di una disciplina “discriminatoria” rispetto a quella prevista per la scrittura privata proveniente dalla parte.

5.1. Ciò posto, le censure espresse con il secondo mezzo sono inammissibili.

Nel processo civile le scritture private provenienti da terzi estranei alla lite costituiscono meri indizi, liberamente valutabili dal giudice e contestabili dalle parti senza necessità di ricorrere alla disciplina prevista in tema di querela di falso o disconoscimento di scrittura privata autenticata.

Ne consegue che, sorta controversia sulla autenticità di tali documenti, in applicazione del generale principio di cui all’art. 2697 c.c., l’onere di provarne la genuinità grava su chi la invoca (Cass. 24208/2010; Cass. 6650/2020).

La Corte d’appello, con motivazione adeguata e superiore al minimo costituzionale, ha dato conto delle ragioni in base alle quali ha ritenuto dimostrata la genuità della scrittura (pag.6 e 7 della sentenza) e la ratio decidendi è fondata su più elementi istruttori (rifiuto di sottoporsi al test del DNA e lettera della madre – così espressamente pag. 7 sentenza).

A ciò si aggiunga che la Corte di merito ha reputato irrilevanti le prove testimoniali dedotte dal ricorrente, il quale non svolge censura alcuna al riguardo.

Alla stregua delle considerazioni che precedono, le doglianze, sotto l’apparente denuncia del vizio di violazione di legge e motivazionale, sollecitano, in realtà, impropriamente una rivisitazione del merito, in ordine alla valutazione probatoria del documento ed alla ricostruzione dei fatti, anche ai fini dell’asserita giustificatezza della mancata sottoposizione al test genetico, che il ricorrente richiama limitandosi genericamente ad affermare di aver avuto “legittime, giustificate e documentate ragioni” per non sottoporvisi (pag.12 ricorso), in alcun modo precisate a confutazione delle argomentazioni espresse sul punto nella sentenza impugnata (pag. 9).

6. In conclusione, il ricorso va rigettato e le spese del presente giudizio, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, deve darsi atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso per cassazione, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis ove dovuto (Cass. S.U. n. 5314/2020).

Va disposto che in caso di diffusione della presente ordinanza siano omesse le generalità delle parti e dei soggetti in essa menzionati, a norma del D.Lgs. 30 giugno 2003 n. 196, art. 52.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alla rifusione delle spese del presente giudizio, liquidate in complessivi Euro 7.200,00 di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre rimborso spese generali (15%) ed accessori, come per legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso per cassazione, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis ove dovuto.

Dispone che in caso di diffusione della presente ordinanza siano omesse le generalità delle parti e dei soggetti in essa menzionati, a norma del D.Lgs. 30 giugno 2003 n. 196, art. 52.

Così deciso in Roma, il 26 gennaio 2022.

Depositato in Cancelleria il 3 marzo 2022

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