Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7091 del 12/03/2021

Cassazione civile sez. VI, 12/03/2021, (ud. 17/02/2021, dep. 12/03/2021), n.7091

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente –

Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –

Dott. FORTUNATO Giuseppe – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 14536-2019 proposto da:

D.B.N., B.A., D.B.V. e

D.B.R., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA G. FERRARI n. 2,

presso lo studio dell’avvocato MARCO PALANDRI, rappresentati e

difesi dagli avvocati GIUSEPPE DALMARTELLO ed ANGELO POZZAN;

– ricorrenti –

contro

T.G., Z.G., Z.M. e ZA.GI.,

elettivamente domiciliati in ROMA, VIA COLA DI RIENZO n. 180, presso

lo studio dell’avvocato PAOLO FIORILLI, che li rappresenta e difende

unitamente all’avvocato ANTONIO FRANZOI;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 819/2018 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA,

depositata il 04/04/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

17/02/2021 dal Consigliere Dott. STEFANO OLIVA.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con ricorso ex art. 703 c.p.c. Z.G., T.G., Z.M. e Za.Gi. evocavano in giudizio D.B.G. e B.A. innanzi il Tribunale di Venezia, chiedendo la cessazione degli atti di turbativa, molestia e spoglio realizzati dai convenuti in loro danno, con ripristino dello status quo ante e demolizione delle opere realizzate dai convenuti medesimi. In particolare, i ricorrenti lamentavano che i convenuti avessero aperto delle nuove vedute e realizzato una sopraelevazione dell’edificio di loro proprietà, in violazione delle distanze legali.

Si costituivano i predetti convenuti resistendo alla domanda, che veniva accolta all’esito della fase sommaria.

I ricorrenti presentavano istanza per la prosecuzione del giudizio di merito ex art. 703 c.p.c., comma 4, nel quale si costituivano i convenuti, resistendo alla pretesa. Nelle more del giudizio, in seguito al decesso di D.B.G., i giudizio veniva interrotto e riassunto nei confronti degli eredi B.A., D.B.V., D.B.R. e D.B.N..

Con sentenza n. 4098/2015, il Tribunale di Venezia accoglieva la domanda, ordinando ai convenuti il ripristino dello status quo ante dei luoghi.

Avverso detta decisione interponevano appello D.B.V., D.B.R., D.B.N. e B.A.; si costituivano in seconde cure Z.G., T.G., Z.M. e Za.Gi., resistendo al gravame.

Con la sentenza impugnata, n. 819/2018, la Corte di Appello di Venezia, rigettava l’appello, condannando gli appellanti alle spese del secondo grado.

Ricorrono per la cassazione di detta decisione D.B.V., D.B.R., D.B.N. e B.A., affidandosi a quattro motivi.

Resistono con controricorso Z.G., T.G., Z.M. e Za.Gi..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo i ricorrenti lamentano la violazione degli artt. 115 e 703 c.p.c., e degli artt. 905 e 2697 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, nonchè l’omesso esame di fatto decisivo, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, perchè la Corte di Appello avrebbe erroneamente considerato non provata l’esistenza di un titolo riguardante la destinazione a pubblico passaggio dell’area interessata dalla inspectio e prospectio proveniente dalle nuove vedute.

La censura è inammissibile.

La Corte territoriale ha valorizzato le risultanze della C.T.U. espletata durante il giudizio di primo grado, dalla quale non era risultato che la striscia di terreno interessata dalla inspectio e prospectio fosse gravata da servitù di uso pubblico, come ritenuto dagli odierni ricorrenti. Sul punto, in particolare, la Corte veneta ha ravvisato il “… difetto di idonea allegazione e prova circa l’esistenza di un titolo riguardante l’uso menzionato” (cfr. pag. 4 della sentenza impugnata), proprio richiamando le misurazioni svolte dall’ausiliario nominato nel corso del primo grado di giudizio. Il giudice di appello, quindi, ha indicato le ragioni del proprio convincimento, che si risolve -in ultima analisi- in un accertamento di fatto sorretto da congrua e logica motivazione. Perchè si possa qualificare una strada come destinata ad uso pubblico, infatti, occorre fornire la duplice dimostrazione dell’esistenza di un titolo valido e dell’effettiva destinazione della stessa al servizio della collettività. Va infatti ribadito il principio secondo cui “Una strada rientra nella categoria delle vie vicinali pubbliche se sussistono i requisiti del passaggio esercitato “iure servitutis publicae” da una collettività di persone qualificate dall’appartenenza ad una comunità territoriale, della concreta idoneità della strada a soddisfare esigenze di generale interesse, anche per il collegamento con la pubblica via, e dell’esistenza di un titolo valido a sorreggere l’affermazione del diritto di uso pubblico” (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 16864 del 05/07/2013, Rv. 627088).

Con il secondo motivo i ricorrenti lamentano la violazione dell’art. 905 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 1 (recte, n. 3), perchè la Corte di Appello avrebbe misurato la distanza dal balcone esistente sul prospetto del loro edificio partendo dalla linea esteriore della soletta, anzichè dalla linea esteriore della balaustra.

La censura è inammissibile, in quanto essa si risolve in un’inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e del convincimento della Corte territoriale tesa all’ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, certamente estranea alla natura ed ai fini del giudizio di cassazione (Cass. Sez. U, Sentenza n. 24148 del 25/10/2013, Rv. 627790). Peraltro, la Corte distrettuale ha aderito alle conclusioni del consulente tecnico d’ufficio, ritenendo corretto il criterio di misurazione dallo stesso adottato, anche in ossequio al principio, affermato da questa Corte, secondo cui “La misurazione della distanza di una veduta dal fondo del vicino si effettua dalla faccia esteriore del muro in cui si aprono le finestre ovvero dalla linea estrema del balcone, o, in genere, del manufatto dal quale si esercita la veduta stessa” (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 3428 del 25/05/1981, Rv. 414022; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 4773 del 21/07/1980, n. 408583).

Con il terzo motivo i ricorrenti lamentano la violazione degli artt. 112,115 c.p.c. e art. 1158 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, nonchè la nullità della sentenza in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, perchè la Corte di Appello avrebbe omesso di considerare che gli odierni controricorrenti non avevano specificamente contestato l’allegazione della preesistenza di una delle due vedute oggetto di contestazione, la quale – secondo la tesi difensiva di parte ricorrente – sarebbe stata soltanto spostata rispetto alla sua originaria collocazione. Di conseguenza, sempre ad avviso di parte ricorrente, la Corte di merito avrebbe dovuto ritenere accertata la circostanza, e dunque raggiunta la prova del possesso del diritto di veduta in concreto esercitato dalla apertura di cui anzidetto.

La censura è inammissibile.

La Corte territoriale ha, invero, esaminato l’eccezione di “… usucapione del diritto a mantenere la veduta ad una distanza inferiore a quella prescritta per la finestra di sinistra, al piano terra, guardando il prospetto del fabbricato…” proposta dagli odierni ricorrenti, rigettandola perchè non risultava neppure allegato “… il presupposto costituito dall’esistenza per la prescritta durata ventennale di opere visibili e permanenti” (cfr. pag. 5 della sentenza impugnata). Non rileva, a contrario, la relazione del C.T.P. prodotta dai ricorrenti, la quale, come più volte ribadito da questa Corte, nonostante il suo contenuto tecnico e a differenza della consulenza tecnica d’ufficio, costituisce una semplice allegazione difensiva, priva di autonomo valore probatorio (Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 26305 del 18/10/2018, Rv. 651305; cfr. Cass. Sez. 2, Sentenza n. 14802 del 14/06/2017, Rv. 644485).

Con il quarto motivo, infine, i ricorrenti lamentano la violazione del D. M. n. 1444 del 1968, art. 9, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, perchè la Corte di Appello avrebbe omesso di considerare che la distanza di dieci metri tra le pareti finestrate degli edifici va misurata non in forma radiale, ma in forma lineare.

La censura è inammissibile.

La Corte territoriale ha valorizzato le risultanze della C.T.U. relative all’innalzamento, ad opera dei ricorrenti, del muro di proprietà comune con i controricorrenti, ritenendo applicabile la normativa di cui al D.M. n. 1444 del 1968, sul condivisibile presupposto che “il dovere di rispettare le distanze stabilite dalla norma sussiste indipendentemente dalla eventuale differenza di quote su cui si collochino le aperture fra le due pareti frontistanti; ai fini dell’operatività della previsione, è sufficiente che sia finestrata anche una sola delle due pareti interessate” (cfr. pag. 6 della sentenza impugnata). Tale ratio decidendi non è adeguatamente attinta dal motivo, con il quale i ricorrenti si limitano ad affermare che si tratterebbe di pareti di edifici tra loro non prospicienti, ma nulla deducono in relazione alla differenza delle quote, in tal modo non confrontandosi con la motivazione resa dalla Corte lagunare. La censura, in definitiva, cela una richiesta di riesame del merito, estranea all’oggetto e ai fini del giudizio di legittimità (Cass. Sez. U, Sentenza n. 24148 del 25/10/2013, Rv. 637790).

In definitiva, il ricorso va dichiarato inammissibile.

Le spese del presente giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.

Stante il tenore della pronuncia, va dato atto – ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater – della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente di un ulteriore importo a titolo contributo unificato, pari a quello previsto per la proposizione dell’impugnazione, se dovuto.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento in favore dei controricorrenti delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in Euro 3.000 e Euro 200 per esborsi, oltre rimborso delle spese generali in misura del 15%, IVA, cassa avvocati ed accessori come per legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sesta Sezione Civile, il 17 febbraio 2021.

Depositato in Cancelleria il 12 marzo 2021

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