Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7091 del 12/03/2020

Cassazione civile sez. lav., 12/03/2020, (ud. 12/12/2019, dep. 12/03/2020), n.7091

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NOBILE Vittorio – Presidente –

Dott. BLASUTTO Daniela – Consigliere –

Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere –

Dott. AMENDOLA Fabrizio – Consigliere –

Dott. PICCONE Valeria – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 21716/2014 proposto da:

GEZZI AUTOINDUSTRIALE S.R.L., in persona del legale rappresentante

pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE MAZZINI 73,

presso lo studio dell’avvocato GIOVANNI DI CAGNO, che la rappresenta

e difende unitamente all’avvocato LUCIANO DALFINO;

– ricorrente –

contro

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE PREVIDENZA SOCIALE, in persona del suo

Presidente e legale rappresentante pro tempore, in proprio e quale

mandatario della S.C.C.I. S.P.A. società di cartolarizzazione dei

crediti I.N.P.S., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA CESARE

BECCARIA 29, presso l’Avvocatura Centrale dell’Istituto,

rappresentati e difesi dagli avvocati ANTONINO SGROI, LELIO

MARITATO, CARLA D’ALOISIO e ESTER ADA SCIPLINO;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 656/2014 della CORTE D’APPELLO di BARI,

depositata il 18/03/2014, R.G.N. 6366/2010.

Fatto

RILEVATO

che:

– con sentenza in data 17 marzo 2014, la Corte d’Appello di Bari accogliendo per quanto di ragione l’appello principale proposto dall’INPS ed in parziale riforma della sentenza di primo grado, ha condannato la Gezzi Autoindustriale S.r.l. al pagamento in favore dell’Istituto della somma di Euro 59.709,50 quale debito contributivo residuo dalla data del 20 maggio 2003 oltre sanzioni civili sulle somme dovute, dichiarando improcedibile l’appello incidentale proposto dalla Società e compensando integralmente le spese di lite;

– in particolare, la Corte territoriale ha ritenuto fondato il dedotto vizio di ultrapetizione allegato dall’INPS in ordine ad alcuni dei crediti dedotti in compensazione dalla società ed altresì escluso il diritto di quest’ultima alla rivalutazione monetaria alla luce della formazione del giudicato sul punto;

– avverso tale sentenza propone ricorso la Gezzi Autoindustriale s.r.l. affidato a tre motivi cui resiste l’INPS con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

che:

– con il primo motivo di ricorso, la società ricorrente deduce la violazione dell’art. 429 c.p.c., art. 1224 c.c. e art. 360, comma 1, n. 5; con il secondo ed il terzo motivo, si deduce la violazione dell’art. 437 c.p.c., comma 2 e art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, deducendosi l’inammissibilità sia dell’eccepita compensazione da parte dell’INPS, sia del vizio di ultrapetizione;

– il primo motivo, che parte ricorrente afferma assorbente rispetto ad ogni altra questione, è infondato;

– la tesi della Gezzi s.r.l. concernente l’erroneità della statuizione del giudice di secondo grado circa il mancato riconoscimento della rivalutazione monetaria sulla somma liquidata si fonda sull’asserito carattere di “accessorio naturale del credito” della rivalutazione medesima, talchè non avrebbe rilievo la circostanza che la inerente domanda sia coperta da giudicato;

– osserva al riguardo il Giudice territoriale che con il ricorso per decreto ingiuntivo l’attuale ricorrente aveva richiesto (anche) la rivalutazione monetaria del proprio credito e che tale domanda era stata accolta in sede monitoria solo con riguardo agli interessi legali essendo poi il giudizio definito con rigetto della spiegata opposizione senza alcuna ulteriore pronuncia sulla rivalutazione monetaria, con conseguente formazione del giudicato;

– orbene, deve rilevarsi che, contrariamente a quanto asserito da parte ricorrente, la rivalutazione monetaria in tema di crediti contributivi non costituisce un accessorio naturale credito ed infatti, per consolidata giurisprudenza di legittimità (cfr., ex plurimis, Cass. 4402/2009) quando il maggior danno, a norma dell’art. 1224 c.c., comma 2, subito dal creditore, a causa della mora del debitore, nell’adempimento di un’obbligazione pecuniaria, è costituito dalla svalutazione monetaria, il relativo ulteriore risarcimento spettante al creditore consiste nella differenza, su base annua, tra il saggio degli interessi legali ed il tasso di svalutazione monetaria;

– va, quindi, riconosciuta la sola rivalutazione (con decorrenza dal giorno di inizio della mora e fino al pagamento) ove la relativa entità sia superiore al tasso degli interessi legali, restando in caso diverso attribuibili soltanto questi ultimi” (tra tante, Cass. sent. n. 13359 del 2007, n. 12758 del 2000, n. 2644 del 1993, n. 7967 del 1990); Tale principio non subisce eccezioni pur quando (come nella specie) il credito derivi dall’indebito versamento di contributi a un ente di previdenza obbligatoria (cfr. Cass. n. 4402/2009 cit.): infatti, in materia previdenziale, la speciale disciplina (effetto della sentenza costituzionale n. 156 del 1991 e poi venuta meno con la L. n. 412 del 1991), che – a differenza di quella dettata dall’art. 1224 c.c., per i comuni crediti pecuniari – impone di liquidare il danno da ritardato adempimento cumulando interessi legali e rivalutazione, riguarda unicamente i crediti relativi a prestazioni di previdenza e assistenza sociale, le prestazioni cioè (pensionistiche o temporanee) che l’ente previdenziale (o assistenziale) è tenuto, per legge, a corrispondere ai lavoratori assicurati o ai cittadini in stato di bisogno;

– deve, quindi, escludersi che la restituzione dei contributi assicurativi versati dal datore di lavoro in misura maggiore di quella dovuta (anche in dipendenza del suo diritto al beneficio dello sgravio o della fiscalizzazione) implichi tout court la corresponsione della rivalutazione monetaria ed affermarsi anzi che essa costituisce oggetto di una obbligazione pecuniaria di fonte legale (art. 2033 c.c.) ed è assoggettata alla disciplina propria di tali obbligazioni, in particolare alla disposizione dell’art. 1224 c.c., in tema di interessi moratori e risarcimento del maggior danno per il ritardo nell’adempimento, restando invece inapplicabile, all’indicata obbligazione restitutoria, la speciale disciplina del cumulo di interessi legali e rivalutazione (esclusivamente) dettata per i crediti di previdenza sociale e di assistenza sociale obbligatoria;

– relativamente al secondo motivo, deve escludersi la sussistenza della dedotta violazione dell’art. 437 c.p.c., comma 2, mentre va ritenuta inammissibile, come si vedrà, la dedotta violazione dell’art. 360, comma 1, n. 5;

– va rilevato, al riguardo, che la parte, nel dedurre la permanenza di un proprio ulteriore credito, a fronte dell’eccepita compensazione da parte dell’INPS, si sofferma sostanzialmente sulla ricostruzione in fatto della vicenda e delle sue conseguenze deducendo l’omesso esame di circostanze rilevati – e mira ad ottenere una rivisitazione del merito anche in ordine ad aspetti del tutto sottratti al sindacato di legittimità in quanto postula un ulteriore esame delle risultanze della CTU inammissibile in sede di ricorso per cassazione;

– per costante giurisprudenza di legittimità, (cfr, fra le più recenti, Cass. n. 20335 del 2017, con particolare riguardo alla duplice prospettazione del difetto di motivazione e della violazione di legge) il vizio relativo all’incongruità della motivazione di cui all’art. n. 360 c.p.c., n. 5, comporta un giudizio sulla ricostruzione del fatto giuridicamente rilevante e sussiste quando il percorso argomentativo adottato nella sentenza di merito presenti lacune ed incoerenze tali da impedire l’individuazione del criterio logico posto a fondamento della decisione, o comunque, qualora si addebiti alla ricostruzione di essere stata effettuata in un sistema la cui incongruità emerge appunto dall’insufficiente, contraddittoria o omessa motivazione della sentenza;

– invece, attiene alla violazione di legge la deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge implicando necessariamente una attività interpretativa della stessa;

– del pari infondato deve ritenersi il terzo motivo con il quale ancora parte ricorrente fa valere la violazione dell’art. 437 c.p.c., comma 2, nella parte in cui la Corte territoriale ha ritenuto fondato il motivo di gravame con il quale l’Istituto denunciava il vizio di ultrapetizione della sentenza;

– nel dedurre l’asserita inammissibilità del motivo, come sollevata dalla difesa in sede di appello, il ricorrente non riporta la domanda e la costituzione originarie, e chiede al Collegio una indagine sul contenuto di tali atti che implica una ulteriore valutazione fattuale della controversia, in assenza, peraltro, della occorrente documentazione, inammissibile in sede di legittimità;

– per quanto concerne il dedotto omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, censurato in entrambi i motivi, non può che ribadirsi quanto affermato, al riguardo, dalle Sezioni Unite (SU n. 8754 del 07/04/2014) secondo cui, nella riformulazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5) scompare ogni riferimento letterale alla “motivazione” della sentenza impugnata e, accanto al vizio di omissione (che pur cambia in buona misura d’ambito e di spessore), non sono più menzionati i vizi di insufficienza e contraddittorietà. La ratio legis è chiaramente espressa dai lavori parlamentari, laddove si afferma che la riformulazione dell’art. 360, n. 5), è “mirata a evitare l’abuso dei ricorsi per cassazione basati sul vizio di motivazione, non strettamente necessitati dai precetti costituzionali, supportando la generale funzione nomofilattica propria della Suprema Corte di cassazione, quale giudice dello ius constitutionis e non, se non nei limiti della violazione di legge, dello ius litigatoris”;

– alla luce delle suesposte argomentazioni, il ricorso deve essere respinto;

– le spese seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo;

– sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte della parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 1 bis e art. 13, comma 1 quater, se dovuto.

PQM

La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente alla rifusione delle spese processuali in favore del controricorrente, che liquida in complessivi Euro 5000,00 per compensi ed Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali al 15% e accessori di legge. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 12 dicembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 12 marzo 2020

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