Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7088 del 24/03/2010

Cassazione civile sez. trib., 24/03/2010, (ud. 17/02/2010, dep. 24/03/2010), n.7088

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PAPA Enrico – Presidente –

Dott. MARIGLIANO Eugenia – Consigliere –

Dott. CAMPANILE Pietro – Consigliere –

Dott. DI IASI Camilla – rel. Consigliere –

Dott. POLICHETTI Renato – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 5735/2005 proposto da:

COMUNE DI ROMA in persona del Sindaco pro tempore, elettivamente

domiciliato in ROMA VIA TEMPIO DI GIOVE 21, presso lo studio

dell’avvocato ONOFRI Luigi, che lo rappresenta e difende giusta

delega a margine;

– ricorrente –

contro

ASTALDI SPA in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIALE G. MAZZINI 9-11, presso lo

studio dell’avvocato SALVINI Livia, che lo rappresenta e difende,

giusta delega a margine;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 184/2004 della COMM. TRIB. REG. di ROMA,

depositata il 02/12/2004;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

17/02/20.10 dal Consigliere Dott. CAMILLA DI IASI;

udito per il resistente l’Avvocato BRANDA, con delega dell’Avvocato

SALVINI, che ha chiesto il rigetto;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

VELARDI Maurizio, che ha concluso per l’accoglimento del secondo

motivo del ricorso, rigetto del primo motivo.

 

Fatto

IN FATTO E IN DIRITTO

1 – Il Comune di Roma propone ricorso per cassazione (successivamente illustrato da memoria) nei confronti della Astaldi s.p.a. (che resiste con controricorso) e avverso la sentenza con la quale la C.T.R. Lazio, in controversia concernente impugnazione di silenzio rifiuto su istanza di rimborso ICI relativa al 1993, dichiarava inammissibile l’appello del Comune di Roma per difetto di legittimazione processuale D.Lgs. n. 546 del 1992, ex art. 11, del soggetto (dirigente responsabile dell’ICI) che aveva firmato l’atto d’appello in forza dei poteri conferitigli dallo statuto comunale, atteso che tale potere spettava al sindaco a norma del D.Lgs. n. 267 del 2000, art. 50 e che la procura generale alle liti conferita ex post al dirigente dell’ente non poteva sanare la pregressa situazione di difetto di rappresentanza dell’ente.

2. Col primo motivo, deducendo l’inammissibilità dei ricorsi introduttivi per violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 10 e art. 11 c.c., il Comune ricorrente rileva che i suddetti ricorsi erano stati proposti nei confronti di soggetto inesistente, ossia nei confronti del Comune di Roma – U.O. Tributi- Dipartimento Politiche delle Entrate – Reparto (OMISSIS) – (OMISSIS), e con tale formula notificati a mezzo posta presso la sede dell’ufficio interno del Comune. Rileva altresì il ricorrente che titolare del rapporto impositivo non è l’ufficio comunale competente, perciò i ricorsi andavano proposti nei confronti del soggetto munito di personalità e notificati alla sua sede, ossia a Piazza del Campidoglio.

La censura è infondata.

Il soggetto nei cui confronti i ricorsi introduttivi sono stati proposti risulta ben identificato come il Comune di Roma, senza che tale precisa identificazione possa essere in qualche modo posta in dubbio dalla specificazione aggiuntiva dell’ufficio interno al Comune medesimo.

Per quanto concerne la notifica dei ricorsi introduttivi presso la sede dell’Ufficio interno, e prescindendo da ogni altra possibile considerazione, è sufficiente rilevare che l’eventuale nullità della suddetta notifica doveva essere fatta valere in appello ex art. 161 c.p.c., ma dalla sentenza impugnata non risulta che il Comune di Roma, proponendo appello avverso la sentenza di primo grado, abbia mosso alcun rilievo in proposito.

Col secondo motivo, deducendo violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 10 e 11, dell’art. 34 dello statuto del comune e dell’art. 33 della Delib. Giunta Comunale 25 febbraio 2000, n. 130, il ricorrente censura, alla luce delle disposizioni sopra citate, la sentenza impugnata in ordine alla ritenuta inammissibilità dell’appello per carenza di legittimazione processuale del dirigente dell’Ufficio ICI del Comune di Roma.

La censura è fondata.

Giova infatti innanzitutto precisare che, secondo la giurisprudenza di questo giudice di legittimità, il D.L. n. 44 del 2005, art. 3 bis, comma 1, convertito con modificazioni nella L. n. 88 del 2005, ed applicabile ai processi in corso in forza del successivo comma 2, nel sostituire il comma 3 dell’art. 11 del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, ha attribuito a rappresentanza processuale dell’ente locale nel giudizio di merito al dirigente dell’ufficio tributi, ovvero, in mancanza di tale figura, al titolare della posizione organizzativa comprendente detto ufficio, e tale dirigente, con apposita determinazione, può delegare un funzionario dell’unità organizzativa da lui diretta a sottoscrivere e presentare l’impugnazione quale assistente dell’ente locale, ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 15, comma 2 bis (n. Cass. 3230 del 2009 e n. 6227 del 2007).

E’ inoltre da aggiungere che, anche a prescindere da quanto sopra esposto, la giurisprudenza di questo giudice di legittimità aveva già chiarito che la rappresentanza in giudizio del Comune spetta in via generale al sindaco senza necessità di preventiva autorizzazione della giunta, ma lo statuto del Comune (atto a contenuto normativo, rientrante nella diretta conoscenza del giudice) o anche i regolamenti municipali, nei limiti in cui ad essi espressamente rinvii lo stesso statuto, possono affidarla ai dirigenti, nell’ambito dei rispettivi settori di competenza (v. tra le altre SU n. 13710 del 2005) e che nel Comune di Roma il potere di rappresentanza processuale attribuito ai dirigenti comunali dall’art. 34, comma 4, dello Statuto comunale, approvato con Delib. Consiliare 17 luglio 2000, n. 122 (successivamente integrato con Delib. 19 gennaio 2001, n. 22), e dall’art. 3 del Regolamento approvato con Delib. Giunta 25 febbraio 2000, n. 130 (disciplina interna del contenzioso dinanzi alle Commissioni tributarie), è applicabile ai giudizi davanti alle commissioni tributarie, essendo così circoscritta dalla suddetta norma regolamentare la più ampia previsione contenuta nel citato art. 34, comma 4, dello Statuto (v. tra le altre Cass. n. 1915 del 2007).

Il primo motivo di ricorso deve essere pertanto rigettato e il secondo accolto. In relazione al motivo accolto la sentenza impugnata deve essere cassata con rinvio ad altro giudice che provvederà anche in ordine alle spese del presente giudizio di legittimità.

PQM

Rigetta il primo motivo di ricorso, accoglie il secondo, cassa la sentenza impugnata e rinvia anche per le spese a diversa sezione della C.T.R. Lazio.

Così deciso in Roma, il 17 dicembre 2010.

Depositato in Cancelleria il 24 marzo 2010

 

 

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