Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7083 del 12/03/2020

Cassazione civile sez. trib., 12/03/2020, (ud. 11/12/2019, dep. 12/03/2020), n.7083

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANZON Enrico – Presidente –

Dott. TINARELLI FUOCHI Giuseppe – Consigliere –

Dott. NONNO Giacomo Maria – Consigliere –

Dott. D’AQUINO Filippo – Consigliere –

Dott. GORI Pierpaolo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 24598/2012 proposto da:

B.A., elettivamente domiciliato in Roma Lungotevere Dei

Mellini, 17 presso lo studio dell’avvocato Cantillo Oreste che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato Cantillo Guglielmo

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del direttore p.t., elettivamente

domiciliata in Roma Via Dei Portoghesi 12 presso l’Avvocatura

Generale dello Stato che la rappresenta e difende

-controricorrente –

avverso la sentenza n. 156/5/2012 della COMM.TRIB.REG., CAMPANIA,

depositata il 16/03/2012, non notificata;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

11/12/2019 dal consigliere Gori Pierpaolo.

Fatto

RILEVATO

che:

– Con sentenza n. 156/5/12 depositata in data 16 marzo 2012 la Commissione tributaria regionale della Campania, sez. staccata di Salerno, rigettava l’appello proposto da B.A., titolare di ditta individuale di autotrasporto merci per conto terzi, avverso la sentenza n. 442/18/10 della Commissione tributaria provinciale di Salerno, la quale a sua volta aveva parzialmente accolto il ricorso proposto dal contribuente, riducendo del 40% i maggiori ricavi in capo a lui accertati con l’avviso di accertamento per II.DD., inclusa l’IRAP, addizionali e IVA 2004.

– La CTR confermava la decisione di primo grado, ritenendo in via preliminare adeguatamente motivato l’avviso di accertamento e, nel merito, considerando legittimo l’accertamento emesso sulla base di accertamento analitico-induttivo D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 39, comma 1, lett. d), e di studio di settore, nella misura della riduzione del recupero ad imposta operata dal giudice del primo grado, poichè i dati inizialmente inseriti dal contribuente ai fini dello studio di settore erano erronei ed erano stati emendati.

– Avverso tale decisione ha proposto ricorso per cassazione la contribuente deducendo quattro motivi. Resiste con controricorso l’Agenzia delle entrate.

Diritto

CONSIDERATO

che:

– Con il primo motivo di ricorso il contribuente deduce – ai fini dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 – la nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 c.p.c., il contribuente lamenta la violazione da parte del giudice d’appello del giudicato che si sarebbe formato in ordine all’adeguatezza della documentazione da lui fornita circa l’effettività dei dati esposti nella dichiarazione emendata, in assenza di appello incidentale dell’Agenzia;

– Il motivo non è inammissibile per difetto di autosufficienza come eccepito dall’Agenzia, in quanto tutti gli elementi idonei a delimitare la domanda sottoposta alla cognizione del giudice di appello si ricavano già dalla sentenza, ma è infondato.

– Premesso che il giudicato – interno sulla base della prospettazione — è idoneo a coprire solo una domanda (identificata da soggetti, peti-tum e causa petendi) e i suoi presupposti in fatto, è l’appello stesso del contribuente, ad aver introdotto un giudizio di natura devolutiva avanti alla CTR, come si legge in sentenza nello svolgimento del processo a pag.2, al fine di ottenere la rivalutazione della decisione di primo grado alla luce della “analitica dimostrazione dei corretti valori da considerare ai fini degli studi”. Nel rispetto del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato, a tale domanda, e senza necessità di alcun appello incidentale, correttamente il giudice di appello ha dato risposta, giungendo ad una conferma della decisione di prime cure.

– Con il secondo motivo – ai fini dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, -il ricorrente denuncia l’insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, per aver la CTR obliterato le deduzioni del contribuente, omettendo di spiegare le ragioni per le quali ha ritenuto esente da vizi la decisione di primo grado che ha ridotto del 40% il maggior reddito accertato dall’Agenzia, facendo propria la proposta riduzione operata in primo grado senza un proprio autonomo vaglio critico e, comunque, sull’errato presupposto che si trattasse di una proposta dell’ente impositore stesso.

-Il mezzo di impugnazione, non è inammissibile per difetto di autosufficienza essendo centrato sulla motivazione della sentenza integralmente allegata, ma è infondato. La Corte reitera l’insegnamento secondo cui “La sentenza d’appello può essere motivata “per relationem”, purchè il giudice del gravame dia conto, sia pur sinteticamente, delle ragioni della conferma in relazione ai motivi di impugnazione ovvero della identità delle questioni prospettate in appello rispetto a quelle già esaminate in primo grado, sicchè dalla lettura della parte motiva di entrambe le sentenze possa ricavarsi un percorso argomentativo esaustivo e coerente, mentre va cassata la decisione con cui la corte territoriale si sia limitata ad aderire alla pronunzia di primo grado in modo acritico senza alcuna valutazione di infondatezza dei motivi di gravame. (Nella specie, la S.C. ha cassato la decisione impugnata, nella quale era stata integralmente trascritta la sentenza di primo grado, senza alcun riferimento a quanto accaduto nel corso del giudizio di appello ovvero ai motivi di gravame, con l’inserimento, nella parte finale, di un’integrazione fondata su un presupposto fattuale palesemente errato).” (Cass., Sez. L -, Ordinanza n. 28139 del 05/11/2018, Rv. 651516 – 01).

-Orbene, dalla rassegna che precede si evince che il ricorso alla motivazione per relationem, anche con richiami alla decisione di primo grado, è ammissibile, alle condizioni esposte nei principi di diritto sopra riassunti e, nel caso di specie, la motivazione della sentenza impugnata, lungi dall’essere formale, dopo una dettagliata esposizione in fatto, si diffonde sui motivi di appello e argomentatamente prende posizione. Ad esempio, si leggono numerosi riferimenti puntuali al quadro probatorio e fattuale alle pagg.2 e 3 della sentenza: “L’Ufficio ha fatto correttamente rilevare che il contribuente non ha supportato documentalmente la drastica riduzione dei costi per produzione di servizi (…) ha fatto anche rilevare che ai fini IRAP il contribuente ha dichiarato costi per servizi pari ad Euro 292.404,00 così come dichiarati nello studio originario. Nè ha ricevuto spiegazione alcuna la rilevata mancata indicazione della distribuzione dei costi complessivamente computati per Euro 398.357,00 (…)”. Ciò rende all’evidenza la motivazione immune dal vizio denunciato.

– Con il terzo motivo – ai fini dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 -il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d), e del D.L. n. 331 del 1993, art. 62 bis e sexies, convertito con modificazioni dalla L. n. 427 del 1993, per aver la CTR considerato legittimi l’accertamento analitico-induttivo e l’applicazione dello studio di settore alla fattispecie, in presenza di “anomalie” identificabili nei riconosciuti errori materiali di cui l’Agenzia aveva preso atto fin dall’instaurazione del contraddittorio endoprocedimentale. In dipendenza del medesimo motivo si censura inoltre l’assenza di effettivo ed analitico esame delle do-glianze del contribuente da parte dell’Agenzia in sede di contraddittorio endoprocedimentale, non riportate nell’avviso di accertamento, con conseguente difetto di motivazione di cui la CTR non ha tenuto conto;

-La doglianza non è nuova in quanto già avanzata in sede di merito, come si legge a pag.23 del ricorso, ma è inammissibile per più ragioni, anche in parte per difetto di autosufficienza come eccepito in controricorso. Attraverso l’eterogeneo mezzo di impugnazione, si mira ad introdurre un vizio di omessa, o insufficiente o contraddittoria motivazione, deducibile in sede di legittimità non ai sensi del n. 3 o del n. 4, ma ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, e che comunque sussiste solo se nel ragionamento del giudice di merito, quale risulta dalla sentenza, sia riscontrabile il mancato o deficiente esame di punti decisivi della controversia, e non può invece consistere in un apprezzamento dei fatti e delle prove in senso difforme da quello preteso dalla parte, perchè la citata norma non conferisce alla Corte di Cassazione il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico-formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione fatta dal giudice del merito al quale soltanto spetta individuare le fonti del proprio convincimento, e, all’uopo, valutarne le prove, controllarne l’attendibilità e la concludenza, e scegliere, tra le risultanze probatorie, quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione, come nella specie (cfr. Cass. Sez. U. Sent. 5002 dell’11/06/1998, Cass. Sez. Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 16456 del 2013).

– Orbene, anche così riqualificato come vizio motivazionale, il motivo è comunque inammissibile, in quanto la CTR espressamente ha tenuto conto di quanto avvenuto nella fase endoprocedimentale e della prospettazione del contribuente, in particolare nel passaggio a pag.3 “Va infine rilevato che lo stesso contribuente, nella sua comunicazione 6 ottobre 2009 (…)”, pur non condividendo la deduzione di parte.

-Inoltre, è vero che l’accertamento analitico-induttivo ha fatto riferimento allo studio di settore, e che l’avviso si basa sulle dichiarazioni del contribuente rilevandone la difformità rispetto allo studio, ma il passaggio riportato a cavallo delle pagg.16 e 17 del ricorso, non può sostituire l’allegazione integrale dell’atto impositivo e del modello compilato per lo studio o almeno la riproduzione delle parti rilevanti. Ciò era necessario per permettere alla Corte di vagliare in concreto la fondatezza della prospettazione del contribuente, secondo la quale le anomalie riscontrate coinciderebbero unicamente con i meri errori materiali di compilazione nella dichiarazione inizialmente fornita all’Agenzia per lo studio di settore e, dunque, l’errore materiale sarebbe decisivo. Sotto questo profilo è fondata anche l’eccezione articolata in controricorso di inammissibilità del motivo per difetto di autosufficienza.

– In ogni caso, il controricorso ha anche riprodotto passaggi della pag. 3 dell’avviso in cui sono riportati numerosi elementi di riscontro all’anomalia tra dichiarazione e studio di settore: vengono menzionate infatti “anomalie tra il valore dei beni strumentali e il valore degli ammortamenti, costi elevati e spese per lavoro dipendente notevoli rispetto al proprio reddito (…)”, tutte circostanze che non paiono in alcun modo riconducibili ad errori materiali e certamente idonei a fondare l’accertamento D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 39, comma 1, lett. d), che, a questo punto, non può ritenersi in alcun modo fondato sul solo studio di settore.

– Con il quarto motivo si deduce – ai fini dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 471 del 1997, artt. 1, 5 e 6, del D.Lgs. n. 446 del 1997, art. 32 e della L. n. 212 del 2000, art. 10, comma 3, per aver la CTR confermato anche l’irrogazione di sanzioni in capo al contribuente, illegittimamente in quanto i riconosciuti errori materiali commessi avrebbero escluso secondo il contribuente la volontà evasiva ai fini dell’infedele dichiarazione e, comunque, si sarebbe trattato di violazioni meramente formali.

– Il motivo è destituito di fondamento. Il complesso di previsioni normative invocate dal contribuente, da un lato prevede e dispone l’inapplicabilità delle sanzioni per le obiettive condizioni di incertezza sulla portata e sull’ambito di applicazione delle disposizioni, nemmeno con precisione dedotte e sostanziate nel caso di specie. Dall’altro, sotto il profilo della buona fede in capo al dichiarate – su cui si insiste il ricorso in relazione agli errori materiali commessi in sede di dichiarazione – si deve sottolineare che entrambi i gradi di giudizio di merito hanno riconosciuto solo una parziale rilevanza a tali errori, confermando la ripresa portata dall’avviso per il 60% e ciò esclude possa riconoscersi la buona fede nel caso di specie.

– In conclusione, il ricorso va rigettato, e dal rigetto discende il regolamento delle spese di lite, secondo soccombenza, liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso, e condanna il ricorrente alla rifusione alla resistente delle spese di lite, liquidate in Euro 2.500,00 oltre spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, il 11 dicembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 12 marzo 2020

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