Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7082 del 20/03/2017

Cassazione civile, sez. II, 20/03/2017, (ud. 16/12/2016, dep.20/03/2017),  n. 7082

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MATERA Lina – Presidente –

Dott. PARZIALE Ippolisto – rel. Consigliere –

Dott. ORICCHIO Antonio – Consigliere –

Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 22958-2012 proposto da:

L.D., (OMISSIS), elettivamente domiciliata in Roma, Via

Pompeo Magno 1, presso lo studio dell’avvocato ANDREA ZINCONE, che

la rappresenta e difende unitamente all’avvocato ROSSELLA NICOLETTI,

come da procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

S.M., B.A., elettivamente domiciliati in Roma,

Via Barberini 47, presso lo studio dell’avvocato MARIA BEATRICE

D’IPPOLITO, che li rappresenta e difende, come da procura speciale

in calce al controricorso;

– controricorrenti e ricorrenti incidentali –

avverso la sentenza n. 2598/2012 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 13/07/2012;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

16/12/2016 dal Consigliere Ippolisto Parziale;

uditi gli avvocati delle parti, che si riportano agli atti e alle

conclusioni assunte;

udito il sostituto procuratore generale, PEPE Alessandro, che

conclude per il rigetto del ricorso principale e del secondo e terzo

motivo del ricorso incidentale; accoglimento del primo motivo del

ricorso incidentale.

Fatto

FATTI DI CAUSA

A. Così la sentenza impugnata riassume la vicenda processuale.

1. “Con atto di citazione notificato in data 3.06.2006 la signora L. conveniva in giudizio signori S. e B. per sentir dichiarare risolto il contratto preliminare di compravendita sottoscritto in data (OMISSIS) stante il grave inadempimento dei convenuti e per sentirli condannare alla restituzione del doppio della caparra ricevuta, pari all’importo di Euro 90.000,00 oltre al pagamento degli ulteriori danni subiti, relativi alle spese di agenzia sostenute e all’incremento del valore immobiliare compromesso in vendita, con interessi e spese di lite. Si costituivano con comparsa del 6.11.2005 i convenuti, che contestavano le pretese dell’attrice siccome infondate e a loro volta in via riconvenzionale chiedevano la risoluzione del preliminare dovuto all’inadempimento dell’attrice a seguito della diffida ad adempiere ricevuta in data 17.06.2006 con conseguente diritto al trattenimento della caparra versata, anche a titolo di penale ex art. 6 del contratto preliminare; in subordine chiedevano comunque l’accertamento ai sensi dell’art. 1453 c.c. dell’inadempimento della controparte con la conseguente statuizione di risoluzione del contratto e di ritenzione della caparra ricevuta, oltre in ogni caso al risarcimento di tutti i danni subiti a causa della condotta dell’attrice. (..) All’esito del deposito delle memorie istruttorie il Giudice, ritenuta la causa matura per la decisione, non ammetteva i mezzi di prova dedotti e rinviava per la precisazione delle conclusioni. Con sentenza n. 883 del 8.11.2007 depositata in data 23.11.2007, il Tribunale condannava i sigg. S. e B. a pagare in solido alla signora L. la somma di Euro 90.000,00 oltre gli interessi legali dal 7.07.2006 sino al saldo, nonchè il 50% delle spese di lite”.

2. “La presente sentenza veniva impugnata dai signori S. e B. per i motivi di cui in atti, con conseguente richiesta di riforma ed accoglimento delle domande già proposte in primo grado. Si costituiva l’appellata signora L. che chiedeva il rigetto dell’appello e a sua volta in via incidentale proponeva appello limitatamente al capo della pronuncia con il quale erano state compensate per metà le spese di lite, chiedendo la condanna degli appellanti al pagamento del restante 50%”.

B. La Corte di appello di Milano così decideva: “1) in parziale riforma, condanna S.M. e B.A. a restituire alla signora L.D. la sola somma di Euro 45.000,00 ricevuta a titolo di caparra oltre gli interessi legali dal 7.06.2007; 2) condanna la signora L.D. a restituire ai signori S.M. e B.A. l’importo ricevuto in esecuzione della sentenza di primo grado con riferimento al capo n. 1 della stessa; 3) condanna l’appellata L.D. al pagamento del 50% delle spese processuali del grado in favore degli appellanti, liquidate già in tale misura in complessivi Euro 4.290,00 di cui Euro 550,00 per spese, Euro 1850,00 per diritti ed Euro 1.890,00 per onorari, oltre oneri ed accessori di legge se dovuti; 4) Compensa tra le parti il restante 50% delle spese di lite del grado”.

C. Impugna tale decisione la signora L. che formula tre motivi.

Resistono con controricorso le parti intimate, che avanzano a loro volta ricorso incidentale, affidato a tre motivi. Le parti hanno depositato memorie.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

A. Il ricorso principale.

I motivi.

1. Col primo motivo si deduce: “Violazione di legge ex art. 360 c.p.c., n. 3 in relazione all’art. 101 c.p.c., comma 2, art. 112 c.p.c. e art. 115 c.p.c., n. 2 nonchè all’art. 1362 c.c., art. 1385 c.c. e art. 1453 c.c. e segg.”.

Rileva la ricorrente che “in sede di gravame, i venditori hanno reiterato il loro assunto secondo cui il riferimento operato dalla Signora L. ad una risoluzione del contratto preliminare per inadempimento dei promittenti venditori avrebbe dovuto dare ingresso alla pura e semplice restituzione delle prestazioni sino ad allora eseguite (nella fattispecie, la caparra che essi avevano ricevuto dalla stessa Signora L.), precludendo alla L. la possibilità di ricorrere all’istituto del recesso di cui 1385 c.c. e quindi di pretendere la restituzione del doppio della caparra versata”. Sottolinea che “nel decidere la controversia il giudice del gravame non ha però in alcun modo preso in considerazione l’impostazione delle censure avversarie (…) ma, in violazione dell’art. 101 c.p.c., ha deciso la controversia facendo riferimento all’art. 1453 c.c., anzichè alla norma speciale di cui all’art. 1385 c.c. espressamente prevista nel contratto”. Aggiunge che “la Corte d’Appello (..) ha concentrato la propria attenzione sull’esame comparato delle condotte poste in essere dalle parti in prossimità del termine per il rogito, condotte che non potevano (…) far venire meno le stesse condizioni alle quali la L. aveva subordinato l’acquisto dell’immobile (la consegna di planimetrie aggiornate prima del rogito, a garanzia effettiva che l’immobile fosse conforme alle disposizioni di legge)”. Rileva, quindi, che “la Corte di Appello (…) oblitera totalmente quella che era stata la concorde volontà delle parti. Se le parti avevano ritenuto di espressamente specificare nel preliminare d’acquisto, all’art. 10, che, a fronte della garanzia assunta, i venditori dovevano produrre entro la data del rogito planimetrie aggiornate, ciò altro non significava che esse (e sicuramente la parte acquirente) riponevano il massimo interesse e la massima fiducia a che gli abusi edilizi presenti nell’immobile oggetto del contratto venissero preventivamente sanati”. Rileva che “gli stessi venditori hanno asserito che essi sanarono gli abusi (tramite presentazione di una Denuncia di Inizio di Attività), ma lo fecero solo circa un anno dopo la data fissata per il rogito e comunque in pendenza di giudizio; ossia quando gli stessi avevano giudizialmente chiesto la pronunzia della risoluzione del contratto”. Concludono il motivo, osservando che “in virtù dell’art. 1362 c.c., la Corte di Appello di Milano non avrebbe in alcun modo potuto disapplicare il disposto dell’art. 1385 c.c., che le parti avevano espressamente richiamato non una bensì quattro volte (…), una volta constatato che i venditori pretendevano invece di cedere alla Signora L. l’immobile nella condi:zione di grave irregolarità in cui lo stesso versava”. Secondo la ricorrente, “la sentenza andrà quindi cassata per violazione dell’art. 1362 c.c., e per contrarietà a principi consolidati di questa Suprema Corte (art. 360 bis c.p.c.), per avere il giudice di merito sostituito al criterio principale dell’interpretazione della volontà negoziale espressa dai contraenti una propria valutazione ex post del comportamento delle parti”.

2. Col secondo motivo si deduce: “violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5: omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti”. Rileva la ricorrente che “la Corte di Appello di Milano afferma, a pag. 5 che “non poteva essere considerata ostativa ed impeditivi alla stipula del rogito la mancata regolarivaione catastale dell’immobile con riferimento alle opere interne realizzate di cui la Signora L. era perfettamente a conoscenza e che non incidevano (…) sulla commerciabilità del bene”. Sottolinea che “era ben chiaro ai prominenti venditori che l’unica circostanza che certamente non poteva verificarsi era l’eventualità di giungere al rogito sulle medesime premesse del contratto preliminare del 31 gennaio 2005, essendo pacifico che l’autocertificazione operata dai proprietari sulle condizioni del bene non fosse sufficiente a far considerare superato, per la parte acquirente, qualsiasi problema in ordine alla regolarità dell’immobile”.

3. Col terzo motivo si deduce: “Vizio di motivazione apparente”. Rileva la ricorrente che “la Corte di merito ha affermato che gli abusi edilizi commessi sull’immobile erano stati sanati dai promittenti venditori”, osservando che “tale circostanza, se effettivamente esistente, si era verificata solo dopo l’inizio del presente giudizio” e aggiungendo che “in ogni caso agli atti di causa risulta solo che i promittenti venditori si erano limitati ad autocertificare mediante una Dichiarazione Inizio Attività (“DIA”) l’avvio delle relative opere”, insufficiente allo scopo. Conclude, quindi, osservando che “non è dato comprendere da dove la Corte di Appello abbia tratto gli elementi necessari per affermare, come si legge a pag. 5 della sentenza impugnata, che “successivamente l’irregolarità è stata sanata””.

B. Il ricorso incidentale.

I motivi.

1. Col primo motivo si deduce: “violazione dell’art. 112 c.p.c., o comunque violazione di legge in relazione a detto articolo, a norma dell’art. 360 c.p.c., n. 3, con riferimento all’omessa pronuncia sulla domanda di interessi”.

Rilevano i ricorrenti incidentali che “nel condannare la sig.ra L. a restituire agli appellanti quanto ricevuto dagli stessi in esecuzione del capo 1 della sentenza di primo grado il giudice ha omesso di pronunciarsi sugli interessi maturati sulla somma stessa come da domanda degli appellanti i quali chiedevano in via principale nel merito “condannare la sig.ra L.D. a… omissis restituire la somma di Euro 102.969,06 versate in esecuzione della sentenza oltre interessi e rivalutazione monetaria se dovuta”.

2. Col secondo motivo si deduce: “vizio di motivazione apparente in relazione al mancato accoglimento del motivo n. 2 di cui all’atto di appello”. La Corte locale avrebbe dovuto riconoscere fondato anche il secondo motivo di appello, relativo “alla “mancanza del grave inadempimento in capo ai convenuti” (vedi pag. 9 atto di citazione in appello)”. I ricorrenti si dolgono poi del mancato riconoscimento della gravità dell’inadempimento dell’appellata, posto che “la mancata presentazione al rogito da parte della sig.ra L. non può non essere considerato la causa e ettiva dello scioglimento del sinallagma contrattuale”.

3. Col terzo motivo si deduce: “violazione di legge ex art. 360 c.p.c., n. 3 in relazione all’art. 112 c.p.c. e art. 115 c.p.c., n. 2 nonchè agli artt. 1362 e 1453 c.c., art. 1454 c.c. e ss con riferimento all’omessa pronuncia sulla domanda svolta in via subordinata dagli appellanti”. I ricorrenti in via incidentale, sigg.ri S. e B., “hanno chiesto anche, in via subordinata, l’accertamento dell’inadempimento della sig.ra L. per mancato rispetto delle obbligazioni assunte con contratto preliminare in data 31.01.2005 (vedi foglio di precisazione conclusioni depositato all’udienza del 21.02.12 innanzi alla Corte d’Appello di Milano). Era quindi onere della Corte analizzare e decidere anche su detta domanda” Rilevano che “il contratto preliminare del 31.01.2005 (doc. 6 fascicolo di primo grado), all’art. 6 testualmente prevede che “la parte promissaria acquirente dichiara che… omissis… la mancata presenza al rogito notarile sua o di persone o società o enti da essa nominati, la renderà inadempiente a tutti gli fletti e che, in tal caso, la parte promittente venditrice avrà diritto di incamerare a titolo di penale e saldo di ogni sua spettanza, la caparra versata, fatto salvo il maggior danno”. Sottolineano che “la sig.ra L. di fatto non si è presentata al rogito notarile, e lo ha fatto senza un valido motivo, avendo la Corte escluso la gravità dell’inadempimento di controparte”. Di conseguenza, “il giudice del merito avrebbe dovuto applicare la lettera del contratto riconoscendo il diritto dei venditori appellanti di incamerare a titolo di penale la caparra versata, fatto salvo il maggior danno”.

C. Le motivazioni della sentenza impugnata.

1. La Corte locale ha così riassunto e qualificato la vicenda fattuale: “…le parti hanno svolto reciproche domande di risoluzione del preliminare, fondate da ciascuna di esse sull’inadempimento dell’altra, lamentando la L. la mancata regolarità urbanistico-edilizia dell’immobile in contrasto con l’impegno assunto dai venditori ai sensi della clausola n. 10 del preliminare e i sigg. S.- B., la sua mancata presentazione per la stipula del rogito nonostante l’invio della dda”, così rilevando che in tale situazione “il giudice è tenuto a formulare un giudizio di comparazione in merito al comportamento complessivo delle parti al fine di stabilire quale di esse, in relazione ai rispettivi inadempimenti (tenuto conto non solo dell’elemento cronologico, ma anche e soprattutto degli apporti di causalità e proporzionalità esistenti tra le prestazioni inadempiente e della incidenza di queste sulla funzione economico sociale del contratto), si sia resa responsabile delle violazioni maggiormente rilevanti e causa del comportamento della controparte e della conseguente alterazione del sinallagma contrattuale (vedi cass. sez. 3 n. 1384 del 9.06.2010).”.

2. La Corte territoriale ha, quindi affermato di ritenere che “contrariamente a quanto deciso dal primo giudice e a quanto dedotto dagli appellanti con i motivi n. 1, 2 e 4 dell’atto di impugnazione, gli addebiti reciprocamente contestati, non abbiano la gravità necessaria e sufficiente per poter addivenire ad una pronuncia di risoluzione del contratto per colpa di una delle parti in causa”, così dando atto “della impossibilità di esecuzione del contratto per effetto della scelta fatta da entrambe le parti di reciprocamente risolvere ex art. 1453 c.c., comma 2 il vincolo che si erano assunte. Infatti, non poteva essere considerata ostativa ed impeditiva alla stipula del rogito la mancata regolarizzazione catastale dell’immobile con riferimento alle opere interne realizzate di cui la signora L. era perfettamente a conoscenza e che non incidevano – come giustamente rilevato dalla difesa degli appellanti sulla commerciabilità del bene tant’è che successivamente l’irregolarità è stata sanata – poichè comunque l’immobile rispettava i requisiti di cui alle previsioni normative della L. n. 47 del 1985 e del D.L. n. 724 del 1990 oggi sostituito dal D.P.R. n. 380 del 2001, art. 46 e quindi della prima parte della clausola n. 10”. La Corte locale ha, quindi, rilevato che “non può essere condiviso l’assunto del giudice di primo grado, che ha ritenuto sussistente un inadempimento tale a carico dei venditori da determinare la risoluzione per loro colpa, perchè si è trattato sicuramente di inadempimento (mancata regolarizzazione catastale alla data del rogito) tuttavia non grave (che non incideva cioè sulla idoneità del bene ad essere compravenduto e di cui la controparte era perfettamente a conoscenza poichè in sede di sopralluogo aveva potuto verificare la differenza tra lo stato di fatto e quello di cui alle planimetrie e schede catastali allegate al preliminare)”.

3. Sulla base di tali valutazioni, la Corte ha ritenuto di “dover disattendere le conseguenze che secondo gli appellanti ne dovrebbero derivare in virtù di quanto esposto con i motivi di cui ai n. 1, 2, e 5 (in realtà si tratta di un 4 motivo) dell’atto di appello, perchè se è vero che l’inadempimento dei sigg.ri S.- B. non può essere considerato grave anche quello dell’appellata signora L. non può essere considerato la causa effettiva dello scioglimento del sinallagma contrattuale. Infatti prima di ricevere la diffida, la stessa aveva già proceduto alle formalità necessarie per notificare l’atto di citazione ed i venditori a loro volta avevano comunque chiesto la risoluzione in sede di comparsa di costituzione, prima di procedere al completamento della regolarizzazione catastale con ciò manifestando la pari volontà al non adempimento”.

4. La Corte locale ha, quindi, così concluso: “in altre e più semplici parole ritiene la Corte che di fronte alle problematiche che sono insorte e che hanno dato luogo a profili di reciproco inadempimento non grave che potevano essere superate (vedi in tal senso le lettere intercorse), le parti in ultimo hanno invece risolto il rapporto, manifestando una pari volontà di scioglimento del vincolo contrattuale. Pertanto, dovendo rigettare per le ragioni sopra indicate i motivi di cui ai n. 1, 2, 5, dell’atto di appello, occorre tuttavia riformare parzialmente la sentenza di primo grado con riferimento agli effetti restitutori che conseguono ex art. 1458 c.c.così accogliendo il terzo motivo d’appello seppure per ragioni diverse. Essendo venuto meno il titolo, gli appellanti devono essere condannati alla restituzione all’acquirente del solo importo di euro 45.000,00 ricevuto a titolo di caparra oltre gli interessi legali”.

D. Il ricorso principale è infondato e va rigettato.

1. E’ infondato il primo motivo. Non sussiste la lamentata violazione dell’art. 112 c.p.c., posto che la Corte locale ha esaminato le rispettive domande di risoluzione del contratto, valutando nel merito i rispettivi inadempimenti. La corte locale ha motivatamente ritenuto che i reciproci inadempimenti non fossero qualificabili come gravi. Vi è quindi pronuncia sul punto. Nè risulta integrata la violazione dell’articolo 1362 codice civile perchè la corte locale non ha fatto altro che valutare le chiare domande avanzate dalle parti.

2. Non sussiste neanche il denunciato vizio di motivazione di cui al secondo motivo. La corte locale ha valutato specificamente il rilievo oggettivamente assunto nella vicenda della mancata tempestiva regolarizzazione amministrativa (vedi al riguardo il punto C), con una convincente lettura degli accordi contrattuali, effettuata alla luce del principio della buona fede contrattuale.

3. Non sussiste infine la denunciata motivazione apparente con riguardo alla regolarizzazione degli abusi edilizi, perchè dal complessivo contesto della motivazione e dalla vicenda processuale emerge con chiarezza che si trattava semplicemente di una regolarizzazione amministrativa in relazione al quale era stata prodotta la relativa documentazione sufficiente al fine.

E. Il ricorso incidentale è fondato quanto al primo motivo e infondato nel resto.

1. Quanto al primo motivo sussiste l’omessa pronuncia sugli interessi dovuti per il rimborso, nella misura dovuta, di quanto versato in esecuzione della sentenza di primo grado.

2. Non è fondato il secondo motivo, perchè non vi è il denunciato vizio di motivazione. La Corte di appello, come ampiamente riportato al punto C, ha ampiamente chiarito la ratio decidendi adottata, escludendo la gravità degli inadempimenti reciproci, costituenti entrambi accertamenti in fatto non censurabili in questa sede perchè adeguatamente motivati.

3. Parimenti non sussiste il vizio di omessa pronuncia, denunciato col terzo motivo, perchè la Corte locale, avendo ritenuto risolto il contratto per manifesta volontà concorde delle parti ha anche implicitamente valutato la domanda subordinata, escludendone il rilievo ai fini della decisione.

F. In definitiva, va rigettato il ricorso principale e il secondo e terzo motivo del ricorso incidentale; va accolto il primo motivo del ricorso incidentale; la sentenza impugnata va cassata in relazione al motivo accolto con rinvio, anche per le spese di questo giudizio, ad altra sezione della Corte di appello di Milano.

PQM

La Corte rigetta il ricorso principale e il secondo e terzo motivo del ricorso incidentale; accoglie il primo motivo del ricorso incidentale; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia, anche per le spese, ad altra sezione della Corte di appello di Milano.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 16 dicembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 20 marzo 2017

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